La destra di nuovo al potere
Seguendo la griglia non rigidissimamente temporale cui ci si è fin qui attenuti, per affrontare la memoria della Resistenza negli anni 2010 si può partire dalle elezioni politiche del 13-14 aprile 2008. Quelle elezioni segnarono il provvisorio agglomerarsi del sistema politico attorno a due coalizioni ristrette: a destra Forza Italia, Alleanza Nazionale (riunite nel Popolo della Libertà) con la Lega nel centro-nord e il Movimento per l’Autonomia nel centro-sud; a sinistra il Partito Democratico e l’Italia dei Valori. Il concentrarsi degli elettori su questi due campi esaurì la vena di sostegno per le liste autonome più a sinistra (la Sinistra-l’Arcobaleno) e più a destra (La Destra-Fiamma Tricolore), mentre sopravvisse, essa pure autonoma, l’Unione di Centro.
L’ampio consenso (47%) ottenuto dalla coalizione guidata da Berlusconi destò una forte preoccupazione nella sinistra, anche per via dei rischi corsi dalla memoria storica. Dopo soli due anni, infatti, tornava al governo, e rafforzata, una coalizione ora depennata dell’ala più moderata e che nel suo ultimo mandato aveva già fatto conoscere le proprie intenzioni revisionistiche. Né la destra, o almeno una sua parte, faceva mistero di voler tornare a percorrere quella via. Nella lista del PdL era stato eletto senatore, ad esempio, l’imprenditore fascista Giuseppe Ciarrapico, peraltro scelto personalmente da Berlusconi con la contrarietà di AN e Lega[1], e un appello al voto per il PdL era giunto dall’anziano squadrista missino Caradonna che pure si dichiarava più vicino a Forza Nuova.[2]
Il risultato elettorale galvanizzò, come è facile intuire, gli uomini della destra, che si affannarono a parlare della fine dell’egemonia culturale della sinistra.
In questo contesto il 25 aprile 2008 fu di nuovo un terreno di scontro, anche perché il 27-28 si sarebbe votato per il secondo turno delle elezioni amministrative, la cui posta più alta era il Comune di Roma a cui la destra ricandidava Gianni Alemanno, capo della destra sociale e già malamente sconfitto nel 2006. Per il 63° anniversario della Liberazione un manifesto firmato dalle principali associazioni partigiane, partiti di sinistra, sindacati e altre organizzazioni popolari invitava quindi a una «mobilitazione straordinaria», «per difendere nuovamente le conquiste della democrazia» (la preoccupazione era soprattutto una possibile riforma costituzionale).[3] Ma l’ex Presidente della Repubblica Scalfaro, che presiedeva l’Istituto di storia della lotta di liberazione e che nel 2006 aveva presieduto il comitato promotore per il No al referendum costituzionale, giudicò quell’allarme «onestamente sproporzionato, per quanto spiegabile». La sua prospettiva, figlia di un’esperienza politica di oltre sessant’anni, era che lo shock del risultato elettorale avesse esasperato gli animi ma che la democrazia italiana fosse solida e non in pericolo, nonostante gli urti e le erosioni provenienti sia dalle «gravi lacune culturali» di una parte della destra sia dalle «accensioni incontrollate» di Beppe Grillo.[4]
Berlusconi, ormai Presidente del Consiglio in pectore, trascorse il 25 aprile ricevendo provocatoriamente il senatore Ciarrapico, mentre Ignazio La Russa (AN), in predicato di assumere il dicastero della Difesa, più volte negli anni passati aveva “celebrato” la ricorrenza al Campo 10 del Cimitero Maggiore di Milano, dove sono sepolti i caduti della RSI. I titoli dei giornali di destra in edicola quel giorno furono più che mai eloquenti: «25 aprile, in piazza con rancore» (il Giornale), «La festa dei banditi» (Libero, che si appropriava del lessico nazista), «Il 25 aprile si è abolito da solo» (Il Secolo d’Italia).[5]
Quella che la sinistra aveva cominciato a definire “marea nera” non si arrestò: il 28 aprile Alemanno fu eletto sindaco di Roma – la prima volta per un ex esponente del MSI – con tanto di scalmanata celebrazione a base di saluti romani e grida fasciste.[6] Il 30 aprile Fini fu eletto Presidente della Camera e nel discorso di insediamento parve danzare sulla musica berlusconiana di un ricordo resistenziale diluito e adulterato: «Celebrare la ritrovata del nostro popolo e la centralità del lavoro nell’economia è un dovere cui nessuno si può sottrarre, specie se vogliamo vivere il 25 aprile e il 1° maggio come giornate in cui si onorano valori autenticamente condivisi e vitali […]. Negli ultimi anni molti passi avanti nella giusta direzione sono stati compiuti e dalla quasi totalità delle forze politiche. Coloro che si ostinano ad erigere steccati di odio o a negare le infamie dei totalitarismi sono pochi, quanto isolati nella coscienza civile degli italiani», prima di ringraziare, per le energie spese al servizio di una memoria condivisi, gli ex Presidenti Cossiga e Ciampi – evidenti le ruggini ancora presenti su Scalfaro.
Berlusconi e il 25 aprile
Il quarto governo Berlusconi si insediò l’8 maggio 2008, per cui si dovette aspettare ancora un anno per vederne la prima celebrazione della Resistenza. Il 25 aprile 2009 cadde nuovamente in un periodo di campagna elettorale e di impegno propagandistico specialmente del Presidente del Consiglio: il 26 maggio si sarebbe votato per le elezioni europee, alle quali Berlusconi sperava di arrotondare alla soglia psicologica del 40% il 38% ricevuto l’anno precedente dal PdL, anche sull’onda della sua nascita ufficiale come partito unico il 29 marzo. Gli scandali di natura sessuale che avrebbero colpito Berlusconi si sarebbero annunciati pochi giorni dopo, ma il 25 aprile non erano ancora a conoscenza dell’opinione pubblica e il capo del governo scelse di giocare la carta dell’unità nazionale.
Anche per manifestare la vicinanza del governo al territorio aquilano, duramente colpito dal grave terremoto del 6 aprile, Berlusconi compì la première di celebrare la Liberazione, recandosi, con un fazzoletto tricolore al collo, nella frazione di Onna teatro nel giugno 1944 di un efferato eccidio nazista. Berlusconi ribadì il rispetto per tutti i caduti, ma precisò anche che questo rispetto non doveva tradursi in una neutralità tra i due campi o nell’indifferenza verso quella lotta.[7] Il concetto fu ripetuto da un’intervista al Corriere della Sera del ministro La Russa, che celebrando la Liberazione a Mignano Monte Lungo – prima battaglia nel dicembre 1943 dell’Esercito Cobelligerante Italiano – aveva ricordato esplicitamente i nomi degli ex-partigiani filo-golpisti Edgardo Sogno e Randolfo Pacciardi.[8] Il giorno dopo, a Milano e in veste privata, La Russa aveva omaggiato sia i partigiani sia i repubblichini, o almeno Carlo Borsani, invalido di guerra e propagandista della RSI giustiziato il 29 aprile 1945. Ma insisté che «non c’è nessuna parificazione tra i caduti delle due parti. […] Non si può fare un mazzo unico dei partigiani, figuriamoci se si può fare un mazzo unico di partigiani e caduti della RSI».[9]
Simili atteggiamenti segnavano un’inversione a U non solo rispetto alla martellante opera revisionistica del periodo 2001-06, ma anche soltanto a pochi mesi prima.
Il 7 settembre 2008, infatti, lo stesso Corriere aveva pubblicato un’intervista rilasciata da Alemanno durante la visita al Museo dell’Olocausto a Gerusalemme. In quelle dichiarazioni, pur rivendicando una parziale condivisione della svolta finiana di cinque anni addietro, respinse la definizione di male assoluto nei confronti del fascismo: «il fascismo fu un fenomeno più complesso. […] Il male assoluto sono le leggi razziali volute dal fascismo e che ne determinarono la fine politica e culturale», additando poi il comunismo come responsabile sia degli scontri nell’Italia del dopoguerra sia della nascita del fascismo stesso.[10] Queste considerazioni crearono un caso politico, portando l’ex sindaco e allora segretario del PD Veltroni a dimettersi dal Comitato per il Museo della Shoah, presieduto da Alemanno stesso, ritenendo inaccettabile il «tentativo di esprimere un giudizio “doppio” sul fascismo», ricordandone anzi le continuate e sanguinarie violenze fin dalla sua nascita.[11]
Il caso era poi stato raddoppiato il giorno dopo dalle parole di La Russa alla commemorazione del 65° dell’inizio della Resistenza: «altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell’esercito della RSI, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d’Italia».[12]
Nell’esasperazione di posizioni giustificazioniste del fascismo, malviste da Berlusconi poiché destabilizzanti dei rapporti con il Presidente della Repubblica Napolitano, vi era probabilmente la volontà di un regolamento di conti con Fini dentro una AN in corso di scioglimento nel PdL.[13]
La differenza, tuttavia, non era così netta, come si sarebbe visto da due disegni di legge filo-fascisti presentati in Parlamento.
La stanchezza del revisionismo
A giugno 2008 il socialista craxiano Barani aveva presentato alla Camera la proposta di istituire l’Ordine del Tricolore, con relativi benefici pensionistici, di cui avrebbero fatto parte gli italiani che avessero combattuto nella guerra del 1940-45 sotto qualsiasi uniforme, ivi esplicitamente inclusa quella repubblichina. I firmatari del progetto di legge erano 37 del PdL (16 ex AN, 16 ex FI, gli altri da forze minori), 3 del PD, 1 del Movimento per le Autonomie e 1 del Movimento Associativo Italiani all’Estero, che rappresentava di fatto parte della comunità italiana in Argentina.[14]
Come si è visto la composizione politica dei propositori – alcuni dei quali avrebbero poi ritirato la loro firma, forse apposta distrattamente – non era appiattita sul versante post-fascista tanto quanto analoghe proposte avanzate nelle precedenti legislature.
Questo disegno di legge fu poi ritirato da Barani il 28 aprile 2009, chiaramente su pressione di Berlusconi («Non sapevamo che fosse stato presentato questo disegno di legge che sarà certamente ritirato).[15] Cinque di quei firmatari (fra cui tre provenienti da AN) avrebbero poi seguito Fini nella nascita di Futuro e Libertà.
L’altro disegno di legge fu presentato il 29 marzo 2011 dal senatore De Eccher, che decenni addietro come responsabile di Avanguardia Nazionale in Trentino era stato condannato per tentata ricostituzione del partito fascista e indagato con l’accusa di aver custodito il timer dell’ordigno di Piazza Fontana. La proposta De Eccher, cofirmata da altri cinque parlamentari ex-AN (di cui uno, Digilio, passato a FLI), consisteva nella pura e semplice abrogazione della XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta appunto la ricostituzione del partito fascista.[16] Digilio avrebbe poi ritirato la propria firma su invito del suo partito. La pdl De Eccher invece non fu ritirata, ma non arrivò mai a una discussione.
Questi due casi esemplificano due tendenze: l’esaurimento dell’agguerrita vena di arrembaggio revisionistico del decennio precedente, la sfumatura e porosità del precedente confine politico tra sostenitori e avversari del fascismo. La massima evidenza di quest’ultimo dato sarebbe stata proprio la creazione di Futuro e Libertà, dove assieme a esponenti del centrodestra liberale come Della Vedova o Chiara Moroni si sarebbero ritrovati nostalgici non pentiti come Menia, padre della legge sul Giorno del ricordo, e l’ex repubblichino Tremaglia (che due mesi e mezzo prima di morire avrebbe invano chiesto un’ambulanza per «sentire l’applauso dell’Aula mentre voto contro Berlusconi»).[17]
Una nuova evoluzione della memoria
Questa porosità si manifestò per altro verso anche sul versante antifascista, prevalentemente nella forma dell’usare il richiamo alla Resistenza come terreno di costruzione di un discorso che, pur ricollegandosi a quell’eredità, si evolveva in una direzione distinta. In ottobre 2011, nelle fasi finali di evidente e crescente difficoltà del governo Berlusconi, il sostituto procuratore di Palermo Antonio Ingroia intervenne al congresso del PdCI dichiarandosi «un partigiano della Costituzione».[18] Nel dicembre dell’anno successivo il magistrato si sarebbe posto a capo della lista Rivoluzione Civile, presentatasi alle elezioni politiche del febbraio 2013 come alleanza di formazioni di sinistra, ecologiste e anticorruzione.
Ma ancor più importante fu il richiamo che ad alcuni simboli della Resistenza fu fatto da Beppe Grillo nell’intento di far radicare a sinistra il proprio soggetto politico. Già l’inizio dell’impegno politico di Grillo era avvenuto in una data simbolica – l’8 settembre 2007 – e in un periodo difficile per l’allora governo Prodi che aveva davanti a sé l’ostica navigazione parlamentare della legge finanziaria. La data era stata scelta «per ricordare che dal 1943 non è cambiato niente. Ieri il re in fuga e la Nazione allo sbando, oggi politici blindati nei palazzi immersi in problemi “culturali”».[19]
Fin da questo linguaggio era evidente il tentativo di porsi a cavallo di due mondi contrapposti: quello del fascismo, a cui ci si rivolgeva solleticando la lettura dell’8 settembre come “morte della patria”, e quello della Resistenza, che traspariva in controluce nel tentativo di suscitare un movimento popolare nominalmente rivolto al riscatto nei confronti dei nuovi “re in fuga”.
Senza scendere in questa sede in una disamina dei filoni che possono collegare il movimento grillino al fascismo o alla sinistra[20], è utile notare come l’invettiva antipolitica, storicamente associata in Italia a fenomeni di destra quali il leghismo, il qualunquismo e il fascismo, si abbinasse al richiamo a simbologie di sinistra. Così nel 2009 annunciando il futuro lancio del suo partito Grillo lo denominò Movimento di Liberazione Nazionale (e forse era proprio quella l’intenzione, poi abbandonata per ragioni di marketing).[21]
Nel mezzo, dopo l’8 settembre 2007 la seconda grande manifestazione si era avuta il 25 aprile 2008. Essa fu assai indicativa per due motivi. Anzitutto perché la piazza grillina si separava da quella unitaria «mobilitazione straordinaria» di associazioni partigiane, sindacati e partiti.[22] In secondo luogo perché in essa vi fu un largo concorso di popolazione. Dal palco Grillo mantenne ancora una volta la maschera resistenziale per velare proposte reazionarie: così, invocando l’abolizione del finanziamento pubblico alla stampa, mandò più di una volta messaggi di stima e solidarietà nei confronti dei partigiani.[23]
Da Monti a Conte
L’ultimo governo Berlusconi cadde nel novembre 2011 e lasciò lo spazio al governo Monti, formato da tecnici ma sostenuto in Parlamento da una grande coalizione formata dai due maggiori partiti e dalle formazioni di centro. In questo nuovo contesto, connotato dall’incidere di una dura crisi sociale soprattutto nell’anno 2012 – fino ad allora il risparmio privato aveva parzialmente mitigato i morsi della recessione – la memoria resistenziale trovò davanti a sé due eventi nuovi.
Anzitutto, con il dichiarato obiettivo del «modo tipicamente europeo di aumentare la produttività» – parole con cui vi si era dichiarato favorevole Giulio Tremonti quand’era titolare dell’Economia nel precedente governo – si avanzò la proposta di spostare alla prima domenica successive le festività civili fisse: 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno. Questo progetto, in realtà, non solo fu osteggiato da sindacati, associazioni partigiane e partiti di sinistra, ma non godeva di grande consenso neppure a destra: anche il PdL e la Lega, infatti, avevano votato l’emendamento parlamentare che eliminava tale evenienza dal decreto-legge economico dell’agosto 2011. Si trattava però, anche in assenza di una modifica reale dei giorni festivi, di un’erosione di valore nei confronti di alcuni simboli dei pilastri fondativi della comunità nazionale: la Repubblica, la Resistenza, il lavoro.
La seconda novità fu data da alcune dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio il 25 aprile 2012 nel corso della visita al Museo storico della Liberazione in via Tasso a Roma. Riferendosi allo spirito unitario che raccolse un’ampia pluralità di forze sociali e politiche nell’obiettivo della liberazione, Monti disse che «Se allora il Paese chiedeva pace e democrazia ora tutti, ad ogni livello, dobbiamo imparare a mettere in atto i principi del rigore della crescita e dell’equità […] Si tratta di “rigenerare” un’esperienza di liberazione, certamente meno drammatica, ma che richiede lo stesso impegno».[24]
Non è difficile accostare queste frasi all’esigenza di una liberazione non solo politica ma anche morale e di costume, particolarmente sentita dalle lotte del Partito d’Azione; né operare un collegamento più recente con le richieste liberare la Costituzione formale dalle incrostazioni del clientelismo, richieste avanzate in particolare dalla sinistra nel periodo di Tangentopoli.
Ma un’interpretazione negativa che ne fu data all’epoca suggeriva invece una torsione della memoria in direzione del sostegno ad un programma politico governativo dotato di alcune specifiche caratteristiche: la sua riduzione alla sfera del bilancio statale; l’assoluta mancanza di alternative a tale politica; la necessaria conseguenza che essa dovesse essere sostenuta dallo spettro politico nella sua totalità. Fatte le debite proporzioni, si sarebbe potuto rinvenire l’antesignano di questa concezione nel possibile governo Merzagora del 1964 o nei principii economici del programma piduista.
In realtà l’appello di Monti era probabilmente rivolto ai partiti ed ammoniva a non provocare fibrillazioni in un periodo in cui lo spread con i titoli tedeschi, dopo il minimo di 278 toccato il 19 marzo, era tornato a crescere in modo preoccupante. Tuttavia il collegamento diretto fra la Resistenza e un programma di natura prevalentemente economica era una novità che pareva denunciare lo sbiadire delle vive immagini della lotta.
Fu invece il governo Renzi, nel 2015, a investire molte energie sulla celebrazione del 70° della Liberazione, con il tentativo di raggiungere un amplissimo pubblico popolare. Per la cura delle celebrazioni di anniversari di interesse nazionale fu istituita una specifica delega per un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (Luca Lotti) e, oltre che dalle cerimonie ufficiali, la capillarità della commemorazione fu favorita anche dalla programmazione RAI, che per diversi giorni scelse di rinunciare a tre minuti in ogni stacco pubblicitario, riempiendoli con interviste a testimoni del 1945.
Il Presidente della Repubblica, parlando a Milano, osservò: «Molto si è discusso negli scorsi decenni sull’eredità politica della Resistenza, sulle violenze degli anni della guerra e di quelli immediatamente successivi, sui caratteri della nostra identità nazionale. […] Sono, tuttavia, convinto che, dopo tanto tempo, si sia formata nel Paese una memoria condivisa sulle origini e le fondamenta della Repubblica, che, se non basta a sanare le contraddizioni della nostra travagliata storia unitaria, costituisce un preziosissimo bene comune, il cui patrimonio è ora nelle nostre mani».[25]
Le polemiche di destra non erano, in realtà, cessate: nel 2015 il segretario leghista Salvini rifiutò di definirsi antifascista[26] e nel 2018, in campagna elettorale, paragonò l’Anagrafe antifascista di Stazzema all’anagrafe canina.[27] Nel 2017 Luigi Di Maio, in riferimento alle elezioni che si sarebbero tenute all’inizio dell’anno seguente, definì quel 25 aprile «l’ultima festa della Liberazione che celebreremo sotto un Governo dei partiti»[28] mentre anche Berlusconi a dicembre 2017, alla presentazione di un libro di Bruno Vespa, rinverdì la riabilitazione di Mussolini: «forse proprio un dittatore non era»[29], nell’evidente tentativo di attirare il voto fascista come già fatto nella precedente campagna del 2013 («Il fatto delle leggi razziali è stata la peggiore colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi invece aveva fatto bene», detta nel Giorno della memoria).[30]
L’insediarsi a giugno 2018 del governo Conte di coalizione tra M5S e Lega portò nuove nubi ad addensarsi sulla memoria. Al di là dei rapporti tra il partito del Ministro dell’Interno Salvini e la formazione neofascista di CasaPound, e della rivendicazione del ministro in quota leghista Paolo Savona di aver fatto parte della struttura Gladio[31], un primo segnale politico fu dato dal candidato governativo alla presidenza della RAI Marcello Foa che, intervistato a settembre dal Corriere della Sera, alla domanda esplicita «Lei è ebreo? Glielo chiedo solo perché i suoi detrattori l’accusano persino di questo» rispose: «No, sono cattolico, come i miei genitori. La mamma, greca, nacque ortodossa. Era ebreo il nonno Egizio, che s’innamorò di una cattolica e la sposò».[32] Un capolavoro di dog-whistling, perché si riuscì a far passare un concetto antisemita (“sono cattolico, non ebreo!”) dietro una domanda che rovesciava l’antisemitismo sugli avversari. Il mese successivo l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane denunciò che, in un allegato al decreto-legge in materia fiscale, il governo puntava a tagliare cinquanta milioni di euro dalle pensioni di vittime delle leggi razziali ed ex deportati.[33] L’esecutivo si difese asserendo che era una mera stima della fisiologica diminuzione della platea dei beneficiari: ma anche così non poté nascondere il valore propagandistico in senso fascista di esplicitare un tale risparmio in una platea in diminuzione da decenni ma di cui nessun governo aveva fatto menzione in materia di minori spese.
Altrettanto inquietante fu la dichiarazione resa dal Presidente del Consiglio l’8 settembre. Inaugurando a Bari la Fiera del Levante, nel 75° dell’inizio della Resistenza il capo del governo disse che «si pose fine ad un periodo buio della nostra storia, culminato con la partecipazione dell’Italia a una terribile guerra. Con l’8 settembre, inizia un periodo di ricostruzione prima morale e poi materiale del nostro paese. Un periodo che è stato chiamato, con la giusta enfasi, miracolo economico».[34]
Al di là della plateale ignoranza sul miracolo economico (che inizia nel 1958, o se vogliamo nel 1953), qui esteso fino alla Ricostruzione, l’intento politico della dichiarazione era quello di raschiare dalla memoria collettiva il periodo compreso tra l’armistizio e la fine della guerra, ossia appunto la Resistenza. Operazioni simili erano già in corso da parte di governi amici dei partiti di maggioranza. A febbraio, infatti, il Primo Ministro polacco Morawiecki, presente a Monaco di Baviera per la Conferenza sulla sicurezza, non solo aveva reso omaggio a un monumento funebre ai collaborazionisti polacchi, ma, nel difendere contro le critiche di Israele una proposta di legge che negava corresponsabilità polacche nella Shoah, riferendosi alla campagna antisionista del 1968 disse: «nel 1968 non c’era affatto la Polonia», negando così la legittimità nazionale della Repubblica Popolare.[35]
Ancora il 25 aprile 2019 gli esponenti leghisti disertarono le celebrazioni, con Salvini che vi contrappose apertamente la lotta alla mafia recandosi a Corleone, in una messinscena politica che solo un eccesso di cortesia fece definire a Saviano «teatro».[36]
Memoria e futuro
Forse è ancora troppo presto per poter definire con precisione quale memoria vi sia stata negli anni 2010, e anche per questo gli ultimi paragrafi di questa rassegna hanno consistito più che altro una carrellata di eventi, per giunta non esaustiva (si sarebbe potuto parlare della pdl Fiano contro il commercio di oggettistica fascista o dello scontro politico tra ANPI e governo sul referendum costituzionale 2016). Vista dal 2020 quella memoria appare sbiadita nei suoi contorni effettivi, ma ancora viva come riferimento storico e come imperativo morale. Alla difficoltà di un giudizio definitivo concorrono però i forti sommovimenti di cronaca che hanno occupato la vita pubblica, siano essi stati economici – la doppia crisi dell’economia reale e del debito sovrano – o politici – due elezioni politiche di seguito in cui il precedente sistema viene ribaltato e sostituito da un personale politico completamente nuovo (il tasso di rinnovamento della Camera, che generalmente si assesta intorno al 45%, fu del 64% nel 2013 e del 66% nel 2018).
È forse vero che la memoria è ormai condivisa, come notava Mattarella nel 2015. Perlomeno infiacchiti sembrano i tentativi di revisionismo aperto e nel 2020 tutti i partiti parlamentari tranne Fratelli d’Italia hanno, sia pure in diversa misura e con diverso coinvolgimento, commemorato il 25 aprile. Il pericolo però è che la Resistenza diventi condivisa al modo in cui lo è il Risorgimento o, estremizzando, l’impero romano: una parte della storia nazionale che tutti diamo per assodata e in cui non si fatica a riconoscere i Buoni, una parte di storia contestata solo da sparuti gruppuscoli reducisti, ma di cui poi conosciamo abbastanza poco e che poco ci ispira nella vita politica salvo omaggi puramente verbali.
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[1] https://www.corriere.it/politica/08_marzo_10/ciarrapico_bufera_a26bb7d6-ee9b-11dc-bfb4-0003ba99c667.shtml
[2] https://web.archive.org/web/20140919054047/http://archiviostorico.corriere.it/2008/aprile/04/Caradonna_Votare_Pdl_per_fermare_co_9_080404041.shtml
[3] https://anpi.it/media/uploads/patria/2008/4/04-5_Documento_ANPI.pdf
[4] «Niente gridi d’allarme, la democrazia non è a rischio», Corriere della Sera, 25 aprile 2008
[5] https://archivio.unita.news/assets/derived/2008/04/26/issue_full.pdf
[6] https://archivio.unita.news/assets/derived/2008/04/29/issue_full.pdf
[7] https://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/berlusconi-25-aprile/berlusconi-25-aprile/berlusconi-25-aprile.html
[8] https://archivio.unita.news/assets/derived/2009/04/26/issue_full.pdf
[9] La Russa: rispetto per tutti, basta divisioni, Corriere della Sera, Cronaca di Milano, 27 aprile 2009
[10] https://www.corriere.it/politica/08_settembre_07/alemanno_leggi_razziali_b4348268-7c8a-11dd-ba5e-00144f02aabc.shtml
[11] https://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/politica/alemanno-razziali/testo-veltroni/testo-veltroni.html
[12] https://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/politica/anniversario-8-sett/anniversario-8-sett/anniversario-8-sett.html
[13] https://archivio.unita.news/assets/derived/2008/09/09/issue_full.pdf
[14] http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/31811.htm
[15] https://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/berlusconi-25-aprile/franceschini-dopo-25/franceschini-dopo-25.html
[16] http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00530824.pdf
[17] https://www.bergamonews.it/2011/10/14/il-mio-ultimo-desideriovotare-contro-berlusconi/152149/
[18] https://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/30/ingroia-sono-un-partigiano-della-costituzione-e-dal-pdl-parte-la-polemica/167435/
[19] https://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2007/09_Settembre/08/grillo_v_day.shtml
[20] Ho tentato di farlo qui: https://archivio.ilbecco.it/politica/item/4453-radici-del-movimento-5-stelle.html
[21] https://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/politica/grillo-partito/grillo-partito/grillo-partito.html
[22] https://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/politica/vaffa-day-25aprile/vaffa-day-25aprile/vaffa-day-25aprile.html
[23] https://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/politica/vaffa-day-25aprile/v-day-25-aprile/v-day-25-aprile.html
[24] http://www.rai.it/dl/grr/notizie/ContentItem-63a53b4d-38c5-4ef2-8bad-7e1bacddafd8.html
[25] https://www.quirinale.it/elementi/1033
[26] https://www.fanpage.it/politica/festa-liberazione-quando-matteo-salvini-diceva-io-antifascista-non-sono-anti-oggi-sono-pro/
[27] https://firenze.repubblica.it/cronaca/2018/02/07/news/salvini_a_firenze_manifestazione_antagonista_contro_il_leader_della_lega_nord-188272707/
[28] https://www.repubblica.it/politica/2017/04/25/news/25_aprile_tra_divisioni_e_polemiche-163844848/
[29] https://www.corriere.it/video-articoli/2017/12/13/berlusconi-legge-fornero-tema-cui-non-mi-sono-mai-applicato/2f41d7ac-e02d-11e7-b8cc-37049f602793.shtml
[30] https://www.repubblica.it/politica/2013/01/27/news/berlusconi_leggi_razziali_peggiore_cola_di_mussolini-51385687/
[31]https://video.repubblica.it/politica/savona-nel-2015–euro-serve-un-piano-b–e-lo-paragona-a-gladio/306375/307004?
[32] https://www.corriere.it/politica/18_settembre_26/foa-portero-aria-fresca-nuovi-direttori-tg-basta-settarismi-c50f17f6-c1cb-11e8-bcc0-6fbb0e9f9aa8.shtml
[33] https://www.repubblica.it/economia/2018/10/29/news/tagliate_le_pensioni_agli_ebrei_vittime_delle_leggi_razziali_e_ai_perseguitati_politici-210294694/
[34] https://www.ilpost.it/2018/09/09/giuseppe-conte-8-settembre-25-aprile/
[35] https://www.fakt.pl/wydarzenia/polityka/morawiecki-w-1968-r-nie-bylo-polski/se0ntyl
[36] https://www.repubblica.it/politica/2019/04/25/news/25_aprile_e_antimafia_il_teatro_di_salvini-224798061/
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.