L’annosa questione del TAV Torino – Lione rientra al centro del dibattito politico. La realizzazione del progetto sembrava cosa certa fino a pochi giorni fa, dato che sia il governo francese e che quello italiano si erano dichiarati favorevoli al proseguimento dei lavori. Ma prima la bocciatura della Corte dei Conti europea e poi anche quella del neosindaco ecologista di Lione hanno nuovamente riacceso il fronte dei contrari. Con Macron sbaragliato alle elezioni locali dagli ecologisti e il governo italiano diviso, la linea dell’Alta Velocità Torino Lione appare di nuovo a rischio interruzione. La vicenda si colloca peraltro in un contesto di riflessione sulle grandi opere e le infrastrutture strategiche per rilanciare il Paese e di polemiche sul Decreto Semplificazioni.
Leonardo Croatto
Contrariamente al racconto – ampiamente diffuso dei giornali della borghesia nostrana – secondo cui l’opposizione al TAV sarebbe un fenomeno caratteristico del provincialismo italiano, anche in Francia la linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione gode di un vasto e variegato parterre di oppositori. A differenza nostra, anzi, anche pezzi importati dei governi nazionale e territoriali, fino al Presidente della Repubblica, hanno manifestato pubblicamente i loro dubbi sull’opera, così come hanno fatto negli anni diversi organismi tecnici, inclusa la Corte dei Conti.
Macron, che già nel 2017 aveva espresso delle (timidissime) perplessità sul progetto, ha recentemente ricevuto una durissima lettera da parte di 27 rappresentanti eletti a vari livelli (inclusi deputati e senatori) che ha come primo firmatario il sindaco di Grenoble.
La lettera trova un punto d’appoggio nel governo perché richiama una posizione critica espressa dalla ministra dei trasporti (appena ricollocata ad altro ministero) sempre nel 2017.
Le argomentazioni presentate nella lettera sono molto vicine a quelle dei soggetti in conflitto che, come in Italia, anche in Francia sono ben strutturati ed organizzati in un unico coordinamento nazionale. La lettera si fa quindi collante istituzionale tra le soggettività in lotta da entrambe le parti delle Alpi (la lettera richiama esplicitamente la situazione italiana). Se nel nostro paese esistessero delle forze politiche credibilmente ecologiste e numericamente non trascurabili sarebbe interessante dare rinforzo alla lettera dei 27 francesi con un atto analogo che realizzasse in tal modo un fronte politico transnazionale solido capace di tenere unite le lotte dei territori con l’opposizione organizzata nei luoghi della rappresentanza politica.
In ogni caso, è evidente che l’opzione strategica nazionale, se mai fosse esistita nei progetti di 20 anni fa, è oramai decaduta, sconfitta dalla storia. Spazzate via le argomentazioni sull’importanza economica e politica di un sistema di connessioni ferroviarie transnazionali a cui evidentemente non crede più nessuno (dei corridoi paneuropei immaginati nel ’92 non è rimasta più traccia), l’unico conflitto politicamente rilevante che resta sul tavolo è quello tra speculatori del cemento (con il solito corredo di politici corrotti e criminalità organizzata) e le popolazioni in lotta.
Piergiorgio Desantis
Il TAV Torino – Lione continua a essere fonte di polemiche ventennali con balzi, in avanti e indietro. Esiste ampia letteratura scientifica (e non solo) sulla vicenda che ha dimostrato il negativo impatto ambientale, la distruzione di ecosistemi per favorire un collegamento ultraveloce di persone e merci. L’elezione del sindaco verde di Lione e l’avanzata delle sensibilità ambientaliste francesi confermano un diffuso sentire di ostilità a opere costosissime e così controverse. In Italia, paese che a volte si attarda nella storia, non è ancora emerso tutto ciò, in parte dovuto anche al fatto che il primo partito italiano in Parlamento, i 5s, ha esitato per lungo tempo sulla faccenda. Tuttavia, lo scorso governo giallo-verde ha confermato la validità del progetto con una maggioranza trasversale e alternativa che va dal PD alla Lega fino a Forza Italia. Ci si potrebbe aspettare almeno che oggi, proprio per la crisi spaventosa che si attraversa, tale opera venga derubricata (quantomeno). Sarebbe necessiario occuparsi e delle opere e delle infrastrutture strategiche in modo radicalmente diverso. C’è ancora qualcuno che non è a conoscenza dell’esistenza di collegamenti e trasporti su monorotaia nel Mezzogiorno? C’è ancora qualcuno che ignora lo stato dei trasporti ferroviari per i lavoratori e per i pendolari italiani? Il cambio di politiche parte dalla soluzione a problemi come questi.
Dmitrij Palagi
Jacopo Vannucchi
L’affermazione dei Verdi alle elezioni amministrative in Francia, con il tentativo da parte di Macron di coinvolgerli nel governo, ha portato i sindaci ecologisti di Lione (neo-eletto) e Grenoble (riconfermato) a schierarsi contro la TAV per ragioni di impatto ambientale.
Personalmente continuo a essere convinto che le ferrovie ad alta velocità siano la soluzione migliore per ridurre il pesante inquinamento provocato dai veicoli su gomma e dagli aerei e che la costruzione di una rete integrata e che possiamo chiamare “la metropolitana d’Europa” debba essere una priorità dello sviluppo del continente.
La retorica dell’investimento sulle linee regionali risulta in effetti pura retorica laddove esso potrebbe essere finanziato con fondi oggi destinati ad asfaltificazioni sostenute anche da sindaci ecologisti (è il caso dell’allargamento della A480 a Grenoble) con l’opinabile motivazione “non vogliamo abolire l’automobile; cerchiamo, invece, di ridurne l’impatto sullo spazio pubblico, la salute e il clima” (https://www.francebleu.fr/…/eric-piolle-promet-d-en…).
Il Covid-19 ridurrà il traffico globale di merci e condurrà a mercati regionalizzati? A maggior ragione se così fosse, avremmo una diminuzione del traffico intercontinentale e un aumento di quello intracontinentale, per il quale dunque si dovrebbe investire sulle tratte ferroviarie ad alta velocità – per merci e per passeggeri.
Forse, nelle preoccupazioni francesi, c’è ancora l’eco dell’eversione dei “giubbetti gialli” che, vivendo nella Francia periferica, protestavano contro la tassa climatica sul carburante. Ma per quella Francia, quella che deve spostarsi dal villaggio al capoluogo di dipartimento o al capoluogo di provincia, le strade sono due: o quel traffico è sostenibile, e allora in nulla impatta sulla questione TAV, oppure non lo è, e allora si investe sì sulla ferrovia regionale, ma tagliando alle autostrade e non alla ferrovia internazionale.
Alessandro Zabban
La pandemia rappresenta un evento che potrebbe avere delle conseguenze politiche e culturali di lungo corso ma sicuramente non porterà di per sé a risolvere il conflitto capitale – natura. Da una parte miliardi di esseri umani hanno assistito in prima persona alla più grande crisi “naturale” della globalizzazione, marchiando a fuoco l’immaginario collettivo molto più di quanto possano fare le immagini di ghiacciai che si sciolgono o di deserti che avanzano. Dall’altra la devastazione economica spinge molti governi a un accelerazionismo spasmodico verso la ripresa economica a ogni costo.
Il dibattito attorno al TAV Torino – Lione non è cambiato di una virgola rispetto a venti anni fa e ha sempre a che fare con il modello di sviluppo che si persegue. Non uno scontro fra modernità e tradizione ma una battaglia che vede contrapposte le ragioni del profitto con quelle del benessere dei popoli e dell’ecosistema. Che gli investimenti e le opere da realizzare siano altre in Italia è sempre più chiaro e la pandemia mostra sempre di più il vicolo cieco rappresentato da un modello di sviluppo sbagliato e distruttivo. Ma la storia si fa beffe della ragione e troppo spesso prevale chi è nel torto, per questo la vicenda TAV deve ispirare un’azione politica decisa contro tutti i tentativi di rendere la ricostruzione post-Covid un far west di abusivismo, appalti assegnati senza gare, condoni, infiltrazioni mafiose nelle realizzazione di opere pubbliche. Come la pandemia non ci renderà persone migliori, allo stesso modo non eclisserà il modello di sviluppo che abbiamo ereditato. Può rendere solo più consapevole della lotta politica da intraprendere e di quanto essa sia improrogabile.
Immagine da www.wikipedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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