Dopo i non eccelsi “Lupo solitario” e “Tre giorni per la verità”, Sean Penn ha vinto l’ennesima sfida della sua carriera: diventare anche un regista di livello. Tant’è che dopo questa terza regia, l’attore premio Oscar nel 2007 alzerà l’asticella con quel gioiello di “Into the wild”, entrato di diritto nel cuore di molti spettatori. Non a caso questi due film hanno in comune il tema dell’ossessione.
A differenza del romanzo dello scrittore svizzero Friedrich Durrenmatt (in Italia edito da Adelphi), “La promessa” è ambientato nella provincia, in una piccola cittadina incastonata nelle montagne del Nevada, negli Stati Uniti occidentali. Durrenmatt, originariamente, aveva scritto la sceneggiatura per il film Il mostro di Mägendorf di Ladislao Vajda. Poi divenne un romanzo ambientato nella natia Svizzera. Una differenza sostanziale visto che nel libro si sente molto lo spirito europeo della storia.
Chiaramente anche i nomi dei personaggi sono diversi.
Correva l’anno 1958 quando il libro fu pubblicato. È passato tanto tempo, ma l’attualità del romanzo è sempre enorme.
Veniamo al film che in pochi, purtroppo, hanno visto. Fin dalle prime immagini, siamo avvolti dalla luce: un sole abbagliante, tanta polvere e un uomo solo che ripensa a qualcosa che capiremo alla fine. Poi lo scenario cambia: una neve candida e fredda, una mandria di cavalli che corrono e un uomo con un fuoristrada che sta andando a lavoro. Dopo aver passato la galleria, lo scenario diventa normale, come quello di un giorno qualsiasi. Presto però in mezzo alla neve viene trovato qualcosa, si vedono le sirene della polizia. C’è stato un omicidio. Poco prima un ragazzo aveva notato un pick up rosso e un uomo che scappava. Poi girando l’angolo, ha trovato il cadavere di una bambina.
“La promessa” è un film che ti inebria un po’ alla volta, come un’ubriacatura. Perché il protagonista, Jerry Black (Jack Nicholson) è un poliziotto vicinissimo alla pensione. Un po’ come al detective di Morgan Freeman nello splendido “Seven”, vicinissimo al traguardo, gli capita un caso piuttosto spinoso.
Il film inizia proprio dalla festa per il suo pensionamento. I colleghi, pur non amando Jerry, gli fanno una festa a sorpresa, prima delle ultime ore di lavoro. Se si legge il libro di Durrematt, quando viene introdotto il personaggio di Matthai (nel film l’equivalente di Jerry/Jack Nicholson), l’uomo viene descritto come “uno che non molla mai, un solitario, vestito sempre in modo impeccabile, distaccato, formale, non intratteneva relazioni sociali, non beveva e non fumava, svolgeva il suo lavoro in modo duro, spietato, instancabile, suscitava odio e in pari misura collezionava successi. Aveva ottime capacità organizzative e aveva un’intelligenza fuori dal comune, resa arida dalla struttura troppo rigida del suo Paese” (la Svizzera). Pochi colleghi riuscivano a capirlo davvero.
Ma Jerry non brama la pensione, non ha famiglia e non parla mai della sua vita privata. Il suo lavoro è stata tutta la sua vita. Nel suo ultimo giorno in ufficio, tra foto personali e canne da pesca, Jerry riflette su cosa lo attenderà ora, una volta fuori da lì. Si sente solo e spaesato. Così si prende il caso a cui dedica anima e corpo. Grazie al ragazzo testimone, viene arrestato un balordo, chiaramente un immigrato di origini indiane. Trump ne sarebbe fiero. Toby (Benicio Del Toro), però si suicida alla stazione di polizia, dopo essersi autoaccusato dell’omicidio per lo stress dell’interrogatorio.
Jerry Black non è convinto che possa esser stato lui. Così parla con la famiglia della piccola che vuole giustizia. La madre (stupenda la performance di Patricia Clarkson) gli chiede di “trovare l’assassino a costo di perdere la sua anima”. Amen.
La promessa viene mantenuta. Jerry diventa una sorta di Don Chisciotte. Cambiano i mulini a vento, ma se osserviamo bene ci sono anche quelli. L’uomo sospetta che dietro questa storia ci sia un serial killer. Questo patto trasformerà definitivamente il personaggio.
Andato in pensione, continua a occuparsi del caso privatamente, ma i suoi ex colleghi hanno chiuso il caso con il suicidio di Toby. A Jerry non rimane che la pesca. Grazie ad essa, ha imparato che la pazienza riserva sempre un ruolo importante. Continua le indagini privatamente scoprendo un’area delimitata dove il presunto killer di bambine ha agito nell’arco degli ultimi anni. Lo riesce a capire perché tutte le bambine coinvolte hanno precise caratteristiche: sono bionde, hanno 9 anni, vestono di rosso e tutte hanno incontrato un gigante alto come una montagna, vestito di nero e “pieno di piccoli porcospini”. Una delle vittime ha fatto anche un disegno dove lo ha ritratto. Già ma cosa saranno mai questi fantomatici porcospini?
Jerry nel frattempo abbandona la zona desertica. Il paesaggio cambia. Una scelta registica non casuale perché ci fa capire il profondo cambiamento di umore dell’ex detective.
Jerry si trasferisce in uno di questi paesini del Nevada, tra le pendici montuose e la zona dei laghi (Black è un appassionato di pesca).
Lentamente si rifà una vita: acquista una stazione di servizio con tanto di appartamento. Riesce a trovare anche l’amore: la barista Lori (Robin Wright, all’epoca moglie di Penn) che ha una figlia dell’età delle vittime del serial killer.
Il piano di Jerry di far uscire allo scoperto il serial killer funziona, l’intuizione c’è. Non molto tempo dopo, infatti, l’assassino tornerà in azione. La tensione aumenta esponenzialmente, la regia da sobria accelera diventando ansiosa. Penn è maniacale nell’uso dei primi piani e dei dettagli su corpi e oggetti. Ma il razionale non è sempre migliore del caos. Il dominio è sempre e solo di un protagonista: il caso. E anche in questa vicenda sarà lui ad avere ragione.
Tanto che l’esistenza di Jerry sarà distrutta nonostante il suo amore sia puro e forte e la verità sia dalla sua. È il destino dei visionari che magari scoprono vie invisibili, ma che non sempre riescono a mostrare agli altri le loro intuizioni. Ciò anticipa la futura mossa: infatti, proprio sul più bello, un nuovo nemico arriverà a colpire. E Jerry lo conosce bene, troppo bene. Memorabile il finale. Aspetti al varco “l’americanata”, ma Penn è troppo bravo e riesce a spiazzare gli spettatori con mestiere e bravura. Il regista si diverte a rompere la consuetudine del finale del genere giallo, rendendo “La promessa” un film unico.
Una storia inconsueta che non si preoccupa di spaventare il pubblico. Oggi purtroppo film di questo tipo raramente vengono prodotti e distribuiti in sala.
Straordinario il cast assemblato. Jack Nicholson (doppiato da Giancarlo Giannini nella versione italiana) è perfetto nel delineare la psiche contorta di questo detective, lasciando da parte il ghigno del Joker. Sicuramente una delle interpretazioni più sfaccettate della sua carriera. Accanto a lui grandi comprimari extralusso: Helen Mirren, Vanessa Redgrave, Robin Wright (futura moglie di Sean Penn), Benicio Del Toro, Mickey Rourke, Sam Shepard, Patricia Clarkson e Aaron Eckhart.
Inoltre, come nel successivo “Into the wild”, la fotografia è un personaggio fondamentale della storia. La natura fornisce indizi sul protagonista. Merito del direttore della fotografia Chris Menges (Mission, The Reader, Michael Collins, The Boxer) che illumina un clima morale e sociale desolante e arido, comunemente noto come conformismo.
L’investigazione diventa una pericolosa ossessione. Il poliziotto sente la cattura del colpevole come un dovere morale, un riscatto al suo sentirsi spesso inadeguato. Ma c’è un errore che lo spettatore non deve fare: la promessa è un gigantesco paradosso che ribalta continuamente i valori in gioco. Vi spiego perché. Uno come Jerry per mantenere le promesse deve credere fortemente in quello che fa, con una serietà simile a quella dei bambini. Non a caso Jerry sa cosa significa la promessa e vuole portare il gioco fino in fondo. Ma essendo un adulto, viene ritenuto dagli altri un bambino. Siccome non è conformato agli altri, viene visto come un “ritardato”. I colleghi nell’ufficio e i superiori di Jerry tendono a non impegnarsi troppo e a giudicare pazzo o infantile chi lo fa. Sean Penn gioca costantemente con i concetti di adulto e bambino, divertendosi a scambiare i ruoli.
Questa storia è attualissima perché parla di una pazzia collettiva ben più inquietante: i veri pazzi sono i conformisti e tutti quelli che, pur non credendoci veramente, scelgono di omologarsi. Chi non si conforma all’idea dominante è fuori. Una storia che, ahimè, conosco fin troppo bene. Il paradosso non è solo sociale, ma anche topico del cambiamento fatto nei primi anni 2000 da Hollywood. Desideroso di poter realizzare delle opere adulte e profonde, Sean Penn si infuriò criticando apertamente la logica dei produttori e dei registi, interessati unicamente agli incassi dei loro film. “Ai giorni nostri vengono considerati “buoni” film quelli che hanno soddisfatto i dirigenti della banca che l’hanno finanziato. Sfortunatamente, produrre dei film sconvolgenti o quantomeno interessanti, è un concetto assai superato. Quanto a Michael Bay, vedere uno dei suoi film è come leggere un libro sui decessi per tumore. Questo genere di regista dovrebbe stare in un ospedale a soffrire di un cancro al colon, urlando dal dolore tutto il giorno. Sono registi che se ne fregano altamente dei film che realizzano e a cui importa un fico secco della realtà che li circonda” – disse il regista. Le parole vennero detto a seguito del fatto che l’ex proprietario di 20th Century Fox, Rupert Murdoch, non gli pagò il biglietto aereo per la promozione del film “La sottile linea rossa” di Malick. Penn, a differenza di quando fa l’attore, sembra aver trovato da regista un filone di storie importanti sulla scia dei temi posti dal regista tedesco Fritz Lang (“M il mostro di Dusserdolf, Metropolis) quasi un secolo fa. Fino a che punto può spingersi la sete di giustizia, prima di diventare a sua volta ingiustizia e sopraffazione?
FONTI: Comingsoon, Mymovies, Debaser, Cinematografo, Repubblica, Offscreen, Onda cinema
LA PROMESSA ****
(USA, 2001)
Genere: Thriller, Drammatico
Regia: Sean Penn
Sceneggiatura: Jerzy Kromolowski e Mary Olson Kromolowski
Fotografia: Chris Menges
Musiche: Hans Zimmer, Klaus Badelt
Cast: Jack Nicholson, Robin Wright, Helen Mirren, Aaron Echkart, Benicio Del Toro, Sam Shepard, Mickey Rourke, Patricia Clarkson, Vanessa Redgrave
Durata: 2h e 3 minuti
Prodotto e distribuito da Warner Bros
Trailer Originale qui
Budget: 45 milioni di dollari
La frase: Lei mi promette che deve trovare l’assassino a costo di perdere la sua anima
Regia **** Interpretazioni ****1/2 Fotografia ****1/2 Sceneggiatura ****
Immagine da www.movie.ch
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.