La pandemia in corso sta avendo pesanti ricadute dal punto di vista sanitario, ma sta anche accompagnando pericolose dinamiche socio-politiche.
Le risposte alla crisi dei diversi paesi descrivono le relazioni sociali interne e le relazioni politiche verso l’esterno che gli stati stanno portando a realizzazione e misurano il rapporto di peso tra capitale e vita delle persone nelle scelte dei decisori.
Su tre cerchi concentrici, questa crisi interroga sulle dinamiche in corso ed in uscita dalla crisi dal punto di vista sociale e politico nel nostro paese, in europa e nel mondo.
Leonardo Croatto
Piergiorgio Desantis
La diffusione del Covid-19, a livello planetario, sta determinando una situazione nuova e ignota sia per quanto riguarda la durata e il contagio del virus che per le conseguenze determinate dallo stesso. I precedenti paradigmi economici dominanti (austerity, pareggio di bilancio, fiscal compact) appaiono come vecchi arnesi che hanno perso ormai senso perfino per chi li proponeva (ammesso che ne abbiano mai avuto uno). Stiamo vivendo un momento terribile da ogni punto di vista: sanitario, economico, culturale e sociale. Le istituzioni politiche hanno svolto un ruolo importante ma, forse, non sufficientemente incisivo. Si continuano a tenere aperte aziende non essenziali per non interrompere le attività; sono tanti i casi in cui i lavoratori e le lavoratrici, spontaneamente, hanno deciso di interrompere i turni e scioperare. È necessario maggiore coraggio per impedire l’ulteriore diffusione del contagio attraverso misure di rarefazione sociale a partire, ad esempio, dalle chiusure domenicali per tutti i negozi, con la necessaria e urgente riduzione del numero delle ore dell’orario di apertura. A ciò si aggiungano copiosi investimenti in ambito sanitario e ospedaliero anche perché tali pandemie si potrebbero ripresentare nel futuro e quindi è davvero necessario cambiare il paradigma.
Dmitrij Palagi
L’inedito scenario è difficile da immaginare perché prevale ancora in modo significativo l’intento di “ritornare a prima”. Come se la ricostruzione europea del secondo dopoguerra avesse ripristinato la situazione di fine ‘800. Ovviamente sarebbe sbagliato illudersi di immaginarsi un futuro più consapevole di cosa sia l’essere umano e della centralità delle sue necessità, non più subalterne al profitto di pochi e alla logica del capitale. Ora però è più facile spiegare quale è il ruolo della società, quanto il mercato debba essere strumento al servizio della vita comune e cosa ci stia a fare la politica. La guerra non minaccia la nostra libertà, ma la nostra sopravvivenza. Perché per potersi godere la libertà bisogna vivere e sopravvivere. La paura della classe lavoratrice rispetto alle proprie condizioni di salute può sviluppare coscienza e consapevolezza. Lo dimostrano anche le persone impegnate a tenere aperti i negozi alimentari. Tante sono le professioni che scopriamo indispensabili, quasi sempre collegate a condizioni palesemente ingiuste e insostenibili (in appalto, senza tutele, sottopagate). La politica dei tagli e dell’austerità facilmente verrà incolpata. Salvo dimenticarsi il consenso trasversale di cui ha goduto, in particolare a livello europeo, dove socialisti e popolari hanno condiviso troppo. La sinistra arriva forse troppo debole a questo periodo storico, ma quelle energie sopravvissute devono svolgere un ruolo (evitando il Bertinotti di Guzzanti che chiedeva se qualcuno l’avesse cercata). La stessa Unione Europea torna ad assumere il ruolo ricoperto durante la vergognosa pagina greca, quando scelse di affogare la possibile parabola di Tsipras. Stavolta però difficile spiegare perché la finanza sarebbe tanto importante. C’è evidente imbarazzo, specialmente se la situazione peggiorerà negli altri paesi. Si ipotizzano serie difficoltà in quelle realtà a temperature fredde. L’auspicio sarebbe di vedere i parlamenti travolti da un moto di solidarietà tra popolazioni consapevoli di cosa sia la nostra vita e quale sia il senso di vivere in società… La strada è sicuramente molto lunga e servono molte energie, nuove energie. Sapendo magari collegare la precedente battaglia collegata ai cambiamenti climatici a quella a tutela dei sistemi sanitari gratuiti e universali.
Jacopo Vannucchi
Molti di noi hanno rabbrividito nell’udire il Primo Ministro britannico invitare i sudditi di Sua Maestà ad aspettare la perdita dei propri cari. Parole che discendono dall’idea-scommessa di contagiare il 60-80% della popolazione per raggiungere la cosiddetta «immunità di gregge». Una simile concezione appartiene al lascito più riprovevole del thatcherismo – il disprezzo per la vita del prossimo – e discende da un darwinismo sociale che a un osservatore neutro sembrerebbe più distopico che reale. Ma non solo: esprime in realtà una concezione dei rapporti umani e familiari ben radicata nel Nord Europa.
La politica di Johnson, infatti, è approvata anche dal Partito Laburista, che, come forza di opposizione, ha semplicemente chiesto che si provveda a tutelare economicamente quei tanti lavoratori i cui contratti non prevedono l’indennità di malattia.
La politica di Johnson risponde molto bene all’autoritratto dei britannici dello «upper stiff lip» (“il labbro superiore rigido” di chi non si commuove) e alla capacità di impassibile autosacrificio celebrata in molte pagine della loro storia patria, dalla «sottile linea rossa» annientata alla battaglia di Balaclava nel 1854 allo sfacelo di Gallipoli nel 1915 allo “spirito di Dunkirk” e al «sangue, fatica, lacrime e sudore» di Churchill nel 1940.
Inoltre, essa è di fatto la medesima politica seguita anche, con minor fanfara di annunci, dal governo rosso-verde svedese di Stefan Löfven.
È noto che in Europa del Nord, e massime nei Paesi scandinavi, i legami familiari sono molto deboli. Non solo l’età di uscita dal nucleo familiare dei genitori è la più bassa in Europa, ma pure è diffuso il costume di immettere i parenti anziani in strutture di cura non appena cessano di essere totalmente autosufficienti. Come non ricordare, poi, che la Svezia ha imposto la sterilizzazione ai disabili fino al 1976 e addirittura fino al 2012 per chi si sottoponeva al cambio di sesso?
Questa diversità culturale con l’Europa del Sud rende incompatibile, come dicono alcuni, la prospettiva comunitaria della UE? Al contrario! Anzitutto, tra i Paesi più refrattari a gestire l’emergenza annoveriamo la Spagna, che culturalmente apparterrebbe al Sud, mentre la Lombardia, che a torto o a ragione viene definita più prossima alla Baviera che alla Calabria, mostra una determinazione forte a garantire cure mediche a chiunque, sottoponendo il personale sanitario a turni durissimi.
E semmai è vero l’opposto: proprio le sofferenze dei sistemi sanitari statali e dei popoli europei mostrano che non può esservi altra via che l’integrazione politica europea e l’adozione di una strategia continentale. Uno dei problemi che avranno gli Stati Uniti non è soltanto l’assenza di una sanità pubblica, ma anche l’assenza di un reale coordinamento federale in un paese in cui anche gli scampoli di sanità pubblica (Medicare e Medicaid) sono gestiti dagli stati. E le diversità regionali negli Stati Uniti sono abnormemente maggiori rispetto a quelle del continente europeo.
Basta l’integrazione politica? No! No, se non si cambia il modello sviluppo. Per me hanno sempre valso le parole del Presidente Chávez «un altro mondo è possibile, se è socialista», che considero validissimo discrimine sia verso destra sia verso sinistra. Il Vietnam, Cuba, e persino l’epicentro cinese hanno mostrato una forza di contenimento che fa impallidire stati più ricchi e più forti (e non c’è da stupirsene, visto che Vietnam e Cuba hanno vinto anche sul campo di battaglia contro una potenza come gli Usa!). Il cambiamento di abitudini di vita sta facendo riscoprire che c’è vita anche fuori dai ritmi forsennati della giungla capitalistica e dalla sua «insensata lotta per la sopravvivenza» (dal film “Goodbye, Lenin!”) e, tramite la migliore qualità dell’aria e delle acque, l’importanza e la bellezza del pianeta Terra.
Parlando di darwinismo sociale ho ripreso in mano il tomo di Lukács «La distruzione della Ragione» in cui quella scuola è annoverata tra i precursori intellettuali che hanno concimato il terreno del nazismo. Mi sembra utile citare un passo: «tutto ciò che il capitalismo porta di terribile viene giustificato come “naturale” […] una siffatta sociologia fondata sulle “leggi di natura” conduce gli uomini alla rassegnazione di fronte al destino rappresentato dal capitalismo». Queste parole descrivono benissimo la linea-Johnson, che è quella che nell’ultimo Dieci mani definii l’analogo odierno del macello di popoli della Prima guerra mondiale.
Possiamo vedere il Covid-19 come una hegeliana astuzia della Ragione che ci ferma a un passo dal baratro, oppure possiamo coprirci gli occhi e fare quel passo.
Alessandro Zabban
Difficile pronosticare come cambierà il mondo quando la pandemia di Covid-19 finirà, anche perché è tutt’altro che chiaro quale paese ci rimetterà di più da questa situazione gravissima, in termini sociali, economici e politici. Per adesso possiamo limitarci a immaginare alcuni scenari possibili e a constatare come la maestosa architettura del modello neoliberista e mondialista, da molti punti di vista inscalfibile perché onnipresente e sfuggente, si scopra nuda e impreparata ad affrontare un’emergenza di questo tipo, potenzialmente ancora più onnipresente e sfuggente di lei. Si tratta di una sconfitta simbolica che mette a nudo tutte le contraddizioni e debolezze di questo paradigma organizzativo. Ma questo non significa che si profila all’orizzonte l’ascesa di un sistema alternativo. Più facile ipotizzare piuttosto delle sue deviazioni, che potrebbero essere di varia natura e grado. Uno scenario possibile è quello di una maggiore accettazione degli strumenti di controllo sociale, normalizzando certe procedure che dovrebbero avere un carattere di eccezione, in un contesto di crescita delle idee sovraniste, già piuttosto forti in tutta Europa, fino all’ottenimento di una loro egemonia politica generalizzata. Un modello retoricamente incentrato sui confini e sull’uomo forte ma che non cambierebbe di molto la forma e la sostanza del sistema mondiale attuale. Un altro scenario è il rafforzarsi invece di idee di natura socialista, tipiche della socialdemocrazia degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, incentrate su ritorno dello stato almeno nella gestione di aspetti fondamentali del vivere civile (istruzione e sanità) e magari anche nei settori economici strategici. Le idee di politici come Sanders o Corbyn, popolari ma non maggioritarie, potrebbero riprendere forza dopo questa crisi epocale. Non sarà la rivoluzione, ma se si imponesse il secondo scenario sul primo, ne risentirebbe positivamente tutta la collettività, la nostra qualità della vita e quella delle future generazioni.
Immagine da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.