Nel 1997 fu un film profetico. Ma bisogna saper raccontare il come e il perché lo è stato. Il 17 gennaio 1998 il sito internet Drudge Report riferì che la redazione di Newsweek aveva deciso all’ultimo minuto di non includere nel suo numero settimanale un articolo su una relazione tra il presidente degli Stati Uniti dell’epoca, Bill Clinton, e una stagista ventitreenne, Monica Lewinsky (leggi qui). L’inchiesta arrivò qualche giorno dopo nella redazione del Washington Post. La bomba a mano arrivò il 26 gennaio. Alla conferenza stampa, Bill Clinton arrivò con la moglie Hillary e disse: “Voglio dire una cosa agli americani. Ascoltatemi bene. Lo ripeto: non ho avuto rapporti sessuali con questa donna. Non ho chiesto a nessuno di mentire, non una sola volta: mai. Queste accuse sono false.” Poi il 6 maggio 1998 una donna di nome Paula Jones denunciò il presidente per molestie sessuali. Sosteneva di essere stata molestata l’8 maggio del 1991, quando Clinton era governatore dell’Arkansas. Sia Clinton che Lewinsky negarono sotto giuramento di avere avuto rapporti o relazioni di tipo sessuale. Il 17 agosto del 1998 Bill Clinton diventò il primo presidente in carica ammettendo che tra lui e Monica Lewinsky c’erano state delle “relazioni inappropriate”. Disse di essere dispiaciuto e pentito, disse di esser pronto a prendersi tutte le responsabilità per il suo comportamento e per i suoi errori.
Il libro “American Hero” di Larry Beinhart (inedito in Italia) fu scritto nel 1993. I geniali sceneggiatori David Mamet e Hilary Henkin capirono che questo volume era una ghiotta occasione per fare satira sulla politica americana. Così lo adattarono e la New Line Cinema, etichetta di proprietà Warner Bros, cominciò a preparare il budget (15 milioni di dollari).
Un po’ di tempo fa vi avevo parlato di un film (The Front Runner) che parlava dell’uso del gossip per cambiare la sorte dei risultati elettorali. I fatti riportati in questo film provocarono la vittoria del repubblicano George Bush senior. Gary Hart, il front runner democratico, fu costretto alla resa nonostante fosse in netto vantaggio. Ma fu beccato dai paparazzi con un’altra donna.
In realtà il riferimento della storia del libro di Beinhart era ambientato proprio ai tempi della presidenza di George Bush senior nel 1993, in cui i sondaggi anticiparono la futura vittoria democratica di Clinton.
Ma il sexy gate del 1998 rimescolò le carte e fece diventare il film una storia dannatamente vera. La finzione anticipava ed arricchiva la nuda realtà dei fatti. Come ha giustamente scritto Irene Bignardi su Repubblica il 10 aprile 1998 “in America il film si è beccato l’accusa di cinismo. E lo si capisce. La satira fa male, e gli americani non amano forse sentirsi dire sulle loro guerre le cose poco lusinghiere che dice il gelido ma lucido De Niro.”
Vi è venuta voglia di vedere questo film? In Italia attualmente la versione home video è fuori catalogo (guarda caso), si può vedere solo su internet.
L’inizio del film sembra banale e invece è folgorante.
Didascalia: “Perché un cane dimena la coda? Perché è più in gamba della sua coda”. Lo stesso concetto si può dire di una buona fetta di cervelli appena usciti dalla quarantena.
La battuta sta alla base del concetto del titolo originale “Wag the dog”. Un modo di dire che sta per un cane che si morde la coda ovvero una sorta di cortocircuito. Soprattutto in ottica mediatica.
Il film di Barry Levinson si espone e dice a chiare lettere che questo abile marchingegno va saputo comprendere.
Pochi secondo dopo ecco un agghiacciante spot del presidente americano in carica. “Mai cambiare cavallo a metà del percorso”. Sembra uno spot berlusconiano degli anni 90.
Poi si entra nella Casa Bianca: dapprima si vede un’aspirapolvere in funzione e poi un uomo al metal detector. E’ lui che deve “lucidare” e rendere pulita la tana presidenziale dopo uno sgradevole fatto.
Una donna dello staff del presidente dice “finalmente è arrivato”. Chi sarà questo misterioso uomo?
Intanto la macchina da presa di Levinson (non scordiamoci che il direttore della fotografia è Robert Richardson, già collaboratore di lunga data di Quentin Tarantino) ci accompagna attraverso le telecamere di sorveglianza, nelle oscure stanze del potere. A creare la giusta atmosfera c’è la magica e riconoscibilissima chitarra di Mark Knopfler dei Dire Straits (la canzone portante è “Wag the dog”). Un breve pianosequenza tra i corridoi in stile Birdman ci svela mano a mano la misteriosa identità dell’uomo. Lo staff del presidente non sa che pesci prendere.
Una minorenne ha accusato il presidente americano di molestie. Il fatto potrebbe fargli perdere le prossime elezioni. Ma ecco l’asso nella manica. L’addetta alla presidenza Winifred Ames (Anne Heche), su richiesta del presidente puttaniere beccato con le mani nel sacco, coinvolge il freddo e taciturno Conrad Brean (Robert De Niro), esperto in comunicazioni di massa. In realtà l’uomo è un venditore di fumo che deve far credere a tutti che l’odore sia meglio della sostanza stessa.
L’obbiettivo è insabbiare il fatto sviando l’opinione pubblica per riabilitare il Presidente. Ai mass media viene comunicato che è rimasto bloccato in Cina con la febbre per stringere nuovi accordi commerciali. Come cantavano ironicamente 30 anni fa i profetici R.E.M. in “Pop song 89”, should we talk about the weather? Should we talk about the government? Tradotto: “possiamo parlare del tempo? Possiamo parlare del governo?”
La realtà è che Conrad deve prendere tempo per tirar fuori un piano più diabolico dei plastici di Bruno Vespa ai tempi dei fatti di Cogne.
Nella fase 1 Conrad escogita una finta guerra con l’Albania.
La domanda sorge spontanea: perché?
Nessuno nella società occidentale sa qualcosa dell’Albania. “È un popolo sfuggente. Come dire, non è trasparente. Lei cosa sa dell’Albania, cosa sa degli albanesi? Chi si fida degli albanesi? Ho capito, ma che male ci ha fatto l’Albania? Non ci ha neanche mai fatto del bene. Ecco perché dobbiamo far scaldare i reattori dei B3” – dice Conrad allo staff presidenziale.
Così viene diffusa una “fake news” in puro stile Trump di una cellula di terroristi albanesi che minaccerebbe il territorio nazionale da una base in Canada. L’idea, per essere fruibile, deve però esser credibile per tutti. Così nella fase 2, Conrad si serve di un produttore di Hollywood, il loquace Stanley Motss (un sardonico e loquace Dustin Hoffman), per ricreare negli studios le immagini del conflitto. Dall’abbigliamento e dalle abitudini il personaggio di Hoffman è una via di mezzo tra il padre Harry, ex allestitore di scenografie alla Columbia Pictures, e Robert Evans, direttore di produzione della Paramount Pictures. I testi di Mamet diventano graffianti e sarcastici, la regia di Barry Levinson (Rain Man, Toys, Good morning Vietnam) mostra una guerra surreale prendendo spunto dal “dottor Stranamore” di Stanley Kubrick. Nel mezzo gli irresistibili duetti tra il logorroico Hoffman e il glaciale De Niro. Una caterva di effetti speciali hollywoodiani crea la scena di un finto conflitto dove imperversa una ragazzina (interpretata da una giovanissima Kirsten Dunst, la Mary Jane del primo “Spiderman” di Sam Raimi) in fuga con in braccio un gattino. Sullo sfondo macerie e i segni del conflitto. E’ una finzione, ma chi vi dice che non possa diventare verità? E poi c’è il musicista folk/country Willie Nelson che crea la colonna sonora con un brano capace di contagiare ed elevare il nobile spirito patriottico americano.
Ma il bello deve venire. La sorpresa più grossa è l’entrata in scena del finto eroe americano, che torna in America dopo esser stato prigioniero da molti anni in Albania. “Vecchia scarpa” (un ironico Woody Harrelson), il nome del fantomatico eroe noto a tutti per il carattere mite, in realtà non è propriamente un reduce. Lascio a voi la sorpresa, ma è risaputo che è difficile mettere un freno agli ormoni. Specie a primavera. Il viaggio in aereo e la scena successiva sono la parte più esilarante della pellicola, in cui Woody Harrelson (lo sceriffo di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”) ruba la scena a tutti. Tuttavia però il vero colpo di scena è sicuramente il finale. Mentre tutti sono concentrati sulla “riabilitazione” pubblica del Presidente, sta per scoppiare un’altra bomba. Per tutto il film ci vengono fatti vedere due mostri caratterialmente diversissimi, ma unitissimi nel rendere credibile questo giocattolo. Ed è proprio in questo incontro/scontro tra il gatto e la volpe, Hoffman e De Niro, possiamo trovare il cuore pulsante del film: lo scontro tra arte e potere, tra verità e finzione, tra politica vera e di palazzo. Gli sceneggiatori Mamet e Henkin inveiscono contro il Potere che strumentalizza da sempre i media corrotti per manipolare i cittadini.
Questo film magari vi sembrerà tecnologicamente superato (all’epoca non c’erano social network e smartphone), ma sociologicamente parlando è un gioiello. Merita un’accurata riflessione visto quello che sta succedendo oggi con l’uso delle fake news che vengono ogni giorno paracadutate sugli smartphone, nei social network e nei tg. La virtualità è la struttura che permette ogni tipo di abuso di potere: dai sondaggi elettorali alla ricostruzione della guerra al computer, dall’assoluto silenzio in cui si muovono i manipolatori mediatici al cinema. Tutto concorre a creare un’atmosfera falsa, allucinata e preoccupante. Ma lo ha detto la tv ed allora tutto torna, come diceva Woody Allen.
Non ha importanza come cazzo ci riesci, se ci riesci. Lo diceva un certo Platone. Oggi diciamo che l’importante è il risultato. Al resto basta una supercazzola detta bene. Anche in Italia i fatti recenti dimostrano che questa lezione purtroppo ancora non l’abbiamo imparata bene.
Sesso e potere ****
(USA 1997)
Titolo originale: Wag the dog
Genere: Commedia nera / Grottesco
Regia: Barry Levinson
Sceneggiatura: David Mamet, Hilary Henkin
Fotografia: Robert Richardon
Musiche: Mark Knopflet
Cast: Dustin Hoffman, Robert De Niro, Woody Harrelson, Anne Heche, Kirsten Dunst, William H. Macy
Durata: 1h e 37 minuti
Trailer Originale qui
Tratto dal romanzo “American Hero” di Larry Beinhart
Premio speciale della Giuria al Festival di Berlino 1997
Budget: 15 milioni di dollari
La frase: Come disse Platone: “Non ha importanza come cazzo ci riesci, se ci riesci”.
Regia **** Interpretazioni ***** Musiche **** Fotografia**** Sceneggiatura *****
Immagine da www.slate.com
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.