È sempre stata Biden contro Sanders?
Riguardo le primarie democratiche l’andamento dei sondaggi da dicembre 2018 – ossia da quando, dopo le elezioni congressuali di metà mandato, è iniziata la lunga campagna presidenziale – ha registrato due costanti: Biden tra il 25 e il 30%, Sanders tra il 20 e il 25%.[1] Non sono mancate variazioni anche pesanti, ma esse si sono rivelate temporanee: il balzo della senatrice Harris dopo il virulento attacco a Biden al dibattito di giugno fu completamente riassorbito entro la metà di agosto; a ottobre la senatrice Warren aveva persino scavalcato l’ex vicepresidente di due decimi di punto, salvo sgonfiarsi entro fine novembre; persino Buttigieg, che pure aveva avuto un balzo anche reale, vincendo la corsa ai delegati in Iowa e New Hampshire, si è poi dovuto ritirare per mancanza di un consenso esteso.
In realtà, la quasi unanime familiarità degli elettori democratici con i nomi di Biden e Sanders[2] indicava fin dall’inizio che la contesa avrebbe potuto ridursi a loro due[3], sebbene fra i democratici non fossero mancati candidati a sorpresa come McGovern, Carter o Clinton.[4]
Né i dibattiti né le campagne telegeniche, infatti, hanno fatto molto per smuovere gli elettori: ne sanno qualcosa Cory Booker[5] e Julián Castro[6], oratori molto dotati e forti di ottime performance televisive, e Beto O’Rourke, che avendo fallito di misura lo spodestamento del senatore texano Ted Cruz sembrò aver centrato a novembre il suo obiettivo più ambito: costruirsi un’immagine di trascinatore e possibile vincente in aree repubblicane senza legarsi a un lungo mandato di sei anni.
Biden-Bloomberg e Sanders-Warren: un partito, due basi
Avvicinandoci al Super Martedì (ne abbiamo parlato sul Dieci Mani![7]), gli elettorati di riferimento dei candidati rimasti in gara – Biden, Sanders, Bloomberg, Warren, oltre all’isolatissima anti-imperialista Tulsi Gabbard – erano facilmente individuabili come appartenenti a due campi distinti.
Biden e Bloomberg condividevano un elettorato fatto di persone a basso reddito e scarsa istruzione e di afroamericani.[8] In effetti Bloomberg non aveva fatto altro che staccare qualche pezzo dalla base di Biden, cosa evidente nel fatto che la sua performance nei singoli collegi ricalcava, in minore misura, le dinamiche dell’ex vicepresidente.[9] Può sembrare strano che a sostenere il miliardario fossero elettori meno agiati, o addirittura i neri che tanto subirono le conseguenze delle sue politiche di polizia a New York City, ma è molto meno strano se si tengono a mente due fattori – che risulteranno importanti anche più avanti.
In primo luogo, negli Stati Uniti di oggi le tendenze politiche di sinistra sono collegate con un maggior livello di istruzione.[10] Non dimentichiamo, infatti, che ai bianchi meno istruiti appartengono gli elettori che hanno disertato i democratici nel 2016 per sostenere Trump. In secondo luogo, gli afroamericani sono sì un blocco che vota al 90% democratico, ma proprio per questo, proprio perché votano in blocco e non dividendosi per idee politiche, rispetto ai democratici bianchi tendono a essere più moderati e anche più religiosi.[11]
Sanders e la Warren, invece, avevano entrambi una base di persone istruite, benestanti e, soprattutto, bianche.[12] A giudicare dagli exit poll, in particolare, la Warren aveva uno zoccolo duro tra le donne bianche laureate mentre Sanders era in grado di costruire una coalizione più ampia, rivolgendosi anche a elettori ispanici (che nel 2016 invece avevano sostenuto in maggioranza la Clinton – da verificare il ruolo della Ocasio-Cortez in questo proselitismo), indipendenti e, soprattutto, primeggiando tra gli elettori sotto i 45 anni (con consensi sempre maggiori al diminuire dell’età).
Perché i due candidati che hanno fatto della tassazione della ricchezza e della redistribuzione del reddito i pilastri stessi della loro campagna raccolgono più consensi nella parte privilegiata della società (bianchi istruiti e benestanti)? In parte per il motivo opposto a quello dianzi esposto: se il livello di istruzione è correlato all’abbandono dei modelli culturali tradizionali della società americana, traducendosi in una maggiore propensione a sinistra e una maggiore irreligiosità, il comportamento elettorale ne discende di conseguenza. In parte ci sono anche meccanismi di identificazione culturale e di genere (tra gli uomini è sovrarappresentato Sanders e tra le donne la Warren). Ma il punto fondamentale risulta, soprattutto per Sanders, un altro. Nel caso dei giovani che dipendano ancora dal reddito della famiglia di origine, un reddito familiare attualmente elevato può mascherare un futuro fatto di prospettive più fosche, con impieghi meno sicuri e meno retribuiti. Il caso limite lo si trova forse a San Francisco, dove hanno sede colossi aziendali come Apple, Hewlett Packard, Google, Oracle…, e dove la diseguaglianza è alle stelle.[13]
La coalizione di Biden
La prima indicazione che il Super Martedì fosse andato molto bene per Biden è giunta ancor prima che si chiudessero le prime urne (alle 19 Eastern Time), quando la campagna di Bloomberg è stata costretta ad ammettere che i dati in arrivo dalla Virginia erano il segno più chiaro dell’ascesa dell’ex vice.[14] La Virginia era un terreno di confronto interessante, sia per l’ampio numero di delegati sia per la divisione dello stato in due aree che rispecchiano i diversi insediamenti elettorali delle candidature: Biden più forte nel sud-est e a Richmond, dove maggiore è la popolazione di colore; Sanders invece nelle ricche zone suburbane dell’area metropolitana di Washington.[15] Infine, nella campagna elettorale statale del 2018 Bloomberg aveva inondato di denaro il partito locale per raggiungere l’obiettivo – poi effettivamente centrato – di realizzare il cosiddetto trifecta: governatorato, maggioranza alla Camera, maggioranza al Senato; una combinazione che per i democratici in Virginia mancava dal 1994.[16]
Il ritiro di Buttigieg e Klobuchar e il rapido coalizzarsi attorno a Biden della dirigenza del partito ha sbilanciato a favore di questi il pareggio iniziale, ma anche così il recupero è stato impressionante: dato vincitore per 40% a 21% dalla media sondaggi[17] e per 43% a 23% da una simulazione statistica[18], Biden ha ottenuto il 49% in un primo exit poll[19] e il 53% nel voto reale.[20]
Questa dinamica è stata evidente anche in altri stati, portando a clamorose sorprese quali la vittoria in Texas e più ancora in Massachusetts e Minnesota, due stati in cui il predominio del senatore “socialista democratico” sembrava ormai solido – nel Minnesota nel 2016 Sanders aveva battuto la Clinton 62% a 38%.
Quali elettori hanno sostenuto, con il proprio voto, questo recupero di Biden? I migliori risultati gli provengono da afroamericani, elettori sopra i 45 anni e sobborghi bianchi.[21] È evidente la presenza di una nuova componente: quella degli elettori suburbani bianchi, che nelle poche precedenti primarie si erano rivolti a Buttigieg e Klobuchar mentre Biden, tra i bianchi, era presente soprattutto nella classe operaia. La sorpresa del Massachusetts è stata in effetti costruita su un’affermazione nei sobborghi di Boston[22], laddove in precedenza egli era dato per potenzialmente competitivo solo nel centro urbano (grazie alla popolazione di colore) e nell’ovest rurale (grazie ai bianchi meno abbienti e meno istruiti). Inoltre c’è stata, dopo l’appoggio del potente Jim Clyburn, una massimizzazione del consenso tra gli afroamericani che ha ridimensionato la candidatura Bloomberg.
E tuttavia neppure questi movimenti, tutti interni al campo dei democratici, spiegano le dimensioni di un fenomeno così imprevisto e che ha superato persino le previsioni più estremamente ottimistiche[23] (per Biden).
L’impressione, in realtà, è che il movimento a favore di Biden non sia stato colto dagli ultimi sondaggi non tanto per mancanza di tempo quanto perché a votare per lui si è manifestato un gruppo di persone che in precedenza non era sicuro, o non aveva intenzione, di farlo: elettori bianchi suburbani e repubblicani. L’esempio massimo è stato l’ex Direttore generale dell’FBI James Comey[24], che ha votato in Virginia, ma nello stesso giorno ha dichiarato il proprio appoggio anche l’ex senatore Chuck Hagel[25], rara colomba repubblicana in politica estera che fu già chiacchierato come vice di Obama nel 2008 ed è poi stato collega di gabinetto di Biden come Segretario alla Difesa nel 2013-15. Si tratta di elettori repubblicani che non intendono assolutamente votare per Trump a novembre, ma neppure vogliono votare un esponente della sinistra radicale come Sanders. Per scongiurare questo percepito doppio pericolo hanno dunque risposto all’appello unitario – la capacità di Biden di dialogare con i repubblicani è cosa nota: nel 2004 suggerì McCain come vice di Kerry, ancora nel 2018 ha appoggiato per la rielezione (sia pure non ufficialmente) un decano moderato dei deputati repubblicani come Fred Upton.[26]
La coalizione di Sanders
Quattro anni fa resi proprio su Il Becco un commento forse all’epoca troppo tranchant ma che trovo tuttora confermato dallo svolgersi dei fatti:
«Per quanto riguarda la candidatura di Sanders, il suo consenso come socialista non va oltre il 10% (la quota assegnatagli dai sondaggi prima che iniziasse la stagione delle primarie). Il restante 35% si compone di due fattori: 1) coloro che pensano che il socialismo consista nella pacchia; 2) i nemici di Hillary Clinton. Il primo fenomeno […] è una ribellione non contro l’ineguaglianza economica bensì contro il non poter fare, in questa ineguaglianza, la parte del leone. Nel movimento-radice di questo fenomeno – gli indignados – Ingrao colse giustamente un movente individualista, esposto in modo preoccupante al “vento anonimo del mercato”. […] Per ciò che riguarda l’opposizione a Hillary Clinton, […] Sanders si trova ad essere sostenuto, suo malgrado, dai settori di destra che sotto Obama si sono sentiti emarginati: gli old democrats delle campagne, i conservatori, gli antiabortisti e gli amanti delle armi. Più che eloquenti, in questo senso, le sue nette vittorie nelle campagne dell’Oklahoma e del Michigan […] È divenuto insomma l’alfiere di una reazione maschilista (netta la spaccatura di genere tra i suoi elettori e i clintoniani)».[27]
Riguardo il primo aspetto sopra evidenziato, è confermato a mio parere dal tipo di sostegno che Sanders riceve tra i giovani. Toccando le sue punte massime tra i giovani bianchi laureati, Sanders – come già Corbyn in Gran Bretagna! – viene sostenuto da un gruppo di elettori che costituisce la fascia più debole (i giovani) dei settori privilegiati (i bianchi istruiti). Perché? Perché, come già evidenziato, questi elettori si sentono minacciati di non poter più, nel futuro, contare sull’agiato tenore di vita ereditato dai genitori: un tenore di vita in cui sono nati e al quale ritengono di avere diritto. Inutile dire che una tale concezione non è assimilabile, neanche lontanamente, al socialismo.
Riguardo il secondo aspetto, qui in effetti un mutamento c’è stato: ma in negativo. Sanders ha perso la capacità di rappresentare gli elettori conservatori – anche perché, forse, è una rappresentanza che egli non aveva cercato, che gli si era attaccata addosso per disperazione e che i suoi chiarimenti teorici e programmatici sul socialismo democratico[28] gli hanno definitivamente alienato.
Ad esempio, nel 2016 in New Hampshire Sanders ottenne il 60%[29] tra gli elettori moderati (ossia di centro) o conservatori (di destra), ma nel 2020 questa cifra è crollata al 16%[30] – e questo nonostante la percentuale di tali elettori sul totale dei democratici sia aumentata, dal 32% del 2016 al 39% del 2020!
Cosa significa questo?
Come già evidenziato in passato[31], c’è stato un mutuo ricambio degli elettorati dei due partiti. I democratici hanno ceduto elettori di destra dei ceti inferiori mentre hanno guadagnato dai repubblicani elettori di destra dei ceti medio-alti. E i conservatori delle classi deboli, che hanno di fatto eletto Trump, non sembrano avere alcuna intenzione di tornare a casa, neppure per dare una mano a Sanders.
Certamente Sanders ha costruito consensi aggiuntivi rispetto al 2016: tra gli ispanici, che lo hanno aiutato a restare a galla in Texas e a (probabilmente) vincere in California.[32] E tuttavia ha perso in due segmenti chiave: anzitutto gli indipendenti che, come nel 2016, votano prevalentemente contro il candidato percepito come “ufficiale” (Clinton, Biden) ma che quest’anno invece di unificarsi per forza su di lui si sono sparpagliati fra gli altri candidati. E poi tra i giovani. Nonostante il passaggio di quattro anni dovesse in teoria avvantaggiare Sanders quale candidato delle fasce giovanili, queste si recano al voto in percentuale sempre inferiore – a dispetto della descrizione della generazione dei nati nel 2000 come una generazione di rinnovato impegno sociale.
La combinazione del fatto che l’affluenza giovanile diminuisce, la destra pro-Sanders del 2016 resta ancora pro-Trump, mentre entrano ex-repubblicani moderati porta al fatto che, quando l’affluenza generale aumenta, Sanders arretra: nel suo Vermont ottenne l’86% nel 2016; oggi, con affluenza maggiore, è al 50,7%.[33]
Il fatto stesso che il suo tetto di consensi non sia più il 45% del 2016, ma l’attuale 30%, significa che un pezzo di quell’elettorato, assolutamente non socialista, se ne è andato. Se togliessimo anche i giovani borghesi, resteremmo probabilmente appunto al 10% iniziale.
Una frase pronunciata a novembre dalla deputata Ocasio-Cortez e che ebbe eco anche in Italia recitava: «Non sono qui per guardare un sondaggio. Sono qui per cambiarli, i sondaggi». Tanto di cappello per l’ottimismo, in un Paese in cui il 72% degli elettori (e tra questi il 50% dei democratici) si dichiara di centro o di destra[34], ma se è vero ciò che scrivono Marx ed Engels – «La storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classe» – e se è vero che in cinquemila anni di società umane strutturate non è stato ancora possibile convincere il popolo a scrollarsi di dosso lo sfruttamento, i tempi per farlo risultano secolari o millenari: un po’ più lunghi di quelli, settimanali o mensili, in cui si può cambiare un sondaggio.
La rinuncia di Elizabeth Warren
Il ritiro della senatrice Warren, annunciato giovedì 5 marzo, è stato determinato dall’impossiblità di competere non tanto per il primo posto, ma addirittura per un dignitoso terzo. Fino all’ultimo la Warren ha infatti coltivato l’idea di proporsi, in una convention senza maggioranza in cui né Biden né Sanders avessero un chiaro vantaggio relativo, come candidata unitaria di mediazione. Questa ipotesi è sfumata dopo che l’elettorato ha mostrato di polarizzarsi sui due candidati (da notare: maschi, anziani e bianchi) con un consenso di massa. Particolarmente cocente la sconfitta in Massachusetts, il suo stesso stato, in cui è arrivata prima solo nella contea di Cambridge (e limitrofe), sede di istituzioni accademiche quali Harvard (dove la senatrice insegna) e il Massachusetts Institute of Technology.
Proprio come la senatrice Harris aveva cercato senza successo di presentarsi quale Obama del 2020 – la costruttrice di coalizioni, né troppo moderata né troppo radicale, né troppo libertaria né troppo conservatrice – così anche la Warren si è dovuta scontrare con un elettorato democratico che rispetto al 2008 appare sia più polarizzato sia più preoccupato (dopo il 2016!) di evitare candidature rischiose.
Definita “Ms. Democrat”, il destino della Warren è stato paragonato a quello di “Mr. Republican”, il senatore Taft, repubblicano isolazionista che dopo il 1945 rappresentava la pancia del partito ma che fu scartato in favore del più popolare Eisenhower: «Amo le tue idee e il tuo impegno, ma dubito che tu sia eleggibile».[35]
La Warren non ha ancora scelto se e chi appoggiare e non è detto che lo faccia prima della convention. La sua stessa natura di candidatura mediana tra l’establishment del partito e la base radicale rende difficile ipotizzare le prossime scelte. Nel 2016 Sanders le chiese invano di candidarsi contro la Clinton, mentre Biden pensò a lei come vicepresidente in caso di candidatura.[36] Oggi se si schierasse con il collega del Vermont potrebbe unire il voto dell’ala sinistra, ma appoggiando Biden potrebbe aiutare a spianarne la strada per la vittoria richiedendogli poi contropartite sul programma elettorale.
Al di là di lei personalmente, come si schiereranno i suoi elettori? La sua base più fedele, ossia le donne bianche laureate, si troverà probabilmente a disagio a dover scegliere tra due uomini che fanno appello entrambi alla classe operaia. Per il suo elettorato generale, Sanders risultava primo tra le seconde scelte (31% a inizio dicembre 2019), ma al tempo stesso era forte Buttigieg (22%) che, come lei, si basava sui bianchi benestanti.[37]
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Ne ho parlato qui: https://www.ilbecco.it/bernie-sanders-in-testa/ ↑
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https://www.politico.com/story/2016/05/joe-biden-elizabeth-warren-223104 ↑
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https://fivethirtyeight.com/features/voters-second-choice-candidates-show-a-race-that-is-still-fluid/ ↑
Modificato dall’autore il 6 marzo 2020 per includere il paragrafo sulla rinuncia di Elizabeth Warren.
Immagine di Gage Skidmore (dettaglio) da Wikimedia Commons
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.