“Questa è grande musica per chi ha sprecato la giovinezza a bere birra e sta continuando a sprecare la vita nello stesso modo” (Julie Burchill, New Musical Express 11/10/1980)
In attesa del nuovo album “Letter to you”, che vi racconterò la prossima settimana, torniamo indietro nel tempo con l’immortale “The River” che oggi compie 40 anni. Dopo l’ottimo “Western Stars”, il Boss riabbraccia la sua E-Street Band e sta per tornare in pista. I presupposti sono ottimi: i due singoli finora usciti, Letter to you e la splendida Ghosts, sono tanta roba.
“The River” è uno dei più influenti della mia vita, uno degli album fondamentali del rock da raccomandare a tutti. E’ incredibile che nel sondaggio della BBC Radio 2 sui migliori dischi degli anni ’80 (la trovate qui) non ci sia questa pietra miliare. In vetta c’è “The Joshua tree” degli U2 (il miglior disco della band irlandese per me) seguito dallo splendido Brothers in arms dei Dire Straits. Nella classifica c’è anche Springsteen con “Born in the Usa”. Questa classifica però risente troppo di due fattori: il campanilismo degli inglesi (non dimenticate che esistono due principali scuole: quella inglese e quella americana) e il fatto che molti guardano ai dischi delle classifiche. A livello generale “Born in the Usa” è infatti il disco più commerciale del Boss. Secondo me “The River” è il disco più maturo di Springsteen degli anni 80.
Non sono il solo a pensarlo. Nel film “Vanilla Sky” (2001) di Cameron Crowe (uno che di musica se ne intende), nel finale Tom Cruise si lancia nel vuoto. Ripensa alle cose più belle della sua vita e tra queste compare la copertina di “The River” (lo potete vedere qui al minuto 9 e 43 secondi). Questo doppio cd è il classico disco alla Springsteen dove la scrittura è influenzata dal cinema e dalla sua narrazione.
Mi ha insegnato prevalentemente tre cose:
– Ogni tipo di relazione umana ha una doppia faccia e un doppio gusto: uno dolce e uno amaro
– L’ironia e il divertimento sono componenti importanti nella vita di ogni individuo
– L’idea di gruppo, di collettivo, di comunità.
Bruce Springsteen iniziò la sua carriera nel 1973. I primi due album erano ancora acerbi, ma vantavano pezzi incredibili (Rosalita su tutti) che mostravano l’incredibile talento del cantautore di Freehold, New Jersey. Basta assistere a un solo concerto in tutta la vita per rendersene conto.
Sembrerà strano, ma anche lui per farsi strada ha dovuto faticare e non poco. Nei suoi testi si percepisce. Il punto di svolta è il 1975, quando esce “Born to run”. Il primo masterpiece è servito su un piatto d’argento. Da lì in poi fino al 1987 Bruce Springsteen inanellerà un successo dietro l’altro. Born to run, Darkness in the edge of town, Nebraska, Born in the Usa, Tunnel of love.
Nel mezzo a quest’elettrizzante periodo però c’è la pietra miliare chiamata “The river”. Bruce Springsteen scrisse questo capolavoro a 31 anni. Francamente è piuttosto difficile raggiungere una tale maturità presente in questo album sia a livello di musica sia di scrittura.
Chi di voi avrà il coraggio di ascoltare per la prima volta questo capolavoro, avrà l’invidiabile opportunità di assaporare un disco pieno di sorprese. E’ come se la fantasia di colpo fosse andata al potere, la libertà avesse preso possesso dell’individuo. E’ un disco pieno di speranza che fa capolino anche nel mezzo del buio più pesto che esista.
Ma torniamo a noi. Torniamo indietro nel tempo. 17 ottobre 1980. Nei negozi arriva un doppio cd atipico. Bruce può vantare già un pubblico di tutto rispetto. Era già diventato il working class hero della classe media americana (e non solo). Questo disco è come un libro, accompagnato da musiche melodiche, ballate e testi liberi. “The river” affronta il tema dell’amore in modo maturo e a volte cinico, senza dimenticare il senso della vita e gli onnipresenti temi springsteeniani del viaggio (e della fuga) e dell’effimero american dream (definito così in “Born to run”).
Questa pietra miliare del rock divenne, insieme a “London Calling” dei Clash, il simbolo di intere generazioni, delle loro difficoltà di esprimersi e di trovare un posto migliore nel mondo. Una classe sociale povera di mezzi economici e impossibilitata a raggiungere qualsiasi cambiamento della propria condizione. Il disco ha un doppio binario: parla di vita, di godimento, ma ha anche pensieri mortiferi.
La musica e i testi sono diretti, filanti, viscerali, a tratti goderecci e soprattutto squisitamente rock con spruzzate pop. La E-Street Band è una rock-machine: Clarence Clemons al sassofono, Roy Bittan al piano, Steve Van Zandt alla chitarra, Max Weinberg alla batteria, Danny Federici all’organo e Garry Tallent al basso regalano gioie inimmaginabili. In particolar modo la titletrack e “Hungry Heart” divennero successi planetari, tanto che perfino John Lennon definì quest’ultimo un singolo perfetto.
Per il sottoscritto ascoltare questo album mi ha cambiato la vita in tanti aspetti. Insieme ai due dischi precedenti del Boss, questo è sicuramente uno dei più influenti. Il perchè lo analizzerò traccia per traccia.
The ties that bind
Un pezzo molto godereccio e orecchiabile, sulla scia degli anni ’60 di Byrds e Beach Boys, che parla di una classe media che non ha mezzi sufficienti per realizzare i propri sogni. Springsteen ricorda le sue origini, le sue sofferenze, manifestando l’importanza di appartenere a una comunità. In tempi di individualismo sfrenato, questa necessità pare tremendamente attuale ed evidente.
Sherry darling
Il sassofono di Clarence Clemons diventa protagonista come in Rosalita, esaltando il protagonista della canzone. Ancora una volta la miglior medicina è la fuga con un’altra anima persa. E’ un pezzo gioioso, festoso e rodato visto che fu scartato dal precedente “Darkness in the edge of town”.
Jackson Cage
Insieme a Point Black è il brano più crudo. La condizione della protagonista è paragonata a una prigione. Oggi molte persone “vivono” in questa condizione non rendendosene conto. L’oppressione è parte della vita: una parte è autoinflitta, un’altra è inevitabile per stare in questo mondo. Una realtà amara e tragica da accettare. La grandezza di Springsteen è che, narrativamente parlando, cambia prospettiva a ogni strofa: si parte con la terza persona singolare, poi si passa alla seconda persona singolare e si conclude con la prima come se fosse il compagno della donna.
Two hearts
L’esaltazione dell’amore e della coppia anima lo Springsteen di quegli anni. Two hearts are better than one? Secondo il cantante americano le relazioni umane e sentimentali sono una parte fondamentale della nostra esistenza. Ai concerti spesso il Boss anima il pezzo insieme a uno scatenato Steve Van Zandt o con la moglie, la corista Patti Scialfa.
Independence day
Gli scontri tra Bruce e suo padre Doug sono continui. Questo pezzo autobiografico parla della ribellione di un giovane che vuole staccarsi dai genitori. Questo è il giorno dell’indipendenza. I sogni fanno risollevare il morale delle persone. Ma c’è di più. Bruce mostra una doppia faccia: da un lato non vuole rifare la vita grigia e monotona del padre, da un altro lato però si rende conto che gli assomiglia maledettamente. In poche parole l’amore ha una doppia faccia. Pezzo imprescindibile per gli amanti del Boss.
Hungry heart
Il pezzo più pop del disco, il singolo trainante. Originariamente fu scritto per i Ramones, poi il manager Landau consigliò (bene) al cantante di lasciarsela per il proprio repertorio. Autentico successone in tutto il mondo. Tutti noi abbiamo un cuore affamato, capace di risvegliarci dal torpore. John Lennon definì il singolo una canzone perfetta, paragonandola alla sua canzone “(Just Like) Starting Over”. Se si ascolta il pezzo, ci si può rendere conto che è stato registrato in maniera più acuta del normale. La voce di Springsteen è molto diversa dal solito. Il tutto è frutto di un trucco adottato in fase di mixaggio.
Out in the street
Un ragazzo che carica pesanti casse durante la settimana lavorativa non fa che pensare all’arrivo del venerdì sera quando rivedrà la sua amata, fuori nella strada. Un brano tremendamente godereccio, in stile Beach Boys. E ancora una volta il senso di comunità di “The ties that bind” riemerge. Dal vivo questo pezzo è qualcosa di inimmaginabile.
Crush on you
Il momento più leggero del disco. Bruce esprime il suo apprezzamento per il genere femminile con una canzone abbastanza facile con l’assolo (impareggiabile) di uno Steve Van Zandt piuttosto gigione.
You can look (but you better not touch)
Il rock è anche euforia, gioco, ironia. Ecco a voi un altro pezzo godereccio dal ritmo inarrestabile che sento particolarmente mio anche per via del mio lavoro. Springsteen ebbe l’ispirazione da un commesso che disse a un cliente “può guardare, ma è meglio che non tocchi”. Lo dovrei mettere dalla mattina alla sera… Vedi qui
I wanna merry you
Springsteen a quell’epoca avrebbe voglia di una relazione seria, di una famiglia e lo dice a chiare lettere. L’ardore giovanile dei dischi precedenti è sempre tangibile, ma la voglia di stabilità inizia a serpeggiare in lui. Canzone ideale come seguito di “Two hearts” e controcampo di “Stolen Car”.
The river
Autentico capolavoro di scrittura e maestosità musicale che ha richiesto qualche anno di lavoro (si sente tutto). L’armonica (molto dylaniana) che apre il pezzo rende riconoscibile il brano a chiunque.
Si inizia subito forte. A un ragazzo, che viene dalla valle, è stato insegnato che lui deve fare quello che ha fatto suo padre. La subordinazione per lui è uno stile di vita. E’ tremendamente rassegnato alla tradizione, all’abitudine. La sua vita si riassume in tre cose: donne, lavoro e il senso della vita. L’unico atto di ribellione è che non ha finito di studiare per non essere uguale a suo padre. C’è poco lavoro in quella città, ci dice Bruce.
Le vite di lui e della sua Mary finiscono per impantanarsi di nuovo nel momento in cui lui scende al fiume e la mette incinta. La fidanzata è la stessa protagonista di “Thunder Road” con cui il giovane aveva sperimentato la fuga per andare via da una città di perdenti.
Springsteen raccontò di essersi ispirato alla vicenda familiare di sua sorella Virginia, rimasta incinta a 17 anni, e del cognato. Questa ballata però è diventata una pietra miliare perchè per la classe media il fiume rappresentata la trappola del sogno americano (ovvero la speranza che attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica) e il declino del sentimento vero.
Imprescindibile per gli amanti delle ballate rock. Dinamite emozionale. Giudicate voi https://www.youtube.com/watch?v=lc6F47Z6PI4
Point black
Il pezzo più forte del disco con “Jackson Cage”. Una relazione finita male. Lui non riesce a far niente per evitare la fine del rapporto. Il protagonista ha perso totalmente la capacità di influenzare positivamente la vita di chi lo circonda (cosa assai importante). Uno dei pezzi più richiesti in assoluto ai concerti del Boss.
Cadillac ranch
Di questa canzone non riesco a fare a meno, non riesco a starmene fermo inerte. Ormai è un martello quotidiano. Adrenalina pura. Melodia, ritmo inarrestabile, citazioni di personaggi famosi (James Dean ad esempio), ma anche temi dannatamente seri.
Un brano divertente, marcato dal sax di Clarence “Big Man” Clemons. Ad Amarillo, in Texas, c’è una scultura che mostra dieci Cadillac rottamate seppellite con il retro ben in vista. Per Springsteen tutto ciò rappresenta l’essere umano. Quando si è giovani il ritmo è indiavolato, poi piano piano si diventa un rottame. Il declino nella vita dell’uomo è inevitabile (compresi i rocker).
Dal vivo è da overdose emozionale. Pietra miliare. https://www.youtube.com/watch?v=jlzDfUqFyYQ
I’m a rocker
Altro pezzo autoironico dove Springsteen rivela sprazzi del suo ego.
Un pezzo molto mascolino. Un ragazzo esaltato si presenta a una ragazza come un rocker supereroe che viaggia a bordo di una Batmobile. Si sente perfino meglio di James Bond. Riuscirà la nostra eroina a crederci? Chissà…
Fade away
Pezzo lento e triste che parla di un’altra relazione finita. Lui non riesce a dimenticarla e si chiede disperato cosa deve fare. Questo singolo è stato dimenticato da tutti, ma non da Steve Van Zandt che volle a tutti i costi pubblicarlo come singolo. Il pubblico però non gradì particolarmente.
Stolen car
Ancora una relazione finita male. Il protagonista maschile è rimasto deluso e sta per essere soffocato dalla noia. Un tema che oggi è molto comune. “Stolen Car” prende in considerazione il fatto che se non vivi in una comunità (grande o piccola che sia), potresti sentirti invisibile. E’ una sensazione che provoca grande dolore” – ha detto lo stesso Springsteen.
Questi temi saranno ripresi successivamente nel 1987 in “Tunnel of love”.
Ramrod
Bollino rosso. Bimbi e bimbe a letto. Il ramrod è un attrezzo di metallo usato per pulire la canna del fucile. Ma in questo caso ha un doppio senso: da una parte è emblema del più noto organo sessuale maschile, dall’altra è “un motore bollente a quattro marce in una Ford del ‘32” su cui il protagonista vuole portare a giro la ragazza. Un altro pezzo godereccio in cui il protagonista spera di continuare a farlo per sempre. Immancabile in un concerto. L’adrenalina che genera questa canzone è tanta.
The price you pay
Un po’ pop, un po’ country, questa canzone è il prototipo del pezzo immediato. Venne scritta di getto subito dopo le precedenti, una dietro l’altra. Springsteen era in un periodo di grande ispirazione. Una canzone che parla di scelte e del relativo prezzo da pagare, sempre in bilico tra sogno e realtà.
Drive all night
La canzone più romantica del disco. Un uomo che vorrebbe stringere la sua donna. Arriverebbe a guidare tutta la notte pur di comprarle un paio di scarpe per renderla felice.
Questo pezzo è efficace durante i concerti dove emerge la maestria del Boss (con l’ausilio del sax di Clemons) e della E-Street Band. Canzone stratosferica poi rieseguita da Eddie Vedder e Glen Hansard (anche alle due edizioni del Firenze Rocks 2017 e 2019).
Wreck on the highway
La crudeltà di un destino che troppo spesso ci ruba quel poco che abbiamo. Quando entri nel mondo degli adulti, prima o poi, dovrai confrontarti con il tempo che ancora hai da vivere. L’ispirazione avvenne da un incidente automobilistico mortale in North Carolina. Il boss vide il sangue, i vetri rotti e immaginò cosa avrebbe provato un passante che per caso si trovava di fronte a quello “spettacolo”. Il lato oscuro della passione springsteeniana per le auto: sono sì simbolo di fuga per portare a un destino migliore, ma possono essere anche una trappola come in questo caso.
BRUCE SPRINGSTEEN – THE RIVER
- Bruce Springsteen – Voce, chitarra, armonica a bocca, pianoforte (in Drive All Night)
- Roy Bittan – Pianoforte, Organo (in I’m A Rocker e Drive All Night), cori
- Clarence Clemons – Sassofono, cori
- Danny Federici – Organo
- Garry Tallent – Basso
- Steve Van Zandt – Chitarra, cori
- Max Weinberg – Batteria
- Flo & Eddie – cori (in Hungry Heart)
Ascolta l’album qui
Immagine da www.radioclubcalifornia.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.