La sveglia suona alle 7:30 ma sei ancora stanchissima, come se non avessi riposato abbastanza. Certo che è strano, alla fine le giornate le passi chiusa in casa. Niente in paragone a quest’inverno, quando scorrazzavi per la città in bicicletta, macinando chilometri su chilometri. Eppure sì, sei stanca.
Con gli occhi cisposi ti dirigi verso la cucina, metti su il caffè e prepari la colazione. La rassegna stampa di sottofondo è un interminabile sciorinare di numeri, di interpretazioni contrastanti tra di loro. Nuovi casi, casi complessivi, nuovi decessi, decessi totali: il problema vero è la grande confusione nell’uso dei termini e quindi, di conseguenza, nella comunicazione. Mangi la tua fetta di pane e marmellata col caffè latte, accompagnata da queste riflessioni. Riflessioni che però non possono protrarsi a lungo.
Sono le 8 e manca solo un’ora all’orario di inizio lavoro. Ma coma? Non stavi a casa tutto il giorno? Certo, in smart working. Lavoro agile. Lavoro agile che comunque dovrebbe prevedere orari flessibili (anzi, non dovrebbe prevedere affatto orari, ma vabbé), per il quale dovresti lavorare per obiettivi, per progetti. E invece tu ti trovi a correre a sgomberare il tavolo dalle cose della colazione, prendere il pane, a sbrigare quelle due faccende strettamente necessarie ad evitare che la polvere sulla lavatrice in bagno diventi uno strato compatto che ricorda il compensato e ti fiondi davanti al pc.
E inizia così un’altra giornata tra meeting online, valanghe di messaggi WhatsApp e mail tali che oramai, al minimo squillo di un dispositivo elettronico, ti sale la bile. Sì perché all’idea di lavorare da casa, prima che ci trovassimo completamente travolti da questa situazione terribile, i tuoi colleghi erano anche contenti. Tempo risparmiato per i trasporti, meno fatica, poi tutto sommato sei già a casa, quindi è più comodo stare dietro a tutto il resto che hai da fare. Anche l’idea di cimentarsi con gli strumenti per il lavoro a distanza tutto sommato era stimolante: qualcosa di nuovo, con la consapevolezza che si arriva fin dove si può.
Poi, da un giorno all’altro, lo smart working all’italiana si è palesato in tutta la sua, terribile, realtà. Innanzitutto, gli orari. Non solo si rispettano gli orari dell’ufficio (quando il lavoro agile, per definizione, non ne avrebbe) ma a questo si aggiunge il messaggino WhatsApp per segnalarti il profilo del relatore Tizio, chiedendoti di informarti, quello su Messenger per chiederti una breve ricerca su Caio e l’sms per chiederti di rispondere all’ultima mail perché “tanto ci accedi dal pc di casa, che ti ci vuole?”. Già, che mi ci vuole?
In secondo luogo, l’attrezzatura. Perché certo, bellissimo dire che per la sicurezza di tutti ci mettiamo a lavorare da casa, ma nessuno era davvero pronto. E quindi non solo i contratti non sono adeguati (e non sappiamo per quanto andrà avanti questa situazione) ma ci siamo dovuti arrangiare con quello che si aveva: molto spesso poco, molto poco. Così ti ritrovi a lavorare da casa usando il tuo computer e il tuo telefono personali (e ringrazi di essere in una situazione migliori dei colleghi che i dispositivi personali li devono dividere con i figli che seguono le lezioni di didattica a distanza), connettendoti usando la tua connessione e usando la tua stampante (se ce l’hai).
A ciò si aggiungono le difficoltà di comunicazione: tra che non tutti hanno dispositivi o connessioni ottimali (ci mancherebbero anche le richieste specifiche…) e che non tutti, di nuovo, hanno la stessa praticità con gli strumenti tipici del lavoro a distanza, coordinarsi con i colleghi diventa difficile e richiede molto tempo. Un consiglio o un parere al volo non sono più al volo, decidere chi fa cosa non è così immediato ma soprattutto è difficile coltivare il rapporto tra colleghi, la complicità che si sviluppa nei luoghi di lavoro.
Arriva l’ora di pranzo e, mentre parli al telefono, ti ritrovi ad improvvisare un pasto al volo (perché, di nuovo, la pausa pranzo è rimasta quella mezz’ora di sempre). Sgomberi il tavolo della cucina, adibito a scrivania dopo averti ospitato per la colazione, e apparecchi per mangiare qualcosa al volo. Velocemente, perché il tempo è poco e tu devi anche “tornare in ufficio” sbaraccando tutto e rimettendo su pc e annessi. Perché da quando è iniziato il periodo di “quarantena” sono usciti come funghi articoli con consigli su come gestire il lavoro da casa. E tutti dicono le stesse cose: “datti delle regole”, “tieniti a modino e non lasciarti andare”, “non poltrire sul divano e suddividi gli spazi di lavoro da quelli di riposo”. Eh, certo. Suddividi. Mi limiterò a far notare che per poterli suddividere, gli spazi, bisogna averli. E non si tratta di rancore o insofferenza dovuta al ristagnare oramai da due mesi tra le solite quattro mura, sognandosi anche di notte le scorribande in bici all’aria aperta. Ma semplicemente di prendere consapevolezza di quella che è la realtà. La situazione influisce anche sul tuo umore, così che ti trovi ad altalenare tra l’irritazione più profonda per la tua posizione, bestemmiando per il mal di schiena dovuto alla quasi fusione con la tua sedia (si chiamerà anche lavoro agile ma ti dà un torcicollo che mezzo basta) e il più atroce dei sensi di colpa per le tue lamentale, perché comunque basta darsi un’occhiata in giro per vedere la portata del disastro che stiamo vivendo.
Il punto però non sono né le tue incazzature né i tuoi sensi di colpa. Nessuno ha la più pallida idea di quanto durerà questa situazione e soprattutto nessuno può escludere che in futuro ci ritroveremo ad affrontare qualcosa di simile. Se l’inizio ci ha presi alla sprovvista, l’effetto sorpresa non può essere una carta-scusa che è possibile giocarsi per mesi. Il lavoro da casa non può diventare la nuova frontiera della violazione dei diritti acquisiti: dobbiamo riflettere su come trovare soluzioni a tutte quelle problematiche nel corso di questi mesi di rodaggio “massiccio” sono emerse. Perché a lungo andare la situazione rischia di diventare seria, soprattutto per tutte quelle lavoratrici che nello stesso spazio fisico si vedono sovrapporre lavoro retribuito e lavoro domestico.
Arriva il momento di spegnere il pc, finalmente. Gli occhi ti fanno pupi pupi e anche il telefono è un supplizio. Annaffi quelle poche piante che ancora ti sono rimaste fedeli e non ti hanno abbandonata e inizi a ragionare sulla cena. Cena che comunque mangerai in cucina, al solito tavolo, alla faccia della divisione degli spazi e della positività a tutti i costi.
Immagine da www.pikrepo.com
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