I candidati
Si sono fronteggiati undici candidati, dei quali sei definibili in qualche modo “maggiori” e cinque “minori”.
I sei maggiori sono i candidati delle cinque forze principali che hanno ottenuto seggi alle scorse elezioni politiche di ottobre 2019, ai quali si è aggiunto un sesto candidato indipendente. Volendo enumerarli brevemente da sinistra a destra:
1. Robert Biedroń, l’ex sindaco di Słupsk fondatore di Wiosna e candidato unitario per la Lewica (Sinistra);
2. Rafał Trzaskowski, sindaco di Varsavia, già ministro ed europarlamentare, candidato per la centrista Koalicja Obywatelska (KO, Coalizione Civica);
3. Władysław Kosiniak-Kamysz, leader del Polskie Stronnictwo Ludowe (PSL, Partito Popolare Polacco; il partito di rappresentanza degli agricoltori), già giovanissimo ministro del lavoro nello scorso decennio e candidato per la Koalicja Polska (KP, Coalizione Polonia) di centro-destra;
4. Szymon Hołownia, giornalista cattolico famoso per aver condotto dodici edizioni della versione polacca di «Got Talent» e candidato come indipendente di centro-destra;
5. Andrzej Duda, Presidente in carica che corre per il secondo mandato ufficialmente come indipendente ma di fatto portavoce del partito di governo ultraconservatore Prawo i Sprawiedliwość (PiS, Diritto e Giustizia) e dei suoi alleati minori;
6. Krzysztof Bosak, deputato, candidato per l’alleanza di estrema destra Konfederacja (Confederazione), proveniente dal neofascista Ruch Narodowy (RN, Movimento Nazionale) e con un passato nell’integralismo cattolico, che ha sconfitto un po’ a sorpresa nelle primarie il leader storico dell’ultradestra libertaria Janusz Korwin-Mikke.
Per quanto riguarda i cinque candidati minori, seguendo il medesimo ordinamento politico troviamo:
1. Marek Jakubiak, ex deputato, candidato per la Federacja dla Rzeczypospolitej (FdR, Federazione per la Repubblica) che si rifà all’antica destra filo-zarista di Roman Dmowski;
2. Stanisław Żółtek, ex deputato, candidato per il vecchio partito di Korwin-Mikke Kongres Nowej Prawicy (KNP, Congresso della Nuova Destra) e attualmente a capo della campagna PolEXIT per l’uscita del Paese dalla UE;
3. Mirosław Piotrowski, professore all’Università Cattolica di Lublino Giovanni Paolo II, a lungo parlamentare europeo, fuoriuscito dal PiS per fondare il Ruch Prawdziwa Europa (RPE, Movimento Europa Vera)-Europa Christi su posizioni di respublica christiana;
4. Paweł Tanajno, piccolo imprenditore, già candidato parlamentare senza successo prima per i moderati della Platforma Obywatelska (PO, Piattaforma Civica) e poi per i qualunquisti del movimento di Kukiz, paladino della democrazia diretta e assurto agli onori della cronaca per aver guidato le proteste della propria categoria contro la gestione dell’emergenza economica Covid;
5. Waldemar Witkowski, esponente della socialdemocratica Unia Pracy (UP, Unione del Lavoro), ma che ha inteso rappresentare in questa fase la tradizionale sinistra operaia.
Il periodo pre-elettorale
Intoppi procedurali
La campagna elettorale è stata particolarmente accidentata. Le elezioni erano infatti inizialmente previste per il 10 maggio e tale data era stata ripetutamente confermata dal governo anche a seguito dell’adozione, e delle successive proroghe, delle ordinanze di distanziamento fisico.
Un primo problema risiedeva nel fatto che la cancellazione degli eventi pubblici si era tradotta nella sospensione degli incontri con gli elettori; problema amplificato dal fatto che il governo vedeva aumentata ancor più sproporzionatamente la propria presenza mediatica.
Una seconda questione era di ordine non politico, ma pratico: come sarebbe stato possibile organizzare seggi elettorali in condizioni di sicurezza? Questo ostacolo divenne insormontabile quando, di fronte alla caparbietà dell’esecutivo di confermare la data del 10 maggio nonostante l’emergenza sanitaria, i sindaci di opposizione alla guida di diverse grandi città si rifiutarono di costituire i seggi.
Per ovviare ai rischi di un voto fisico, che avrebbe potuto causare assembramenti e trasmissione del contagio, il governo si rivolse quindi alla modalità di voto via posta. Le Poste sarebbero state incaricate di inviare i plichi ai cittadini; anche questa operazione, però, si rivelò infattibile quando molte municipalità si rifiutarono di consegnare alle Poste le liste di elettori, di cui non esisteva un elenco nazionale. Dietro il diniego vi era anche la necessità di difendere la privacy: veniva infatti richiesto di fornire dati sensibili senza alcuna cifratura.
Stretto, da un lato, tra la volontà di cogliere l’occasione del Covid-19 per organizzare un’elezione-farsa e mantenersi al potere in un voto altrimenti incerto e, dall’altro, tra mosse assai probabilmente incostituzionali, PiS ha anche vissuto una mini-crisi governativa che ha infine portato al rinvio delle elezioni dal 10 maggio al 28 giugno. Infatti, il più centrista dei partiti alleati, Porozumienie (Accordo), ha di fatto giocato di sponda con l’opposizione: quest’ultima controlla il Senato, mentre i diciotto deputati di Porozumienie alla Camera bassa (Sejm) sono essenziali al governo per mantenere la risicata maggioranza di 235 seggi su 460 (né possono essere numericamente sostituiti dagli undici della Konfederacja). Dopo che, in aprile, il leader di Porozumienie, Jarosław Gowin, si è dimesso dagli incarichi di Ministro della scienza e di Vice-primo ministro, PiS ha fiutato il pericolo e accettato il rinvio.
Scosse politiche
Il periodo dell’emergenza Covid-19 non è stato privo di conseguenze neppure sugli orientamenti di voto. Dall’inizio delle misure di distanziamento e fino alla metà di maggio le intenzioni di voto per Duda, in precedenza stabili attorno a una media del 42-43%, sono lievitate fin sopra il 50%. Tale aumento è stato speculare all’irrefrenabile emorragia di voti per l’allora candidata della KO, l’ex Presidente del Sejm Małgorzata Kidawa-Błońska, precipitata al 5% prima di ritirarsi dalla corsa il 15 maggio. Non tutti i consensi perduti, però, si erano ridiretti su Duda: a beneficiarne erano stati infatti Kosiniak-Kamysz nel primo mese e Hołownia nel secondo, stabilmente secondi nelle intenzioni di voto dei rispettivi periodi.
La nuova candidatura di Trzaskowski ha ripristinato il precedente consenso della KO al livello fisiologico del 25%, arrivando anche a toccare il 30% e recuperando non solo dai due candidati di centro-destra ma anche da Biedroń, mai realmente decollato. Duda, a sua volta, sembrò perdere un paio di punti a favore di Bosak.
I poteri del Presidente
La Polonia è fondamentalmente una repubblica parlamentare, ma i poteri del Presidente della Repubblica sono nondimeno più estesi rispetto, ad esempio, al suo omologo italiano. Solo in pochi campi il Capo dello Stato polacco non dispone di poteri riconosciuti invece all’inquilino del Quirinale (ad esempio, non nomina alcun giudice costituzionale).
In particolare, oltre ai poteri di guida delle Forze armate, grazia, scioglimento delle Camere e nomina del Governo, il maggior rilievo politico del Presidente della Repubblica si sostanzia nelle seguenti prerogative:
Secondo la Costituzione, egli è la massima carica del potere esecutivo, di fatto esercitato dal Consiglio dei Ministri ma comunque in subordine al Capo dello Stato, in un ordinamento che ne ricorda alcuni monarchici (come la costituzione britannica o lo Statuto Albertino);
In particolare, è necessariamente coinvolto dal Governo nella politica estera e nella politica di difesa;
Ha il potere di indire referendum su leggi ordinarie (col consenso del Senato) e di chiedere al Sejm l’indizione di referendum su leggi costituzionali;
Detiene l’iniziativa legislativa, sia ordinaria sia costituzionale;
Può porre il veto sulla legislazione approvata dal Parlamento (superabile dal Sejm a maggioranza qualificata).
La maggiore esposizione politica si riflette anche nel fatto che egli è eletto direttamente dal popolo, con mandato quinquennale rinnovabile una sola volta. (Ad oggi solo l’ex comunista Kwaśniewski è riuscito nel bis, nel 2000: nel 1995 proprio lui sconfisse al ballottaggio il Presidente Wałęsa; nel 2010 Lech Kaczyński perì nella sciagura di Smolensk due mesi prima dell’appuntamento elettorale; nel 2015 il liberale Bronisław Komorowski, a sorpresa, fu prima costretto al ballottaggio e poi sconfitto da Duda.)
Visti i poteri che aspirano a rivestire, i candidati hanno quindi presentato programmi elettorali più o meno dettagliati e che, in alcuni casi, ricalcano largamente quelli già proposti alle recenti consultazioni politiche.
Vale la pena, però, soffermarsi su questi programmi anche per estrapolarne considerazioni su come alcuni partiti sono cambiati rispetto alle elezioni di ottobre ’19 e su come potrebbero cambiare nel futuro prossimo.
I programmi elettorali
L’estrema destra
L’utilità maggiore di soffermarsi sulle proposte dei partiti di destra estrema risiede nella possibilità di aprirsi uno sguardo sull’evoluzione futura della destra “istituzionale” di PiS.
A conclusione del commento sulle elezioni di ottobre scrivevo: «la Polonia continua a essere spaccata in due metà: il 13 ottobre il gruppo destra-destra estrema ha raccolto il 50,4%, contro il 48,5% della triade delle opposizioni. Replicare questo piccolo vantaggio al secondo turno [delle presidenziali] significherebbe confermarsi alla guida dello Stato. È dunque al programma fascista della Konfederacja che si sono ispirati i primi annunci del governo».[1]
La tattica di Duda è stata esattamente quella già perseguita dal governo Morawiecki: una sempre più scoperta adesione a temi estremisti, il più noto dei quali è stato la campagna omofoba guidata da Duda personalmente, con affermazioni del genere «LGBT non è una persona, è un’ideologia» o «l’ideologia LGBT è più pericolosa del comunismo».[2]
Se il lettore ha mentalmente sostituito “LGBT” con “giudaismo” e sta rabbrividendo, può continuare a rabbrividire: dopo l’attacco alla comunità omosessuale è arrivato puntualmente quello agli ebrei e in particolare alle richieste di risarcimento per le perdite umane e patrimoniali avvenute con la Shoah. La fomentazione di un clima antisemita, fino all’anno scorso prerogativa dei soli fascisti dichiarati, è stata ora fatta propria dalla televisione pubblica: dopo che Trzaskowski, riferendosi criticamente al duro scontro tra Polonia e Israele in tema di memoria storica, aveva dichiarato la necessità di coinvolgere le comunità ebraiche sul problema dei risarcimenti, i media di Stato lo hanno accusato di porre in secondo piano gli interessi nazionali e di avere stretti rapporti con Soros.[3]
In vista del secondo turno, e più in generale in vista del governo della società polacca negli anni a venire, i punti programmatici dell’estrema destra possono dunque fornire un’anticipazione del programma che potrebbe essere abbracciato, in tutto o in parte, da PiS.
Le proposte del programma di Bosak[4] riguardano, schematicamente:
La modifica del mandato presidenziale (da due quinquennali a uno solo settennale, seguito però da ulteriori sette anni come Presidente del Senato);
La concentrazione del potere esecutivo nelle mani del Primo Ministro, che potrebbe autonomamente nominare e licenziare i ministri, stabilirne il numero e i poteri e addirittura porre il veto sulla legislazione parlamentare;
L’adozione di leggi organiche, intermedie cioè tra la Costituzione e la legislazione ordinaria, secondo il modello applicato nell’Ungheria di Orbán;
La trasformazione del Senato da elettivo a corporativo;
L’elezione degli organismi di controllo solo da parte dei deputati che non hanno votato la fiducia al Governo (il risultato sarebbe, com’è ovvio, la paralisi dello Stato e l’apertura a soluzioni dittatoriali);
La responsabilità penale dei ministri per le dichiarazioni rese al Parlamento;
L’estensione del mandato parlamentare da 4 a 5 anni e contemporaneamente il dimezzamento del numero dei deputati;
L’adozione del primato della Costituzione polacca sulla legislazione europea, la costituzionalizzazione dello złoty e l’indipendenza della Polonia dalle sentenze giudiziarie europee, con obbligo di referendum per qualsiasi cambiamento;
Misure punitive contro gli europarlamentari polacchi che hanno votato in favore della procedura di infrazione nei confronti della Polonia;
Il rafforzamento della definizione costituzionale del matrimonio, già ad oggi ristretta a quello eterosessuale, tramite l’inserimento dello specifico orientamento alla procreazione;
Il divieto di cambiamento anagrafico di sesso;
Il divieto di aborto in caso di malformazioni del feto (ad oggi uno dei pochi casi in cui l’aborto è legale);
La piena libertà per gli imprenditori di selezionare colleghi, appaltatori, dipendenti e clienti;
Il divieto costituzionale di deficit di bilancio;
La nomina a vita dei massimi organi giudiziari (ad oggi nominati a tempo dal Sejm);
La responsabilità personale dei funzionari pubblici;
La liberalizzazione delle armi da fuoco e l’estensione dell’applicazione della “legittima difesa”.
Oltre a queste, proposte ancor più restrittive della libertà politica e ancor più classiste si ritrovano nel programma di Jakubiak[5]:
Rafforzamento dei poteri del Presidente, che nominerebbe autonomamente i Ministri degli Esteri e della Difesa, guiderebbe un Consiglio Presidenziale e sarebbe affiancato da un Vicepresidente;
Estensione del potere legislativo ai Ministri;
Abolizione della Corte Costituzionale e trasferimento delle sue funzioni a un’apposita sezione della Corte Suprema, che giudicherebbe a maggioranza dei 3/4;
Integrazione dei riservisti – istituiti dal PiS – nelle Forze Armate o nelle Milizie di Difesa Territoriale – paramilitari istituiti pure essi dal PiS.
E nel programma di Żółtek[6]:
Reintroduzione della pena di morte;
Abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti;
Richiesta di maggioranza parlamentare qualificata per l’aumento delle tasse;
Scaglionamento delle elezioni (1/4 del Sejm rinnovato ogni anno, 1/3 del Senato ogni due anni);
Riduzione del numero dei ministeri a 6 (Difesa, Esteri, Interni, Tesoro, Giustizia, Ambiente);
Compartecipazione del Presidente della Repubblica alla guida della Difesa;
Nomina dei Presidenti di Regione da parte del Primo Ministro e contestuale abolizione dei Consigli regionali;
Vendita delle società pubbliche;
Assicurazione di malattia, invalidità e pensione solo su base volontaria;
Abolizione di qualsiasi restrizione su armi da fuoco e armi da mischia;
Privatizzazione dell’istruzione;
Leva obbligatoria per i maschi tra i 18 e i 24 anni;
Uscita dalla UE (mantenendo gli accordi di libera circolazione!);
Abolizione dell’imposta sul reddito e riduzione dell’IVA.
Duda
Duda ha continuato a battere la strada tracciata negli ultimi anni dal partito di potere, ossia la costruzione di un capitalismo nazionale secondo i principii del nazionalismo economico. Le differenze rispetto al programma del 2019 sono poche, ma comunque significative per la direzione apparentemente contraddittoria che esse esprimono.
Da un lato, infatti, viene ripetuto a chiarissime lettere che non saranno mai aboliti i programmi di maggiore spesa sociale introdotti nella precedente legislatura e in particolare il bonus mensile di 500 złoty per ogni bambino e la tredicesima mensilità per le pensioni. Per quanto riguarda le nuove proposte da realizzare, l’accento è sulla promozione dell’acquisto di prodotti polacchi, in particolare tramite la grande distribuzione.
Dall’altro lato, però, sono decisamente attenuati i toni contro l’Unione Europea, la cui trattazione programmatica si conclude con «La Polonia deve preoccuparsi della qualità del funzionamento dell’Unione europea, perché il nostro destino senza la sua esistenza sarebbe molto più difficile».[7]
La contraddizione, come accennato, è solo apparente: il nazionalismo economico polacco non avrebbe potuto neanche essere concepito senza il generoso flusso di finanziamenti europei. In un contesto di restrizione economica globale, soltanto aggravato dal Covid-19, e in cui la Polonia si trova nella UE in una condizione di isolamento politico senza precedenti, non possono che incancrenirsi le crepe sotterranee delle gravi diseguaglianze della società polacca.
Il boom economico del periodo di governo liberale (2007-2015), a cui ha fatto riscontro anche un ulteriore prosieguo della modernizzazione culturale, è stato prevalentemente fondato sull’attrazione di investimenti stranieri a causa del regime conveniente di fisco e costo del lavoro. Questo, unito ai tagli alle infrastrutture rurali e all’aumento dell’età pensionabile, ha già di per sé aggravato la distanza tra ceti emergenti e ceti tradizionali; ma anche nei ceti emergenti i lavoratori, in particolare quelli in ingresso, hanno visto destinarsi una quota sempre più insufficiente del profitto nazionale.
A partire dal 2015 il governo PiS ha cercato di dare una superficiale mano di stucco su queste crepe, ad esempio annullando la riforma delle pensioni, aumentando la spesa sociale, riducendo le tasse, ma non è stato in grado di impedire che la saturazione degli investimenti stranieri portasse a un raffreddamento nella crescita del tenore di vita. Una menzione particolare merita la WOT, la paramilitare Milizia di Difesa Territoriale istituita nel 2016 da Duda ufficialmente per rispondere al pericolo di uno spillover di guerriglia dall’Ucraina ma in realtà tentativo di arginare la disoccupazione delle classi subalterne. Il corpo è stato usato naturalmente anche come instrumentum regni, ossia per promuovere il nazionalismo nonché per preoccupanti provocazioni – lo sconfinamento in territorio ceco a maggio scorso, ufficialmente per errore ma casualmente contro uno dei Paesi UE e NATO in cui più forti sono i settori filo-russi. (Ironia della storia, la WOT originaria era stata istituita dalla Repubblica Popolare nel 1965.)
In un simile quadro socio-economico, i finanziamenti europei costituiscono un vitale salvagente, forse ormai anch’esso insufficiente.
Del resto lo stesso PiS non ha fatto che esasperare le divisioni nella società polacca: anche quelle economiche, ad esempio con la riforma scolastica che limita pesantemente la possibilità per i residenti rurali di ottenere un’istruzione superiore completa, ma soprattutto quelle culturali, in una difesa ostinata di posizioni reazionarie sui temi etici che non ha più alcun rapporto con larghe fette metropolitane del Paese, specie nelle giovani generazioni. La preoccupazione per la divaricazione della società polacca che il PiS stesso ha aggravato è evidente nell’atterrito no alla devoluzione di maggiori poteri alle regioni, una misura sempre più richiesta dai territori occidentali in un Paese che è stato storicamente centralista.
Hołownia
Il programma di Hołownia, sebbene tradisse la sua natura di patchwork tra elaborati di diversi gruppi di esperti, è stato molto dettagliato. I principii fondamentali, però, possono essere riassunti nei tre slogan: «Polonia solidale, Polonia verde, Polonia democratica».
Democratica perché il principale avversario che Hołownia si è candidato a battere è proprio la destra del PiS. Per quanto riguarda lo stato di diritto, egli si è impegnato a insediare come giudici costituzionali i tre eletti dal Sejm a maggioranza liberale nel 2015 ma arbitrariamente destituiti dalla successiva maggioranza di destra. Ha inoltre dichiarato che avrebbe chiesto, da un lato, un vaglio costituzionale sulla liceità delle sentenze emesse successivamente a tale sostituzione giudiziaria; dall’altro, provvedimenti disciplinari per due ex deputati di PiS la cui elezione alla Corte nel dicembre 2019 ha destato l’ira dell’opposizione che ritiene tali nomine inopportune non solo per i loro marcati trascorsi politici ma anche perché li considera privi dei titoli legali per ricoprire l’incarico.
Verde perché attorno all’ambiente Hołownia ha costruito punti programmatici di diverso ambito: dall’Europa, con l’adesione al Green Deal e la richiesta di imposte sulla plastica e dazi sui produttori di emissioni di CO2; all’agricoltura, con un accento sulla necessità di intensificare la lotta alla siccità, particolarmente dura in Cuiavia-Pomerania e nella regione di Łódź; alla protezione sociale, su cui denuncia una grave esclusione di molti polacchi dall’accesso al trasporto pubblico.
Solidale infine, e questo è forse l’aggettivo più qualificante del programma agli occhi dell’elettorato. Dopo aver rilevato con allarme la riduzione del tasso di fertilità a livelli non più in grado di assicurare la sostituzione demografica generazionale, pure in un quadro in cui il 90% dei polacchi dichiara ancora di volere due o tre figli, afferma: «Sembra che il successo polacco degli ultimi anni, la costruzione di un’economia di libero mercato, sia stato anche la causa della nostra sconfitta demografica, poiché non è stato accompagnato da un’adeguata politica familiare e sociale». Le forme di contrasto attuate dal governo PiS sono definite giuste, ma insufficienti, rendendo concreto il rischio di perdere un quarto della popolazione nei prossimi trent’anni. «Penso alla Polonia nell’ottica di una generazione, non di un mandato. Pertanto, se vogliamo che la Polonia sia un buon posto in cui vivere per le prossime generazioni, dobbiamo contrastarne lo spopolamento».[8]
Questa formulazione è politicamente astuta perché riesce a criticare PiS ma non i suoi popolari programmi sociali e a tenere insieme due binari che per anni sono sembrati divergenti: la permanenza di una cultura familistica ancora tradizionale e al tempo stesso la volontà di proseguire sulla via del progresso economico.
Tale posizione intermedia, o se si vuole ecumenica, di Hołownia può essere spia di una caratteristica più generale della sua candidatura. È un indipendente, ma a differenza del Kukiz del 2015 si rivolge non alla classe operaia depauperata o ai giovani esclusi, talvolta ferocemente, da eque opportunità di lavoro, bensì a un segmento appena superiore: i giovani appena entrati, o entrati da pochi anni, nel mercato del lavoro e che sentono farsi incredibilmente melmoso il terreno su cui costruire una famiglia – un obiettivo che resta centrale per moltissimi di loro, indipendentemente dalla laicità personale in materia religiosa. Kukiz voleva rappresentare gli sfiduciati; Hołownia, come già Palikot alle elezioni parlamentari del 2011, parla invece a coloro che temono il rischio di perdere la fiducia.
Inoltre Hołownia è anche profondamente cattolico (addirittura un mancato frate domenicano), il che fa sorgere la domanda se la sua candidatura sia stata ispirata da settori ecclesiastici. Se si volesse dar credito al «primo impulso, quasi sempre buono», di cui l’ex vescovo Talleyrand invitava a diffidare, si potrebbe ipotizzare che dietro Hołownia vi siano esponenti della Chiesa cattolica non disposti a seguire fino alle estreme (destre) conseguenze il percorso di PiS – che, va ricordato, oggi è anche il maggiore partito clericale, ma non è nato come partito clericale: lo è diventato vampirizzando, nella seconda metà dello scorso decennio, i consensi della Lega della Famiglie Polacche.
Se invece si volesse seguire sia Talleyrand sia un intimo del Vaticano come Andreotti, pensando peccaminosamente male potremmo immaginare che Hołownia esprima le preoccupazioni di una parte della Chiesa cui non disdegna affatto l’estremizzazione politica del governo, ma che ne teme molto la possibile reazione popolare e il conseguente collasso. Avere un uomo di grido nell’opposizione aiuterebbe a cadere in piedi.
Tanajno
Per quanto riguarda l’unico altro candidato indipendente, il piccolo imprenditore Tanajno, il suo programma consiste in tre soli punti fondamentali, che uniscono le istanze economiche di categoria alla sua fede nella democrazia diretta:
La deburocratizzazione e il dimagrimento libertario della regolamentazione sociale economica, con referendum obbligatori per qualsiasi aggiuntiva limitazione;
L’aiuto finanziario agli imprenditori (evidentemente per loro gli aiuti di Stato ci vogliono);
L’introduzione di referendum vincolanti senza quorum.
Kosiniak-Kamysz
Il programma di Kosiniak-Kamysz ricalca in gran parte quello della KP alle elezioni politiche di ottobre, di cui riprende la consueta enfasi sui temi cari ai due contraenti: le campagne, il terzo settore, gli anziani (per il PSL), i collegi uninominali, i referendum, il voto elettronico (per Kukiz).
Di aggiuntivo vi sono posizioni che sembrano miscelare con cura gli ingredienti di moderatismo (impegno per il dialogo tra le forze politiche), nazional-populismo (aumento della spesa militare e integrazione dei paramilitari nelle Forze Armate) e lieve europeismo (costituzionalizzare l’appartenenza alla UE). Proprio sulla politica estera si mostra un maggiore dinamismo, chiedendo l’aumento della cooperazione economica con Cina e India, la ricucitura dei rapporti con la Federazione Russa (e quindi la ripresa delle esportazioni di prodotti agricoli) e proponendo la creazione di un “Gruppo Nord-Sud” che riunisca i sei Paesi ritenuti leader nelle rispettive aree geografiche (Spagna, Francia, Italia, Germania, Polonia, Svezia) – quest’ultima cosa con lo scopo spudoratamente dichiarato di contrastare le tendenze dei primi tre Paesi ad una maggiore integrazione europea e di trovare nuovi protettori dopo l’uscita del Regno Unito.
L’aspetto più interessante del programma, però, è l’energia e l’acume con cui esso si apre: un parallelo storico tra il 2020 e il 1920, anno in cui il 15 agosto (per tale ragione ora Festa delle Forze armate) l’esercito polacco alle porte di Varsavia respinse l’Armata Rossa e la mise in rotta. Dopo il ricordo nazionalista della “salvezza dal comunismo” giunge un’onesta ricostruzione degli eventi successivi: «Controversie politiche interne e tensioni sociali portarono all’assassinio del presidente Gabriel Narutowicz e al tragico colpo di stato di maggio, durante il quale centinaia di polacchi sono stati uccisi in scontri fratricidi. Ricordiamo l’atmosfera soffocante dell’autoritarismo, che portò al processo di Brest e alla carcerazione di militanti dell’opposizione a Bereza Kartuska. Le conseguenze di questi eventi furono il disastro del settembre 1939, che, come nazione profondamente divisa, non potemmo prevenire».[9]
Considerando che Narutowicz era un indipendente di centro-sinistra ucciso da un militante di destra appena una settimana dopo l’elezione; che il colpo di Stato del maresciallo Piłsudski a maggio 1926 fu l’inizio del regime interbellico che resta ancora un mito fondativo per buona parte della destra polacca e non solo (nel 1993 i sostenitori di Wałęsa ripresero la sigla BBWR del partito che appoggiava Piłsudski); che gli eventi successivi riguardano il processo di Brest a esponenti dell’opposizione di centrosinistra, le elezioni-farsa – dette “elezioni di Brest” – del 1930, l’apertura del campo di internamento di Bereza Kartuska per oppositori prevalentemente comunisti e la sempre più spinta fascistizzazione aperta del regime; considerando tutto questo si capisce come tale rilettura storica sia coraggiosa, tanto più perché demolisce il mito vittimistico del settembre 1939 ricordando le pluriennali responsabilità polacche in materia.
E tanto più perché il fine di questo riepilogo è ammonire contro il rischio che di nuovo la divisione porti alla violenza, la violenza all’autoritarismo, l’autoritarismo al fascismo, il fascismo alla guerra e la guerra alla disfatta nazionale. Il bersaglio politico di questa requisitoria è naturalmente il partito di governo, che per la contiguità delle fasce elettorali rurali e del profilo politico (un combinato di conservatorismo sociale e interventismo economico) ha più volte tentato la fagocitazione del Partito dei contadini – giungendo a nominare un suo transfuga nel cruciale posto di Commissario UE all’Agricoltura.
Trzaskowski
Duda ha cercato di schiacciare l’immagine di Trzaskowski su quella del movimento LGBT, attaccandone le iniziative di solidarietà arcobaleno attuate come sindaco di Varsavia.
In realtà, quanto a proposte concrete sui diritti civili, il programma di Trzaskowski si limita all’introduzione delle unioni civili, già contemplate nella piattaforma del partito, e al ripristino della fecondazione in vitro che, un tempo consentita, è stata abrogata dal governo di PiS. Una forte enfasi, semmai, è stata messa sulla condizione femminile e la lotta per le pari opportunità della donna, nell’evidente tentativo di massimizzare il consenso presso tale metà dell’elettorato.
Ma la vera novità del programma sta in una rinnovata tensione sociale che, pur se ancora blanda, segna comunque una significativa inversione di rotta rispetto al programma politico del 2019, nel quale non vi era alcuna autocritica, neppure implicita, sull’aumento delle diseguaglianze durante il periodo di governo 2007-2015. Questa volta la KO sembra aver colto qualche lezione: la necessità di non abdicare completamente alle tematiche welfariste è evidente soprattutto nelle proposte rivolte alle fasce più giovani – studenti, giovani in cerca di lavoro, coppie con bambini.
In materia di istruzione, ad esempio, Trzaskowski ha proclamato la necessità di una lotta alla diseguaglianza educativa, non solo proponendo borse di studio finanziate dalla Presidenza, ma anche preoccupandosi dell’assenza di connettività web nelle campagne, che, in un Paese in cui il 40% dei cittadini vive in zone rurali, ha lasciato circa un milione di bambini senza accesso alla didattica durante l’emergenza Covid. Al tempo stesso, però, la scuola è ancora concepita come una sorta di azienda pre-lavorativa che deve formare essenzialmente al business.
Per quanto riguarda i giovani in cerca di lavoro, invece, Trzaskowski ha proposto investimenti di politiche attive soprattutto nelle campagne e nelle piccole città, mostrando di aver assimilato – sia pure con un lustro di ritardo – la lezione del movimento di Kukiz che nel 2015 canalizzò da PO verso la destra i consensi delle periferie semi-industriali lasciate indietro dalla crescita economica. Di rilievo è anche lo spazio dedicato all’esercito, oggi sempre più rete di protezione sociale per i giovani meno istruiti e come tale apertamente riconosciuto nel programma. Anche della WOT viene chiesta non la dissoluzione – sebbene fosse stato proprio il governo di PO a sciogliere l’antica WOT nel 2008 – bensì l’integrazione nei riservisti. Né si tratta dell’unica marcia indietro: anche riguardo l’età pensionabile non viene prevista la reintroduzione degli aumenti di soglia effettuati in passato e poi annullati da PiS. Tuttavia, di fronte alla crescente insufficienza degli assegni previdenziali, la soluzione proposta è ancora quella di mercato: incentivi per l’attività lavorativa dei pensionati.
Una menzione particolare meritano infine l’intenzione di contrastare il diffondersi del bullismo scolastico e l’investimento nella psichiatria infantile per contenere i crescenti problemi di salute mentale, nonché le parole distensive nei confronti della Federazione Russa e della Bielorussia.
La sinistra
Il programma del candidato Biedroń[10] ha largamente ripreso quello presentato dalla Lewica alle scorse elezioni politiche, focalizzandosi in particolare sull’aumento della spesa sociale attraverso l’introduzione di nuovi specifici programmi: l’istituzione della pensione minima garantita e delle pensioni di reversibilità, l’aumento della spesa sanitaria ivi compreso un tetto massimo di 5 złoty per i farmaci soggetti a prescrizione, la costruzione di un milione di appartamenti ad affitto agevolato destinati ai giovani.
In tema di diritti sono stati proposti l’introduzione del matrimonio omosessuale, il ripristino della fecondazione in vitro, la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, una legge contro la violenza domestica e l’introduzione nei curricula scolastici dell’educazione sessuale e antiviolenza. L’inclinazione laica è emersa anche nella volontà di porre fine ai privilegi della Chiesa cattolica, abolendo l’insegnamento religioso nelle scuole, il finanziamento statale alla Chiesa e assoggettando le confessioni religiose al pagamento delle tasse.
Biedroń si è inoltre impegnato a porre il veto sulle leggi dannose per il clima e a costituire un Consiglio delle amministrazioni locali per coinvolgere nell’elaborazione politica non soltanto le voci metropolitane.[11]
Un’attenzione aggiuntiva è stata posta sul calendario di ripartenza delle attività sociali, economiche e culturali con le dovute sicurezze sanitarie e garanzie occupazionali.[12]
Infine, il programma di Witkowski – appoggiato, tra gli altri, dal Partito Comunista di Polonia[13] – si condensava in alcune petizioni di principio dettagliando, come unica proposta di rilievo concreto, la riduzione della settimana lavorativa a 35 ore.[14]
[Continua nei prossimi giorni]
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https://www.ilbecco.it/la-situazione-politica-in-polonia-allindomani-delle-elezioni/ ↑
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https://tvn24.pl/tvn24-news-in-english/polish-state-tv-uses-jewish-property-restitution-issue-to-attack-opposition-4612061 ↑
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https://bosak2020.pl/wp-content/uploads/Bosak2020_NowyPorzadek.pdf ↑
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https://www.federacjadlarp.org/sites/default/files/inline-files/Tezy-programowe-FDR.pdf ↑
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http://kosiniakkamysz.pl/wp-content/uploads/2020/03/WKK202_PROGRAM.pdf ↑
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https://www.radiozet.pl/Co-gdzie-kiedy-jak/Robert-Biedron-PROGRAM-na-wybory-2020-PDF-PREZYDENT ↑
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https://robertbiedron.pl/att/planbiedronia/Zdrowa-Polska-Nowa-Nadzieja.pdf ↑
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.