Correva l’anno 2009 quando la Grecia improvvisamente si ritrovò in concorso a Cannes (miglior film nella sezione Un certain regard) e agli Oscar 2011 come miglior film straniero (anche se, per la cronaca, vinse la danese Susanne Bier con “In un mondo migliore”). Yorgos Lanthimos da allora è divenuto l’autore di punta del cinema ellenico dopo la scomparsa di Theo Angelopoulos. Presto è diventato presenza fissa (e spesso premiato) ai principali festival cinematografici del mondo come Venezia e Cannes, fino all’Oscar per “La favorita” (per l’attrice Olivia Colman).
In Italia l’immenso talento di questo regista lo abbiamo apprezzato solamente nel 2015 con “The lobster”, il primo film internazionale. La carriera di Lanthimos iniziò nel 2001 con My Best friend. Doogtooth (in lingua originale conosciuto come Kynodontas) è il terzo film.
A ottobre 2020 i cinema non hanno grandi prodotti da offrire. Così succede che nel Belpaese, visto il prolungarsi della pandemia, finalmente dopo 11 anni di onorato menefreghismo, finalmente viene proposto “Dogtooth”. L’ennesima vergogna distributiva. Stavolta onestamente si supera ogni record. La stragrande maggioranza del pubblico che segue il cinema internazionale ha visto il film su Internet o attraverso i dvd stranieri (compreso chi vi scrive). Perché neanche è stata fatta l’edizione italiana in home video.
Ma c’è un perché dietro a tutto ciò.
Vedere nel 2020 Dogtooth non è anacrostico. Attenzione: non è raffigurato il lockdown! Questo non è il nocciolo della questione. Dogtooth, come detto, è stato scritto quasi dodici anni prima con un budget modestissimo: appena 250.000 euro!
Stiamo tornando indietro, quindi è ancora contemporaneo. Ma soprattutto si può non comprendere l’allegoria celata dietro questo complesso marchingegno messo in piedi da Lanthimos. Soprattutto chi ha la memoria corta, come buona parte del popolo italiano.
Il film quando uscì rappresentò per l’intera Grecia un toccasana perché a breve si sarebbe trovata nel vortice di una spaventosa crisi economica e sociale. Lanthimos e il co-sceneggiatore Efthymis Filippou sono riusciti a intercettare le paure e il comprensibile dolore di un popolo.
Solo che la messa in scena è dannatamente grottesca e pare assai irreale. O meglio è surreale. Ma, come dimostrava Bunuel la surrealità spesso finiva per essere più reale della realtà. “L’angelo sterminatore” non a caso è uno dei punti di riferimenti per la costruzione di questo film.
Dogtooth è un (radicale) tentativo di mettere in scena le difficoltà della società greca nel costruirsi una nuova identità. Perfino la famiglia borghese protagonista è costruita con un’idea totalitaria e distorta: i genitori sono i creatori di una realtà fittizia dove ognuno ha un ruolo prestabilito. Come nel treno di “Snowpiercer”: c’è chi è nato per stare in coda, chi nella locomotiva. L’ordine non si può modificare. La lenta ed inesorabile disgregazione del patriarcato verrà fuori un po’ alla volta, “covando” segretamente come in Parasite.
Veniamo al film.
Vicino all’Acropoli, chiusi in casa e senza possibilità di conoscere il mondo esterno, due sorelle e un fratello senza nome ricevono una vita “controllata” in un microcosmo chiuso. Non si può uscire dalla villa, nascosta dietro un alto muro. Tutto ciò che serve è all’interno. Ovviamente il marito ha sposato una donna che è stata sottomessa assieme ai figli. Il padre è un alto dirigente d’azienda nonché tiranno e ha tutti sotto stretto controllo. Il film non spiega mai tale decisione, ma se si analizza il contesto politico/sociale della Grecia si capisce eccome. Questa famiglia è un’allegoria orwelliana del popolo greco che è stato diviso, lacerato, ridotto in macerie e poi strettamente controllato dall’Europa. Il padre padrone chiaramente è il potere tecnocratico franco/tedesco (ne sappiamo qualcosa anche in Italia). Il rischio populismo è altissimo se i figli escono dalla villa. I rischi di una deriva nazionalista sono tanti (lo stiamo vedendo).
I figli sono cresciuti con un lessico diverso dal normale (ad esempio il mare è una sedia secondo il loro vocabolario) e una concezione deformata della realtà (il gatto risulterebbe l’animale più pericoloso del mondo perché capace di uccidere e mangiare le persone). La tv si accende unicamente per vedere vecchi filmini di famiglia (questo perché altrimenti si potrebbe capire che questa “vita-prigione” suona come falsa). Lanthimos usa lo spettatore come cavia privandolo dell’empatia per farlo entrare nel cuore del racconto.
Sull’esempio del cinema di Michael Haneke, il regista greco usa tutte le sue caratteristiche: inquadrature fisse, geometriche e frontali, annullamento emotivo, colori freddi e asettici. La repressione dei sentimenti lascia posto a ira, istinti bestiali e il “fare da gnorri” per camuffare le difficoltà e per non mostrare la verità, mantenendo vive le apparenze.
Tutto ciò Lanthimos lo ha inserito anche nei suoi film successivi: in “Alps” (che tornerà nelle sale italiane dal 17 settembre) la disciplina portava allo sfinimento fisico, in “The lobster” i single venivano reclusi in un hotel prima di essere trasformati in bestie a scelta del malcapitato di turno. Per non parlare della famiglia “disfunzionale” de “Il sacrificio del cervo sacro”: familiari che sperano nelle malattie altrui, amore malvissuto, senza gioia, l’atto sessuale come un esercizio finto, quasi meccanico, senza empatia.
Tale regressione parte proprio da Dogtooth. Basta tradurre il titolo per capirlo: letteralmente significa dente di cane. Ovvero il canino.
Un forte inganno si cela dietro questo titolo: il padre ha convinto i tre figli che potranno uscire di casa quando perderanno il dente, ma la casa è la Grecia. Il padre è padrone, le vite dei figli sono sacrificabili perché quello che “allevia” i dolori degli altri è il capofamiglia. Ovviamente però la realtà è l’esatto opposto e si paleserà ben presto.
Quando il maschio dovrebbe sfogare appetiti sessuali (che chiaramente non può aver sviluppato), il padre padrone stravolgerà il sistema da lui creato introducendo nella villa un’addetta alla sicurezza della sua azienda. Chiaramente lei, da entità esterna, ha un nome: Christina. Il tutto per appagare l’unico erede maschio.
Ma sarà proprio “il corpo estraneo” a sconvolgere gli equilibri familiari.
Oltre alla sapiente regia e a un’ottima sceneggiatura, è da ricordare il cast: la madre sembra sacrificata, ma pur in secondo piano è sempre presente nelle “inquadrature” familiari. Segno della sua sottomissione devota e voluta al marito.
Il trio Passalis – Papoulia e Tsoni sono il sale del film, mostrando tutte le sfumature di questa famiglia disfunzionale. Prendendo ancora spunto dalle tragedie greche, Yorgos Lanthimos mostra tutto l’orrore dell’ignoranza di una società disfunzionale e autoritaria che ha messo da parte valori ed empatia verso il prossimo.
Non è il miglior film del regista greco, ma vedere Dogtooth aiuta a comprendere ancora meglio i film successivi. Senza questa sperimentazione, probabilmente non ci sarebbero stati The lobster e La favorita.
FONTI: Mymovies, cinematografo, cinematographe, sentieriselvaggi, cineforum, movieplayer
DOGTOOTH (v.o. KYNODONTAS) ***1/2
(Grecia 2009)
Genere: Grottesco, Drammatico
Regia: Yorgos LANTHIMOS
Sceneggiatura: Yorgos LANTHIMOS e Efthymis FILIPPOU
Fotografia: Thimios BAKATATAKIS
Cast: Christos Stergioglou, Michele Valley, Aggeliki Papoulia, Mary Tsoni, Hristos Passalis, Anna Kalaitzidou
Durata: 1h e 34 minuti
Uscita Italiana: 27 Agosto 2020
Distribuzione: Lucky Red
Trailer Italiano: qui
Budget: 250.000 euro
La frase: Se state all’interno, siete sicuri. Siete protetti.
Regia **** Interpretazioni ***1/2 Fotografia ***1/2 Sceneggiatura ****
Recensioni dei film di Lanthimos:
La Favorita
Il sacrificio dei cerco sacro
The Lobster
Immagine da www.wikipedia.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.