Dopo le elezioni siciliane: un commento a caldo
Le elezioni siciliane possono essere commentate a caldo con difficoltà, a causa del lento spoglio con cui arrivano e vengono comunicati i risultati. Nonostante questo, a distanza di almeno 24 ore dalla chiusura dei seggi, appare certa la vittoria del centrodestra e un buon risultato del Movimento 5 Stelle.
Le polemiche, soprattutto a sinistra, arrivano puntuali e familiari, mentre l’astensione continua ad essere declamata come problema e inefficacemente contrastata. Siamo al preludio del prossimo Governo nazionale? Hanno vinto e perso tutti?
Non conosco la realtà siciliana, e sicuramente mi sfuggono le dinamiche più importanti.
Quello che anche un osservatore distante può notare è la palese forza del centrodestra quando si presenta unito, di cui troppi dubitano ancora, e al contrario la debolezza di un “indotto PD“, perimetro di forze che copre malamente una parte del defunto centrosinistra, carente di proposte, di caratura politica e di carisma.
I grillini si confermano ancora una volta incapaci di recuperare dall’astensione. Meglio non va alla sinistra, che ottiene, presentando sotto una patina di unitarietà la solita accozzaglia fumosa di soggettini, un risultato non pessimo ma nemmeno esaltante. Nel complesso un ben misero spettacolo.
Il disastro dell’amministrazione Crocetta è andato ad aggiungersi a una tendenza nazionale (e non solo) che vede il tracollo delle forze politiche socialdemocratiche.
La disoccupazione di massa record, con elevati tassi di precarizzazione e un’alta incidenza di lavoro in nero non hanno trovato alcuna risposta dell’amministrazione uscente, che anzi ha assecondato le dinamiche neoliberiste. A questo si è aggiunto un costante taglio dei servizi dalla sanità, all’acqua al trasporto pubblico. I buchi di bilancio evidentemente non sono andati a sanare la situazione sociale che continua a peggiorare, lasciando terreno fertile alle mafie che sentitamente ringraziano avendo più possibilità di ricatto. Il M5S resta ancora fuori dal governo, ma sembrerebbe ancora per poco.
Il ritorno alle forze conservatrici di centrodestra è solamente il frutto del reflusso da un’amministrazione di centrosinistra assolutamente velleitaria.
Stessa storia, stesse dinamiche da “abbiamo vinto tutti”. La solita astensione denunciata, che però fondamentalmente interessa a poche personalità del panorama politico.
La candidatura di Fava, nella percezione diffusa del cittadino comune, almeno fuori dalla Sicilia (quindi il commento può darsi paghi una prospettiva esterna), suonava assurda a chi si ricordava la questione della residenza del 2012.
I dati della scorsa tornata: 122.633 voti (6,057%) a Giovanna Marano, candidata alla Presidenza all’ultimo momento per sostituirle lo sfortunato. Le liste a suo sostegno sotto la soglia del 5%: FDS-SEL-VERDI con 58.753 voti (3,067%), Italia dei Valori 67.738 voti (3,536%). Il PCL con 4.495 voti (0,222%).
Fate un paragone con i risultati definitivi non appena arriveranno.
Poi pensate sempre a chi si rapporta poco con la politica italiana. Tolto il dispetto a Renzi, favorendo la nuova scissione di MDP, perché uno dovrebbe andare a votare per la sua prima volta la “sinistra unita”? Quale progetto, se ogni volta, in ogni luogo, ci si inventa un nuovo simbolo, un programma-fotocopia (che tanto i valori son quelli)…
L’autoreferenzialità della politica ufficiale ha raggiunto ormai livelli assurdi, a prescindere dalla particolare situazione dell’isola. L’affluenza ha registrato un momento di ripresa solo con il referendum costituzionale, ma negli enti locali ormai non c’è Sindaco eletto con il sostegno di almeno la metà dei suoi cittadini.
Ciclicamente si rischia di scrivere ogni volta un commento simile alla tornata elettorale precedente, a cui aggiungere le peculiarità della situazione particolare.
Un paio di considerazioni in conclusione: il centrodestra non è mai sparito nel Paese e il Movimento 5 Stelle non è la risposta degli astensionisti ma un fenomeno ben peggiore.
La noia elettorale autunnale, la prossimità delle consultazioni politiche a primavera e il fatto che si tratti della Regione più grande d’Italia hanno portato sulla Sicilia un’attenzione spropositata dei commentatori, maggiore di quella posta dai partiti stessi i quali ben sanno (tutti) come dalle dinamiche isolane difficilmente possa sorgere una chiave di lettura nazionale.
A spoglio non ancora del tutto ultimato si può dire che l’unica sorpresa rispetto alle anticipazioni della vigilia sia stata la forza del voto disgiunto, che ha premiato i due candidati maggiori (Musumeci di destra e Cancelleri del M5s), ritenuti i soli ad avere reali possibilità di contendersi la vittoria. Analizzando il voto per area politica si nota, rispetto al 2012, l’ovvia crescita del M5s che passa dal 15 al 27%: proprio in Sicilia ebbe la sua prima affermazione di spicco, in anticipazione dell’exploit alle politiche di febbraio. Risultato comunque sotto le attese, vicino più al 26% delle europee che al 34% del 2013.
Il M5S pare aver drenato soprattutto dalla ex Casa delle Libertà: l’area di centro (Udc, Fli, Ap) passa dal 15 all’11% e le altre forze di destra, dai regionalisti a FI ai missini, complessivamente calano dal 40% al 35%. Anche la sinistra radicale cede qualcosa, scendendo dal 7 al 5%. La sola area a registrare una crescita, oltre ovviamente ai 5 stelle, è il centrosinistra che aumenta di poco, dal 20 al 21%. Un risultato di rispetto, anche considerati due fattori: il diverso clima politico, che nel 2012 gonfiava le vele dell’alleanza bersaniana (si confrontino le divisioni a destra di allora con la ritrovata unità di oggi); il fuoco incrociato piovuto contro il Pd da ogni parte: Grasso, Berlusconi, Salvini, Grillo…
Molto eloquente che la reazione di Berlusconi e Di Maio sia stata identica: questi ha disdetto il previsto dibattito televisivo a cui aveva sfidato (!) Renzi, mentre l’ex cavaliere ha affermato che la sfida per il governo è con il M5s. Confinare il Pd di Renzi in un angolo per battersi contro l’avversario più debole è una via allettante, ma c’è da chiedersi quanto redditizia per i partiti “moderati” come Forza Italia o Udc, che di certo non vogliono cadere nell’abbraccio mortale con la Lega, ormai di ultradestra, né favorire la crescita del partito di Grillo (e si presume siano preoccupati anche dalla crescita di CasaPound, che attirerà ancora più a destra Salvini e i post-fascisti di Fd’I). Ragionevolmente difficile pensare, poi, che a uno scenario simile vogliano contribuire personalità come lo stesso Grasso.
Non so se il risultato siciliano rafforzi Renzi, come ha dichiarato il Presidente uscente Crocetta; di certo dovrebbe rafforzare l’intento del Pd di costruire una larga alleanza sociale in vista delle elezioni politiche.
Le elezioni in Sicilia ci dicono ancora una volta della straordinaria forza che la destra ha quando si presenta unita. Meloni, Salvini e Berlusconi possono festeggiare un risultato che è il frutto di una vittoria politico-culturale estremamente preoccupante: l’essere riusciti a incanalare la sfiducia e la rabbia sulla questione della sicurezza e sul problema dell’immigrazione è la grande sconfitta storica delle sinistra.
Così, l’ex MSI e AN Nello Musumeci, nonostante la sonora sconfitta subita nel 2012, ha nell’Italia di oggi un profilo vincente. Il fatto che ad Olbia CasaPound ottenga nel frattempo risultati clamorosi, corrobora la sensazione che persino criticare da destra la presunta “moderazione” della Lega o Fratelli d’Italia possa essere una strategia vincente. Questa retorica nazionalista e securitaria che serve a mascherare una adesione di fatto al paradigma neoliberista imperante, difficilmente può essere sconfitta alla lunga dall’ambiguità del M5S che si conferma essere tutto e il contrario di tutto o dal PD anch’esso in crisi di identità dopo una lunga serie si scissioni che hanno destabilizzato il partito e messo in discussione l’efficacia della linea Renzi. Neppure alla sinistra del PD però si può parlare di identità forte dato che come al solito è prevalsa la logica dell’accozzaglia elettorale piuttosto che di un progetto di lunga durata. Il risultato non entusiasmante di Fava è l’ennesima dimostrazione che non basta l’autorevolezza e il carisma di un leader, ma serve anche una struttura e una identità coerente. Questa mancanza non è in realtà colpa della Sicilia ma della sinistra a livello nazionale che non ha ancora fatto dei passi concreti verso un processo unitario dal basso fondato su alcuni principi chiave chiari e precisi. Senza un’identità vince la proposta monodimensionale della destra.
Immagine liberamente tratta da scenaripolitici.com
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