Poco più di vent’anni fa usciva in tutto il mondo un film spiazzante, fuori dagli schemi, rivoluzionario e ricco di invenzioni. Un’opera a basso budget per il cinema americano (circa 10 milioni di dollari) che dimostra che, se si hanno le idee giuste, si può fare arte anche con pochi soldi. Eppure se Charlie Kaufman (Anomalisa, Synecdoche New York, Se mi lasci ti cancello), uno degli sceneggiatori più riconoscibili e cervellotici di tutto il panorama cinematografico, non avesse spedito lo script a Francis Ford Coppola il progetto non sarebbe stato sviluppato.
All’epoca infatti la figlia di Francis, Sofia Coppola, era legata ad Adam Spiegel (quando uscì questo film i due si sposarono per poi divorziare nel 2003). Questo nome non vi dice molto, perché nel cinema è conosciuto con lo pseudonimo di Spike Jonze. In “Lost in translation” (uscito nel 2003 nei cinema, ma girato nel 2002) si capiva che tra i due il rapporto si stava rompendo. La Coppola esponeva la cosa in maniera inequivocabile attraverso Charlotte (il personaggio di Scarlett Johansson), mentre l’attore Giovanni Ribisi interpretava l’alter ego di Spike Jonze (qui potete trovare il trailer del film).
Quest’ultimo è l’autore di film come Her, Nel paese delle creature selvagge e Il ladro di orchidee, ma anche di molti videoclip musicali per artisti come Beastie Boys, Fatboy Slim, Bjork, Chemical Brothers e REM. Non è assolutamente un caso che l’ex leader di questi ultimi, Michael Stipe, credette talmente tanto in “Essere John Malkovich”, da figurare come produttore.
La sceneggiatura non fu commissionata da nessuno. Kaufman l’aveva scritta di getto (quasi sicuramente si era anche abbondamente drogato). Ma perché John Malkovich? Lo stesso attore all’inizio non era propenso ad accettare la parte. Aveva paura che fosse un flop e che anche lui sarebbe finito nella voragine (in fondo portava il suo nome). Infatti suggerì a Spike Jonze “perché non chiamate Tom Cruise? Perché proprio me?” Dopo due anni di corteggiamento, Malkovich accettò di far parte del progetto, offrendosi anche di co-produrre la pellicola. A detta di Kaufman, “nessun altro nome suona così bene quando viene ripetuto tantissime volte. Insomma se bisogna entrare nella testa di una persona famosa nel 1999, la più interessante, strana e accattivante è lui”. E in effetti Malkovich è noto per il suo sguardo da “psicopatico”, per la sua innata capacità di essere enigmatico, misterioso e fuori dai canoni.
Questo film più che di Spike Jonze, è il film che ha fatto conoscere al mondo l’innato talento di Charlie Kaufman. La sceneggiatura era talmente piena di idee fuori dai canoni che divenne ben presto originale. Ma a Hollywood venne vista come un pericolo.
Perché la genialità del suo autore era quella di nascondere dietro alla facciata, una critica al mondo della cultura e alla sua rappresentazione. Il burattinaio Craig è inizialmente uno sfigato nonostante abbia delle qualità fuori dal comune. Ottiene la fama solo dopo, quando entra in gioco l’assenso della star John Malkovich. Allora tutti lo vedono un genio.
Tuttavia in partenza l’idea di Kaufman era quella di unire due concetti semplici: quella di un uomo che si innamora in un ufficio di una donna che non è sua moglie e la volontà di essere qualcun altro. Fondendo le due cose insieme si ottiene la storia di questo film.
Craig Schwartz (John Cusack) è un burattinaio di scarso successo. È praticamente disoccupato, ma ha una grande abilità e velocità nell’uso delle dita. Vive con la moglie Lotte (una irriconoscibile e imbruttita, non per caso, Cameron Diaz) che è ossessionata dagli animali. In casa hanno un cane, un gatto, un’iguana, una scimmia, un furetto e un pappagallo.
Lotte sprona Craig a cercare un lavoro. L’occasione si presenta molto presto (fate attenzione a come vengono rappresentati i colloqui di lavoro, puro genio). La Lester Corp, azienda che si trova in un fantomatico grattacielo di New York al settimo piano e mezzo, lo ingaggia come archivista vista la sua grande velocità dell’uso delle dita.
Il giorno dell’arrivo di Craig a lavoro è forse una delle due scene migliori del film. Il luogo di lavoro è davvero grottesco, per non dire farsesco. L’ascensore si blocca al settimo piano e mezzo come ci fosse un’emergenza, i soffitti sono bassissimi e bisogna camminare accovacciati. Ma perchè questa trovata dei soffitti? Come dice il capo della Lester Corp, “abbassiamo i costi ragazzo mio, per poter mantenere lo stipendio”. Vi ricorda qualcosa? Ogni riferimento a quello che oggi è prassi non è casuale.
Sarà proprio qui che si innamorerà della conturbante collega Maxime (Catherine Keener, già vista in Into the wild, Soldado e Synecdoche New York), ma il suo amore non è corrisposto. La fortuna di Craig però non è solo questa: dopo un po’ di tempo, scopre una porticina nel suo ufficio che lo conduce in un tunnel che sfocia nella mente dell’attore John Malkovich. Dopo 15 minuti di gloria, il “malcapitato” si ritrova in un anonimo fosso adiacente all’autostrada, nel New Jersey.
Eccitato, Craig mostra la sua scoperta a Maxime. Nascerà così una società, la J.M. Inc, che permette durante le ore notturne alla gente di entrare nella mente di Malkovich per 15 minuti, al costo di soli 200 dollari.
Poi però il vero John Malkovich si paleserà nell’ufficio, stanco di questo continuo passaggio di gente nella sua testa. L’improvviso successo scatenerà importanti conseguenze, scatenando l’inizio di un film in perenne bilico tra ironia, farsa, schizofrenia e dramma psicologico.
Se credete che vi abbia raccontato tutto, questo è solo l’inizio perché il finale è quasi impossibile da azzeccare.
L’idea di fondo della pellicola è principalmente una: che la vita dei vip sia nettamente migliore della nostra. Un paradigma che andrebbe rivisto e che causa insoddisfazione nelle persone comuni (come la moglie di Craig, Lottie, che scopre infatti la sua vera identità sessuale). Ma il film è un gigantesco gioco di specchi: tutto riflette e si riflette, ogni pensiero si sovrappone all’altro e non si sa mai chi manipola chi.
Kaufman è acuto osservatore della realtà e critica in maniera netta questi meccanismi. Alla critica antropologica poi c’è quella al capitalismo, che subentra nella seconda parte del film.
La prima cosa che Maxime pensa quando Craig gli mostra il “passaggio” alla testa di Malkovich, è la creazione di una società che permetta di fare profitti. Questa si chiama mercificazione dell’essere umano. Vent’anni dopo si può capire che la critica di Kaufman era fondatissima.
Un film che è un continuo confronto tra sogno e realtà, tra surrealismo alla Bunuel e onirismo alla Fellini che conduce poi a Gondry (Se mi lasci ti cancello) e Kusturica. Il ritmo impresso al film è altissimo e non annoia mai fino a quella splendida scena (la migliore in assoluto dell’intera pellicola) in cui l’attore John Malkovich decide di entrare nella sua testa. La scena del ristorante si fa emblema della società di massa, del conformismo imperante. Tutti vogliono essere Malkovich, tutti ordinano Malkovich. Tutto è oggetto, tutto è in vendita, tutte le persone (perfino le donne) hanno la faccia di John Malkovich (la scena la potete vedere qui) come nella locandina del film. In poche parole ecco serviti il conformismo e quell’appiattimento di livello che oggi è sovrano. Ma la cosa più spiazzante è che i burattini sono più umani degli umani. Le scene in cui Craig espone le sue idee attraverso le marionette, sono le più autentiche e ci fanno capire quanto lo sceneggiatore Kaufman fosse avanti. Tant’è che nel 2015 ha girato un film d’animazione geniale come “Anomalisa”. Senza la sperimentazione di “Essere John Malkovich”, probabilmente non lo avrebbe fatto.
Il successo di questo film si deve a Spike Jonze che decise di dare alla storia un tono depresso, volutamente marginale. La cosa si nota dalla fotografia, dal look di Cusack e di un’irriconoscibile Cameron Diaz, che nel film non ha ancora capito la sua natura (per questo è decisamente imbruttita). In America molti spettatori non riconobbero la Diaz. E poi è impossibile non citare l’autoironia di Malkovich che si scoprì particolarmente a suo agio a girare scene che a qualunque altro attore l’avrebbero messo a disagio. Come giustamente dice Gabriele Niola di Bad Taste questo film è ormai un cult. “A 20 anni di distanza Essere John Malkovich, ancora più degli altri della sua era, è un documento perfetto dell’America di fine secolo. Un paese che prosperava e sognava qualcosa di più, nel pieno della bolla speculativa tecnologica, in cui il lavoro non era un problema e il denaro nemmeno ma la realizzazione personale sì. Senza guerre, senza crisi e con un presidente allegro e fedifrago (all’epoca governava Bill Clinton), il paese veleggiava inconsapevole mentre le generazioni più giovani sentivano e rappresentavano un bisogno di sfogo fortissimo”. Ed è incredibile che questo film non abbia avuto nessun riconoscimento. Solo per la sceneggiatura, Kaufman meriterebbe una statua a grandezza naturale. Ma era troppo avanti e in pochi l’avevano compreso. Sono convinto che molti di voi lettori vorrebbero entrare nella testa di qualcun altro. Oggi più che mai. Cominciate a mettere da parte 200 dollari. John Malkovich è lieto di accogliervi nella sua testa.
FONTI: storia dei film, mymovies, badtaste
ESSERE JOHN MALKOVICH *****
(USA, Gran Bretagna 1999)
Genere: Commedia, Grottesco
Regia: Spike Jonze
Sceneggiatura: Charlie Kaufman
Fotografia: Lance Aord
Musiche: Carter Burnwell
Cast: John Cusack, Cameron Diaz, John Malcovich, Catherine Keener, Charlie Sheen
Durata: 1h e 43 minuti
Trailer Italiano qui
Budget: 10 milioni di dollari
La frase: Perchè questi soffitti sono così bassi? Abbassiamo i costi ragazzo mio, per poter mantenere lo stipendio.
Regia ***** Interpretazioni ***** Sceneggiatura *****
Fotogafia *****
Immagine da www.cinema.everyeye.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.