Già prima della crisi pandemica, l’America del Sud era entrata in una nuova fase di instabilità politica: la farsa dell’autoproclamazione di Juan Guaidó alla Presidenza del Venezuela, le estese rivolte sociali in Ecuador e Cile e per ultimo il golpe in Bolivia avevano messo in luce le contraddizioni di un’area geografica in grande fibrillazione, attraversata dal crescente scontento popolare per le politiche neoliberiste di austerità ma anche dai tentativi più o meno sporchi delle forze reazionarie di sbaragliare i movimenti socialisti.
La pandemia ha esacerbato il quadro, mettendo in luce le debolezze politiche, istituzionali ed economiche di molti Paesi dell’area latina, dal Messico all’Argentina. Non c’è dubbio che la scarsa capacità di contenere la diffusione del Covid-19 e di evitare i danni sociali ed economici legati alla pandemia, stia tutt’ora creando grossi problemi di legittimità per molti dei governi in carica. La gestione neoliberista in America Latina ha così mostrato ancora una volta la debolezza dei suoi servizi pubblici e in particolare dei sistemi sanitari, colpiti negli anni da privatizzazioni selvagge e tagli ingenti. L’ulteriore tracollo nella popolarità di Moreno in Ecuador e di Piñera in Cile, così come il rapido declino della fiducia dei brasiliani in Bolsonaro sono esempi plastici di come il quadro politico stia rapidamente mutando.
La situazione in Bolivia risulta sostanzialmente analoga: il governo de facto presieduto da Jeanine Áñez e che raggruppa tutte le varie componenti della destra boliviana, non gode più di alcun favore popolare. Da quando ha preso illegittimamente il potere[1], il governo si è occupato poco della gestione dello Stato e molto di più a dar vita a una campagna di persecuzioni, violenze, intimidazioni ai danni degli esponenti dell’opposizione[2], nell’assordante silenzio di Stati Uniti e Unione Europea che di fatto avallano i metodi antidemocratici dei golpisti. Il burattino Áñez, impegnata in questi giorni a omaggiare i militari che 53 anni fa uccisero Che Guevara[3], e i suoi potenti soci in affari si sono anche messi in luce per la disastrosa gestione della pandemia, con la Bolivia che ha conta un numero di deceduti per Covid-19 sul totale della popolazione che è fra i più alti al mondo.
Il Paese, che con Evo Morales e il suo Mas (Movimiento Al Socialismo) vantava tassi di crescita economica sbalorditivi, si trova ora in una situazione estremamente preoccupante. Le divisioni etniche e politiche si stanno inasprendo e la Bolivia appare fortemente polarizzata fra una popolazione indigena delle zone andine del sud e dell’ovest del Paese che sostiene in massa il Mas e quella bianca che si riconosce quasi esclusivamente nei partiti che sostengono il governo ad interim. Dopo il golpe, I sostenitori di Morales, per lo più i poveri delle comunità e delle città andine, si sentono comprensibilmente defraudati e non riconosco il governo ad interim che rappresenta gli interessi di una minoranza bianca e benestante che vuole svendere i diritti di sfruttamento delle risorse minerarie del Paese alle multinazionali straniere. D’altro canto i golpisti, che si sono di fatto impossessati di tutti gli apparati statali, a parole vogliono dare l’impressione di essere tolleranti con il blocco sociale ed etnico che sostiene il Mas, ma nei fatti mettono in pratica una guerra sporca alle loro comunità ed istituzioni per espellerli dalla vita politica del Paese, usando metodi squadristi (per mezzo delle forze dell’ordine o tramite gruppuscoli paramilitari responsabili di una innumerevole sequenza di violenze) per intimidire personalità politiche, sindacalisti e giornalisti non schierati col governo de facto[4]. Recentemente Human Rights Watch, in un rapporto di 47 pagine che non è certo tenero con Morales, ha denunciato gli abusi del governo ad interim che usa una magistratura del tutto asservita all’esecutivo per perseguitare avversari politici con accuse del tutto infondate o assolutamente sproporzionate e tramite un uso eccessivo della detenzione preventiva in un contesto di continua violazione della libertà di espressione.
A poco valgono le denuncie della sinistra rispetto a un clima politico che ha poco di democratico e che impedisce che la campagna elettorale possa essere condotta in maniera equa[5]. Le elezioni presidenziali infatti, fissate per il prossimo 18 ottobre, dopo una serie interminabile di rinvii, incombono e le forze della destra stanno facendo di tutto per scongiurare la vittoria del Mas. Un passo in questa direzione è stato quello di mettere fuori gioco Morales, in esilio in Argentina e su cui pendono un numero esorbitante di capi di imputazione, fra le quali anche l’accusa di terrorismo. Recentemente, all’ex Presidente è stato impedito da un tribunale espressione dei golpisti di candidarsi alle prossime elezioni: il lawfare, la guerra combattuta con sentenze, evidentemente politiche, usato per affossare la candidatura di Lula in Brasile spianando la strada a Bolsonaro, diventa sempre più una strategia continentale contro le sinistre[6]. Il Mas perde così il suo leader carismatico e in un clima di violenze ed intimidazioni deve condurre una campagna elettorale molto complicata.
Il candidato del Mas Luis Arce si difende come può dagli attacchi mediatici nei suoi confronti e nonostante tutto resta in testa nelle intenzioni di voto. Gli ultimi sondaggi infatti gli attribuiscono un vantaggio di diversi punti percentuali sul leader della destra affarista Carlos Mesa, mentre più indietro si troverebbe Luis Fernando “El Macho” Camacho espressione dell’estrema destra tramite la rete dei “comitati civici”[7], protagonista delle violenze destabilizzanti che hanno anticipato il colpo di stato e in prima linea nel condurre una campagna di intimidazioni, soprusi e minacce agli esponenti della sinistra[8].
La legge elettorale boliviana stabilisce che se non si raggiunge la maggioranza assoluta è sufficiente ottenere almeno il 40% dei voti ed avere al contempo almeno 10 punti di distacco sul secondo classificato per ottenere la presidenza al primo turno. Anche per questo motivo Áñez ha deciso all’ultimo di ritirarsi dalla corsa, nella consapevolezza che la sua debole candidatura avrebbe solo frammentato il campo della destra che resta comunque diviso fra Mesa e Camacho. Se dunque il Mas ha ottime probabilità di rimanere il primo partito (al netto di possibili brogli elettorali), potrebbe non riuscire comunque a vincere al primo turno. Il ballottaggio permetterebbe alla destra di far confluire i voti su un unico candidato (verosimilmente il più “moderato” Carlos Mesa) che a questo punto si troverebbe in vantaggio per aggiudicarsi la presidenza.
In questo scenario, che resta comunque molto aperto, la destra sembra intenzionata a non riconoscere una eventuale vittoria del Mas, denunciando a priori brogli elettorali qualora Arce dovesse prevalere nelle elezioni. Inutile dire che però ovviamente sono i golpisti ad essere in possesso di tutti gli organi istituzionali, oltre ad avere l’appoggio degli Stati Uniti, e quindi gli unici a poter eventualmente truccare le elezioni. Anche per questo i sostenitori del Mas, stanchi dei soprusi subiti, non accetteranno facilmente di essere nuovamente defraudati e non faranno mancare il loro grido di protesta di fronte ad altre ingiustizie. Le elezioni rischiano dunque di condurre il Paese in una situazione di aperta conflittualità sociale dall’esito imprevedibile.
Immagine da commons.wikimedia.org
Per una ricostruzione degli eventi che hanno portato alla caduta di Morales e al colpo di stato di destra in Bolivia rimando a un mio precedente articolo: https://www.ilbecco.it/bolivia-vincono-i-golpisti/
2 Ne ho parlato qualche mese fa qua: https://www.ilbecco.it/bolivia-il-3-maggio-le-elezioni-in-un-clima-di-repressione-e-intimidazioni/
3 https://www.agenzianova.com/a/5f81e6184ea2f1.99363889/3136851/2020-10-10/bolivia-la-presidente-anez-omaggia-i-militari-che-uccisero-che-guevara
4 https://www.telesurenglish.net/news/bolivias-regime-mobilizes-far-right-paramilitary-groups-20200809-0011.html
5 https://www.lacittafutura.it/esteri/l-emergenza-sociale-in-bolivia-durante-la-pandemia
6 http://en.granma.cu/mundo/2018-09-26/the-war-against-democracy-in-latin-america
7 Per un approfondimento sulla figura di Camacho: https://left.it/2019/11/13/chi-e-davvero-luis-fernando-camacho-leader-dei-golpisti-boliviani/
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.