Pubblicato per la prima volta il 18 aprile 2018.
Il film è ora disponibile su Raiplay.
[Premetto: non sono un’esperta di critica cinematografica, lascio quindi a voi le valutazioni tecniche; qui mi limito a un commento “naïf” sulla trama e sul suo significato]
Vedi il trailer qui.
Di film biografici ne esistono a bizzeffe, su personaggi di ogni sorta, ma – nonostante l’importanza di Karl Marx per la storia del pensiero – quasi nessuno si era ancora cimentato nel trasporre la sua vita sul grande schermo.
Il primo non sovietico a tentare quest’impresa fu Rossellini, che però morì prima di terminare la stesura della sceneggiatura. A riprendere in mano quest’impresa e a colmare questa grossa lacuna ci ha pensato il registra haitiano Raoul Peck, un autore decisamente interessante e dal passato particolare: famoso al grande pubblico per il documentario candidato all’Oscar I Am Not Your Negro, Peck è vissuto tra Zaire, USA, Francia e Berlino e tra il 1995 e il 1997 ha ottenuto l’incarico di ministro della cultura di Haiti sotto il ministro dell’OLP Rosny Smarth.
Incuriosita da come Peck potesse aver tradotto la vita di Marx su pellicola, mi sono diretta in un piccolo cinema di periferia, uno dei pochi che non è stato ancora ucciso dalla concorrenza spietata dei multisala, per vedere Il Giovane Karl Marx. La sala, che mi sarei aspettata vuota visto il luogo e la tipologia di film, era invece riempita da persone di tutte le età.
Le premesse erano buone, in quanto la vita di Karl Marx si presta bene ad essere romanzata: filosofo impegnato, economista geniale, rivoluzionario, cosmopolita con un carattere irriverente e una vivace vita sociale e amorosa.
Sono molti gli episodi intriganti che potrebbero ispirare potenziali registi a raccontare la sua storia. Il film si concentra tuttavia su un tratto breve della sua vita, ossia il quinquennio tra i 25 e i 30 anni. Il Giovane Marx ripercorre infatti il periodo dal 1843, anno in cui la famiglia Marx si trasferisce a Parigi, al 1848, anno della scrittura del manifesto del partito comunista.
Questa scelta, se da una parte è stata fatta per evidenziare un periodo particolarmente ricco ed intenso della vita del teorico di Treviri, dall’altra risulta un ottimo escamotage per esaltare lo spirito della gioventù, tema che emerge costantemente in tutta l’opera, a partire dal titolo.
L’esaltazione della giovinezza sembra quasi voler sottolineare lo stretto binomio tra gioventù e rivoluzione, dove lo spirito antinomico e irriverente del protagonista è strettamente legato alla sua età anagrafica. Questa propensione rivoluzionaria la si può leggere anche nella ribellione degli altri protagonisti, dove il distacco della propria classe di appartenenza coincide con il distacco dalle rispettive famiglie: Jenny, aristocratica moglie di Marx, ha abbandonato una vita agiata per sposare il figlio di un ebreo convertito (e la causa della rivoluzione); Engels, ricco borghese che lavora nella fabbrica del padre, vive un perenne conflitto con il genitore e con se stesso e tenta di trovare una coerenza con i propri ideali.
Lo stesso autore spiega così la sua scelta alla rivista Mondi Sommersi: «La mia idea per questo biopic è sempre stata quella di raffigurare un giovane: quello che vedo sono quei tre ragazzi che decisero di cambiare il mondo come voglio fare io oggi. Si tratta di quest’energia, di questo pensiero, di geni incredibili quali erano, il lavoro che hanno fatto. Spero che questo ispiri i giovani perché loro si trovano nel mezzo, in quella fase in cui cercano risposte. Vogliono sperare che la vita sia molto più di questa piccola bolla in cui si trovano».
Tuttavia, questo ragionamento ha creato a mio parere delle problematiche interpretative; molti sono i giornalisti che, recensendo il film, si sono soffermati sulla relazione tra giovinezza e ribellione e hanno definito questa pellicola come un “invito” alla sollevazione giovanile in un periodo storico in cui il conflitto sociale sembra latente. C’è chi però va oltre e vede non solo una generazione apatica, ma ritiene che la società attuale non sia conflittuale, quasi che l’opposizione tra oppressi e oppressori fosse retaggio del passato, ormai inesistente. In questa prospettiva, il carattere “post-ideologico” dell’età contemporanea renderebbe anacronistico occuparsi di figure rivoluzionarie come quella di Marx. Adottando tali presupposti, si perde di vista il carattere egemone del neoliberismo e si rischia di ignorarne l’aspetto ideologico.
Penso che il film vada invece visto come un tentativo del regista di portare sul grande schermo un modello che possa ispirare nella nuova generazione una “lotta ragionata”.
In particolare viene presentato lo scontro tra un socialismo “ingenuo”, basato sull’ideale cristiano di fratellanza e amore tra gli uomini, e un comunismo basato sulla prassi, con una solida base teorica e strategica, che vede nel conflitto tra classi l’unica possibilità di un cambiamento, e di una trasformazione sociale. Questo conflitto sfocia nella “conquista” della Lega dei Giusti – che viene trasformata da Engels in Lega dei Comunisti – e lo stesso motto viene trasformato da “tutti gli uomini sono fratelli” a “proletari di tutto il mondo unitevi”.
Il messaggio è chiaro: la rabbia e l’indignazione non bastano, se alla base non c’è una teoria che trovi un riscontro nell’azione pratica.
Il conflitto non è solo organizzato, è anche universale, e riguarda indistintamente tutto il mondo occidentale; lo scontro tra i protagonisti e l’autorità (qualunque essa sia) è perpetuo: i Marx devono continuamente a trasferirsi (dalla Prussia a Parigi, da Parigi a Bruxelles e da Bruxelles a Londra) a causa delle attività politiche di Karl. Questo aspetto cosmopolita della lotta di classe viene sottolineato nella versione originale dell’opera grazie alla recitazione in tre lingue differenti (inglese, francese e tedesco). In questo modo il film riporta sullo schermo l’anima poliglotta di Marx, il rivoluzionario europeo capace di percepire la lotta al di fuori del proprio paese, di unire le classi al di là della nazione: l’opposizione tra borghesia e proletariato oltrepassa i confini in quanto parte del sistema capitalistico. Nella traduzione italiana il film purtroppo perde quest’aspetto e le differenze linguistiche vengono annullate.
Inoltre, durante Il giovane Karl Marx la struttura politica dell’epoca viene (forse volutamente) ignorata, e ci si limita a narrare uno scontro tra il popolo e i “sovversivi” da una parte e gli abusi della polizia di monarchie e poteri estremamente autoritari dall’altra.
Oltre alla dimensione umana del filosofo, che vede Marx destreggiarsi tra sbronze, amori e amicizie, il regista riesce a dare anche un po’ di spazio ai suoi scritti. A livello cinematografico, soprattutto per esigenze tecniche, non è facile parlare di teorie economiche e politiche in un prodotto ludico di poche ore; eppure, nonostante una forte semplificazione del discorso teorico – che viene penalizzato a favore della trama romanzata – troviamo la presenza di stralci di saggi e articoli fedelmente ripresi.
Emergono così con chiarezza alcuni tratti del suo pensiero, che lo spettatore più attento non può far a meno di notare, a partire dal preambolo del film, dove l’opera riprende un articolo dell’ottobre 1842 di Marx (incluso nella Gazzetta Renana) in cui l’autore si scaglia contro una legge della Renania che punisce con il carcere la raccolta di sterpi e ramaglie nelle foreste private. La scelta di riportare quest’articolo non è probabilmente casuale: si tratta dello scritto che, secondo alcuni autori, ha portato Marx a rafforzare la sua base teorica e a studiare con attenzione i socialisti dell’epoca, da Saint Simon a Proudhon.
Nella pellicola vengono citati anche altri riferimenti intellettuali che hanno ispirato il pensatore renano: viene accennata la sua relazione con la sinistra hegeliana, e l’incontro con Engels porterà invece il giovane Marx a rafforzare le conoscenze degli economisti classici.
Nel film viene inoltre raccontata la genesi della Sacra Famiglia (il cui titolo originario era Critica della critica); dal rapporto conflittuale con Proudhon nascerà Miseria della filosofia; inoltre, si vede un Marx che sta iniziando ad abbozzare la teoria del plus valore, prendendo i primi appunti di quello che sarà Il Capitale.
Infine c’è la genesi del Manifesto del Partito Comunista. La stesura di questo testo è in un certo senso sia la realizzazione dell’obiettivo che si pongono Engels e Marx nel film, nonché la perfetta conclusione dell’opera: questo scritto, più semplice ed intuibile rispetto alle altre opere, risponde all’esigenza di raggiungere un pubblico più ampio e garantisce finalmente una concreta base teorica al movimento operaio.
Un manifesto che non si è limitato a ispirare i movimenti dell’epoca, ma che ha perpetuato la sua influenza fino ad oggi. Per rendere l’idea di quanto questo testo, a 170 anni dalla sua pubblicazione, abbia cambiato il corso della storia, il film termina con un finale estremamente evocativo: le parole del manifesto lette da Marx stesso (e seguite da un improbabile sottofondo di Bob Dylan), vengono accompagnate da un carosello di immagini e video in ordine cronologico che raccontano le battaglie sociali dall’800 alla società contemporanea.
Questo lungometraggio, di certo non rivoluzionario ma comunque interessante, non è solo il tentativo di dare un’immagine “pop” a Marx, ma è soprattutto il racconto di un’idea di politica fatta di passione, scontro e dedizione. Se non l’avete ancora fatto, vale dunque la pena di darci un’occhiata.
Immagini Wanted Cinema
Nata a Treviso nel 1987, ha successivamente vissuto tra Bologna, Bucarest e Firenze. Femminista appassionata di musica, si interessa di politica, sociologia, antropologia e gender studies.