Viviamo tempi sicuramente non facili, ma la quarantena può servire per riflettere. Stare a casa può essere utile per pensare, per convincersi che dobbiamo modificare qualcosa dei nostri atteggiamenti. L’esempio di questo film può servire. Se dopo un mese di quarantena (questo termine deriva dai 40 giorni di isolamento dell’equipaggio delle navi a Venezia durante l’epidemia di peste del XIV secolo) vi lamentate, guardate attentamente questa pellicola.
Correva l’anno 2003 quando il regista e sceneggiatore sudcoreano Park Chan Wook si affermò globalmente con “Old Boy”. Non era la sua opera prima, ma in diversi Paesi fu la prima a essere distribuita. Nella primavera 2004 il film vinse un sacrosanto Gran Premio della Giuria a Cannes. Per la cronaca la Palma d’Oro andò a Michael Moore con “Fahrenheit 9-11”.
In Italia il film arrivò in sala solo un anno e mezzo dopo, a maggio 2005. È uno dei film asiatici più conosciuti ed apprezzati degli anni 2000. Lo stesso Tarantino lo elogiò e premiò al Festival di Cannes nel 2004, definendolo come «il film che avrei voluto fare».
Old Boy è tratto dal manga omonimo scritto da Garon Tsuchiya e disegnato da Nobuaki Minegishi. È considerato uno dei più importanti film della rinascita del cinema sudcoreano. Chan Wook Park è uno degli autori di riferimento insieme a Bong Joon Ho (Parasite, Snowpiercer) e Kim Ki Duk (Ferro 3, Primavera, estate, autunno, inverno e…ancora primavera). Questo film è il secondo episodio della “Trilogia della Vendetta” firmata da Chan Wook Park, iniziata da Mr Vendetta – Simpathy for Mr Vengeance e terminata da Lady Vendetta. La storia lascia il segno. Tutto questo lo capirete alla fine del film.
Un’opera fondamentale, avvincente, spettacolare, tecnicamente superba, eccelsa nella scrittura, difficilmente emulabile (ci ha provato Spike Lee nel remake del 2013 con risultati alterni), costata appena 3 milioni di dollari. Fa venire la bava alla bocca e l’ansia allo spettatore che vuole capire come va a finire. Quasi nessuno alla prima visione è riuscito ad arrivare alla soluzione.
Un film che sa coniugare amore per il cinema, follia, etica e vendetta. Sembra un ossimoro ciò che sto dicendo, ma è la forza di questa storia. Più avanti capirete il nesso. Ma partiamo dalla trama.
Seoul, Corea del Sud. In una notte cupa e piovosa, si viene introdotti nella vita di Oh Dae Soo (un’allucinante interpretazione di Cho Min Sik), uomo di mezz’età sposato e padre di famiglia. Un Old Boy, insomma. La sua vita però è fatta di tanti vizi/piaceri: donne, alcool e non solo. Tutto ciò però non serve a dire che l’uomo è un poco di buono. C’è di più chiaramente e lo scopriremo solo alla fine. In una piccola stazione di polizia, l’uomo è stato fermato perché ubriaco dopo l’ennesima notte balorda. Mentre si trova a fare una telefonata in una cabina di un telefono pubblico, ecco che la regia ci mostra la sparizione dell’uomo. Puff!
Il regista ci mostra subito di cosa è capace. Trucco di magia? Furbizia registica? Non proprio. Lo spettatore si risveglia con Oh Dae Soo in uno squallido motel. Come se dormissimo insieme a lui. Respiriamo, camminiamo, pensiamo, mangiamo, beviamo con lui. Ancora però non abbiamo capito niente. Lo spettatore è intrappolato, con il protagonista, in un gioco perverso simile a un puzzle claustrofobico. Un pezzo dopo l’altro dobbiamo trovare il quadro generale. Il coronavirus stavolta non c’entra. Le domande che lo spettatore si deve porre sono le seguenti: come, quando e perché? Chi è il sadico che lo ha imprigionato?
Sembrano domande banali, ma le vostre convinzioni verranno spazzate via molto presto. Poco dopo dalla tv apprendiamo che la moglie è stata assassinata. Oh Dae Soo è l’indiziato principale. D’altronde il marito lo è sempre, in questi casi. Ed ecco uno dei primi indizi: la televisione. Ovvero l’unica compagnia, l’unica voce di “verità” della prigionia dell’uomo. “La tv è allo stesso tempo orologio e calendario, scuola, casa, chiesa, amica e amante” – dice la voce del narratore all’inizio. Come sosteneva Woody Allen “è assolutamente evidente che il cinema si ispira alla vita, mentre questa si ispira alla tv”. Ed è quello che accade al malcapitato di turno. Anche se, va detto, nel remake di Spike Lee sia la prigionia sia il tema della televisione sono maggiormente accentuati della versione originale. Perché nella società americana il tutto è più evidente.
L’uomo sembra innocuo, viene drogato, ipnotizzato più volte e viene trasformato in una bestia senza controllo. Le giornate volano via insieme a ravioli al vapore di scarso sapore (fa anche rima). Intanto passano gli anni. Capelli, unghie, peli, barba e l’odio crescono. La fisicità dell’interpretazione di Choi Min Sik è entrata a pieno titolo nella storia del cinema (basta pensare alla scena del martello da cui ha tratto sicuramente ispirazione Nicolas Winding Refn in Drive e Solo Dio Perdona). Le uniche vie di fuga sono due: il suicidio o iniziare a studiare, a capire il nesso della situazione sulla scia del Conte di Montecristo.
La solitudine di quest’uomo lo fa cambiare e lo fa diventare un meticoloso pazzo furioso, determinato, implacabile, assetato di verità, disciplinato, atleticamente pronto alla vendetta.
La prigionia nel motel dura 15 lunghissimi anni. A sorpresa un giorno, improvvisamente, viene liberato. Lo spettatore, come Oh Dae Soo, ha perso la cognizione del tempo. La domanda sorge legittima: perché mi hanno liberato? Giuseppe Conte non ha firmato nessun decreto per far uscire le persone di casa. Qui inizia un altro film, ancora più bello, avvincente.
Chan Wook Park disegna un profilo altamente visionario, un mondo psicologicamente disturbato, nerissimo.
Non è all’altezza di questo cambiamento. Il regista mostra al pubblico lo smarrimento interiore del protagonista. Ci rende partecipi. Ci fa sentire, respirare e ci fa parteggiare nella sua voglia di rivolta. La musica e gli effetti sonori scandiscono le varie fasi del film e sono un personaggio della storia. Quando esce dalla prigione, la Corea ha cambiato volto: è fatiscente, industrializzata e lui non sa che pesci prendere. Ecco che la cella è più grande, ma c’è sempre. Il suo rapitore lo tiene ancora per i testicoli.
Lo stile registico e il montaggio sono asserviti alla storia alimentando la claustrofobia e l’angoscia: la camera è quasi asfissiante, i colori tetri. Per fortuna però conosce l’amore. Il detonatore della vicenda. Appena uscito, conosce la giovane commessa di un ristorante sushi, Mi do (Gang Hye Jung), che si interessa alla causa di Oh Dae Soo. La scena del ristorante dove il protagonista si ingoia il polpo vivo è emblematica dello spaesamento dell’uomo. Mangiare per ritrovare il gusto, per sentirsi meglio va bene, ma buttar giù il tutto in un sol boccone è un po’ troppo. La dolce ragazza è l’unica che crede in lui e che cerca di aiutarlo, sostenerlo nella sua lotta. Purtroppo però anche lei ha un segreto che l’enigmatico e spietato rapitore conosce molto bene. Perché dopo tutto gli esseri umani hanno sacrificato anche l’amore a una logica di violenza e di follia consumistica.
Ma state attenti, non illudetevi: non è un film d’amore. È un’opera cruda che sfocia in una violenza che non lesina deroghe.
Ed ecco mani amputate, lingue tagliate, polipi ingoiati vivi, denti estratti in stile Laurence Olivier del “Maratoneta”. Altro che piatto servito freddo, la vendetta è un piatto maleodorante e andato a male che ti torna a gola. Come se il tuo miglior amico o la persona che ami ti baciasse prima di menarti per ore. Tuttavia Old Boy non è un semplice film. È un capolavoro perché non trascura l’etica. La frase mantra “Sorridi e il mondo sorriderà con te. Piangi e piangerai da solo” rappresenta la condizione in cui versa l’essere umano. Ed è ciò che lega Oh Dae Su, il suo rapitore e Mi Do con tutti noi. Ma lo spettatore, come il protagonista, è ancora ignaro di cosa l’attende: una raccapricciante vendetta personale, un’umiliazione inflitta che non augureremmo nemmeno al nostro peggior nemico. “Sebbene sia peggio di una bestia, non ho anche io il diritto di vivere?” si chiede Dae-soo. Ma la risposta del rapitore non si fa attendere: “vendicarsi fa bene alla salute. Ma… che succede una volta che ti se vendicato? Scommetto che il dolore tornerà a cercarti”. Le uniche vie di uscita sono il candore di quella neve nel finale o semplicemente un sorriso forzato nei momenti di massimo dolore. I veri motivi che lo fanno “stare bene con gli altri”. Come dice il rapitore “ricorda, sia un granello di sabbia che una roccia, nell’acqua affondano allo stesso modo”.
OLD BOY *****
(Corea del Sud 2003)
Genere: Drammatico / Thriller / Noir
Regia e Sceneggiatura: Park Chan Wook
Fotografia: Chung Hoon CHUNGung
Cast: Choi Min-sik, Ji-tae Yu, Hye-jeong Kang, Dae-han Ji, Oh Dal-soo
Durata: 2h
Trailer Italiano qui
Budget: 3 milioni di dollari
La frase: Ridi, e il mondo riderà con te. Piangi, e piangerai da solo.
Regia ***** Interpretazioni ***** Musica **** Effetti sonori ***** Fotografia ***** Sceneggiatura *****
Immagine da www.italiasera.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.