Bernie Sanders in testa
La vittoria di Sanders nei caucus del Nevada non costituisce soltanto, per il senatore del Vermont, il terzo successo su tre stati che hanno ad oggi votato. Questa vittoria è più importante delle altre perché avviene in uno stato che, a differenza di Iowa e New Hampshire, non ha una popolazione pressoché totalmente bianca. Si tratta anzi di uno stato in cui l’elettorato democratico comprende rilevanti minoranze di afroamericani, ispanici e asioamericani e dunque più rappresentativo dell’elettorato democratico a livello nazionale.1 Si ricorderà che nel 2016 uno dei grossi ostacoli di Sanders fu la quasi assenza di consenso tra gli afroamericani, che votarono in blocco per Hillary Clinton vista come l’erede di Obama – sebbene questo già allora non fosse vero tra gli afroamericani più giovani.2
Dopo quattro anni Sanders si rafforza anche tra le minoranze, a causa sicuramente di un suo investimento in termini di mobilitazione politica, ma aiutato anche da tre fenomeni: le politiche economiche classiste dell’amministrazione Trump, che immiserendo quote maggiori di popolazione fanno più risuonare il suo messaggio di giustizia sociale; il trascorrere del tempo e il relativo inesorabile ricambio nelle fasce anagrafiche dell’elettorato; la divisione dei maggiorenti afroamericani tra le candidature di Joe-Biden-vice-di-Obama e Michael Bloomberg – quest’ultimo come sindaco repubblicano di New York fu sì responsabile di brutali politiche di racial profiling poliziesco, ma è da sempre un fortissimo sostenitore della limitazione delle armi. Questo fattore, unito naturalmente ai fiumi di denaro fatti piovere su alcune comunità urbane, gli ha portato l’appoggio di esponenti-simbolo della comunità, come Lucy McBath e Bobby Rush. La McBath, deputata al primo mandato, eletta in un collegio di Atlanta borghese e storicamente repubblicano, ha perso un figlio nel 2012: fu ucciso a revolverate, a 17 anni, da un bianco nel corso di una lite a un distributore di benzina. Rush, deputato per un collegio molto diverso (il ghetto nero di Chicago), è un ex militante delle Pantere Nere (scontò anche qualche mese di carcere) ed è l’unica persona che può vantarsi di aver sconfitto Obama (alle primarie democratiche per la candidatura alla Camera nel 2000).
Uno dei problemi rilevati per Sanders fin dall’inizio di questa sua seconda campagna è il suo consenso nazionale, che sembra essere molto radicato ma difficilmente espandibile: in altri termini, Sanders avrebbe un tetto massimo di consensi oltre il quale gli sarebbe difficile andare. Questo fattore fu commentato anche quattro anni fa per un altro candidato, Donald Trump, il quale poi vinse le primarie del suo partito – pur avendo ottenuto in totale il 45% del voto popolare, cioè non la maggioranza. Anche Sanders potrebbe replicare questo percorso: vincere pur senza una maggioranza di voti.3
Negli ultimi sondaggi, tuttavia, egli sembra aver iniziato un’ascesa che lo ha già proiettato al di sopra del suo precedente “tetto” del 20-25%4. A questo punto, e specialmente alla vigilia delle primarie in South Carolina dove tre quinti dei democratici sono afroamericani, sembra utile chiedersi: chi è, sotto il profilo politico, l’autodichiarato “socialista democratico” Bernard Sanders?
Prima di passare ad analizzare il suo profilo politico sono però utili due brevi introduzioni, una sullo stato che egli rappresenta al Senato e l’altra sulla sinistra politica Usa.
Breve storia del Vermont
Il Vermont, piccolo stato boscoso al confine col Canada, può essere facilmente definito quello storicamente più progressista di tutta l’Unione. Le tradizioni di autogoverno sono fortissime: è l’unico stato ad essersi reso indipendente (1777) separatamente dalle colonie inglesi e prima della nascita degli Stati Uniti. La Costituzione del 1777 abolì la schiavitù (primo stato a farlo) e richiese un giuramento non solo agli eletti, ma anche agli elettori – provvisione tuttora in vigore. Fin da allora lo stato si è collocato spesso agli estremi dello scenario nazionale, sulla base di una considerazione rigidissima delle virtù repubblicane e della democrazia locale: nelle presidenziali del 1832 fu l’unico a votare per il Partito Anti-Massonico, una formazione della destra protestante che intendeva contrastare le ingerenze indebite sulle istituzioni; nel 1848 l’ex Presidente democratico Van Buren, candidato nazionale per l’antischiavista Partito del Suolo Libero, vi ottenne il suo miglior risultato con il 29%. Dopo la fondazione del Partito Repubblicano nel 1854 il Vermont ne è stato per molte generazioni una piccola ma inespugnabile roccaforte, pur iniziandosi a manifestare una considerevole spaccatura, in questo dominio del “Grand Old Party”, tra la destra economica e la sinistra liberale. Ad esempio nel 1912 il Vermont fu uno dei soli due stati a confermare, di poco, fiducia al Presidente repubblicano uscente Taft, ma fu al contempo il peggiore per lo sfidante democratico Wilson: un 35% fu ricevuto infatti dal Partito Progressista dell’ex Presidente Theodore Roosevelt, che aveva portato con sé l’ala sinistra dei repubblicani. Ancora nella vittoria a valanga di Franklin D. Roosevelt nel 1936, in pieno New Deal, fu assieme al vicino Maine l’unico stato a votare repubblicano. Candidati repubblicani hanno prevalso alle presidenziali dal 1856 al 1988 compresi, con l’unica eccezione del 1964 in cui Johnson vi sconfisse il repubblicano estremista Goldwater, che peraltro all’epoca passava soprattutto per il candidato segregazionista del Profondo Sud e quindi irritava le locali tradizioni abolizioniste e antischiaviste. Dal 1992, invece, il Vermont è sempre stato saldamente democratico.
Anche la rappresentanza parlamentare ha seguito una storia simile: mai un senatore democratico, ma solo liberali o repubblicani, dal 1824 fino al 1974, quando sull’onda dello Watergate fu eletto l’inossidabile Leahy, tuttora decano della delegazione democratica. Persino Jeffords, uno degli ultimi repubblicani progressisti, quando scelse di passare nel gruppo democratico a giugno 2001 lo fece come “Indipendente”, e quando nel 2006 Sanders fu eletto come suo successore lo fu, a propria volta, come Indipendente (quale del resto egli è sempre stato dopo gli anni Settanta). Anche alla Camera, dal disegno dei collegi derivanti dal censimento del 1850 fino alle elezioni del 2006, non è stato eletto nessun democratico; con una eccezione: William H. Meyer nel 1958, in mid-term disastrose per i repubblicani di Eisenhower a causa dello smacco Sputnik e della breve recessione del 1957. Meyer, vale la pena di notare, è considerato uno dei parlamentari più a sinistra nella storia degli Stati Uniti.5 Ma già nel 1960 fu sconfitto e a rappresentare lo stato tornò sempre un repubblicano fino all’elezione dell’indipendente Sanders (1990) e poi del suo successore democratico, Welch (2006).
Primo stato a riconoscere il diritto di voto alle donne (1880), a introdurre le unioni civili (2000) e il matrimonio omosessuale (2009), a giugno 1941 si dichiarò in guerra contro la Germania (sei mesi prima di Pearl Harbor) e tra il 2010 e il 2014 tentò senza successo di introdurre un sistema sanitario pubblico. Le ragioni del suo spostamento dai repubblicani ai democratici negli ultimi decenni hanno a che fare certamente con lo sbandamento a destra dell’elefantino, ma anche col fatto che a partire dagli anni Sessanta i suoi boschi e le sue tradizioni di libertà richiamarono l’afflusso di hippie e proto-ecologisti che vi si sono poi insediati stabilmente. Uno di loro fu, nel 1968, il ventisettenne Bernie Sanders.
Breve storia della sinistra Usa
La vita politica di Sanders si immette ad un punto nel lungo percorso della sinistra politica americana.6 Si può dire che una prima forte cesura in tale percorso è stata costituita, negli Stati Uniti come in Europa, dalla Prima guerra mondiale. Limitandoci alla sinistra di classe (escludendo quindi i Progressisti dell’ex Presidente Roosevelt, che pure in quegli anni chiedevano di introdurre un deciso stato sociale), le presidenziali del 1912 videro il Partito socialista (Spa) ricevere il suo massimo storico (6%). Il movimento operaio contava un forte attivismo sindacale tanto nei centri industriali dell’est quanto nelle attività rurali e minerarie dell’ovest. Il clima di guerra, la legislazione anti-disfattista e in parte la politica sociale del Presidente democratico Wilson bruciarono il terreno dei socialisti, che nel 1919 ebbero a subire tanto la scissione che creò il Partito comunista (Cpusa) quanto la repressione della neonata Fbi contro il “pericolo rosso”.
Da allora Spa e Cpusa furono quasi sempre ai margini della vita politica, schierati rispettivamente contro e a sostegno dell’Unione Sovietica, fin quando Franklin D. Roosevelt, insediatosi a marzo 1933, non individuò nei comunisti tanto un utile mediatore con Mosca quanto un valido alleato contro la reazione del padronato. Sostegno elettorale, fornito a FDR tramite il partito-ombrello dell’American Labor Party, fu scambiato con la non-ingerenza e a tratti benevolenza della Casa Bianca nei confronti delle lotte salariali. L’utilità dei comunisti Usa fu riconosciuta anche a Mosca, tanto che il Comintern concesse al Cpusa l’esonero speciale dal seguire le sue direttive. In questo periodo, sotto la guida di Earl Browder, il partito formulò una peculiare visione di “via nazionale al socialismo”, inserendo le lotte dei comunisti nel solco di quelle dei rivoluzionari americani del 1776. I diritti sociali ancora da conquistare sarebbero stati la logica conseguenza delle premesse scritte nella Costituzione americana e nel Bill of Rights. Nel 1944 il partito fu trasformato in un gruppo di pressione volto ad influenzare le scelte dei due grandi partiti. Le cose cambiarono con la morte di Roosevelt nel 1945 e l’inizio della guerra fredda nel 1947. Browder fu accusato di riformismo e destituito; il sostegno al “Partito Progressista” dell’ex vice repubblicano di Roosevelt, Herbert Wallace, nel 1948 si rivelò uno smacco (2%) e il partito scivolò in una clandestinità di fatto.
Quanto allo Spa, nonostante l’antisovietismo di fondo, che lo portò negli anni Trenta anche a contatti con aree simil-fasciste, non riuscì mai a riguadagnare il peso di un tempo. Nel 1972 si trasformò in “Social-Democratici Usa”, che negli anni Ottanta entrarono con propri esponenti nelle amministrazioni di Reagan. Una minoranza continuista rifondò il Partito socialista (Spusa) mentre un’altra costituì il Comitato organizzativo socialista democratico (Dsoc) che collaborò con la sinistra dei democratici e nel 1982 divenne infine gli attuali Socialisti Democratici d’America (Dsa), di gran lunga oggi la più forte organizzazione socialista del Paese, già rappresentata al Congresso (ad esempio dal mitico Ron Dellums, afroamericano della California) ma la cui membership è esplosa solo dal 2016 in concomitanza con la campagna di Sanders (dai 6000 militanti del 2015 ai 46000 del 2019).
Nel Cpusa una nuova ventata browderista c’è stata con l’arrivo al segretariato di Sam Webb nel 2000. Rilevando l’impossibilità di competere autonomamente, Webb schierò il partito sul sostegno ai candidati più vicini al movimento operaio, ossia i democratici. Accusato di revisionismo, non si ricandidò al congresso 2014 e nel 2016 è passato al Partito Democratico, sostenendo la Clinton e accusando Sanders di rompere l’unità del partito. (Oggi, come molti democratici di nome ma social-comunisti di fatto – ad esempio, l’ex vicecapogruppo alla Camera David Bonior – sostiene la senatrice Warren.)
Quanto a Sanders, pur non avendo mai militato come socialista né tantomeno come comunista, è stato negli anni Settanta un militante del Liberty Union Party, una formazione della sinistra pacifista affiliata allo Spusa. Sanders ottenne il 2% come loro candidato senatore nel 1972 e il 6% come candidato governatore nel 1976. Dopo di allora si è sempre mantenuto un indipendente, pur se dal 1981 è affiliato al Partito Progressista del Vermont, una formazione locale che nel nome e nel simbolo (l’alce) richiama il partito dei repubblicani di sinistra di Theodore Roosevelt.
Il pensiero di Sanders
Il 12 giugno 2019 Sanders rese nella capitale Usa, precisamente alla George Washington University, un discorso7 inteso a chiarire le linee programmatiche e ideali della sua proposta politica. Un intento reso necessario dopo il magma indistinto che gli si era avvolto intorno nel 2016 – molto probabilmente anche contro le sue previsioni – e in cui le mere parole di “socialista democratico” faticavano a districare un tessuto fatto di istanze contraddittorie e in non pochi casi di settori trumpisti (maschi bianchi con poca istruzione e/o un passato nell’esercito e/o una passione per le armi o per il conservatorismo sociale).
Il discorso alla GWU resta tuttora fondamentale per capire le coordinate politiche di Sanders e del suo pensiero.
A chi si rivolge? Di cosa parla?
Il discorso si apre con un’introduzione dal sapore tutto trumpista, evidentemente studiata per mantenere nell’alveo il tipo di elettore poc’anzi richiamato. Si parla infatti, fin dalle prime frasi, di una «lotta contro le forze dell’oligarchia e dell’autoritarismo». La parola “oligarchia”, soprattutto, è centrale, poiché rimanda al campo semantico della destra antisemita o comunque complottista che spesso denuncia il potere di oscure lobby e società segrete, di cui i governi sarebbero solo mere marionette (e si ricordi il radicamento del movimento antimassone in Vermont…). Il termine “autoritarismo”, invece, serve sia come una primissima transizione per l’attacco a Trump sia come una implicita presa di distanza da modelli socialisti considerati non democratici.
Nell’esposizione che immediatamente segue, il senatore ha prodotto una contrapposizione intrecciata tra simili forze oscure e negative e il movimento che vi si oppone, il quale viene connotato in termini tutt’altro che di destra: «lotta per la giustizia, civiltà e dignità umana», «movimento di lavoratori e giovani che, in numeri sempre crescenti, lottano per la giustizia». Al tempo stesso, proprio quando maggiori si fanno questi appelli, ad intensificarsi sono anche i riferimenti ai temi della destra estrema: «un piccolo numero di miliardari incredibilmente ricchi e potenti possiedono e controllano una parte rilevante dell’economia ed esercitano un’influenza enorme sulla vita politica del nostro Paese». Evidentissima la vicinanza (di toni) alle varie teorie che implicano la Commissione Bilderberg, la Trilaterale, eccetera.
Questo attacco che riafferma alcuni principii popolari del trumpismo viene però usato come base per declinare una proposta nel senso della lotta sociale e, in un certo senso, perfino della lotta di classe. Con una miriade di esempi, tanto efficaci e veritieri sul piano documentale quanto impattanti sul piano retorico, Sanders descrive le smisurate iniquità della società americana in termini di tenore di vita, istruzione, lavoro, salute. Ma proprio quando tocca il tasto più crudele di tutti – l’abisso tra l’aspettativa di vita tra contee ricche e contee povere, quasi vent’anni per i maschi – proprio allora Sanders sembra fare un passo indietro. Per ben due volte usa un termine molto evocativo: «unfettered capitalism», il “capitalismo s-catenato”, “sregolato”. Questa espressione è sovente usata dalla senatrice Warren – che rappresenta la sinistra tradizionale del Partito Democratico, quella kennediana e non classista – per intendere che il problema non è il sistema capitalista, ma la sua mancata regolamentazione. E a questa idea sembra dunque ricollegarsi Sanders, al termine di un percorso che, partito da un linguaggio comune con la classe operaia trumpista, arrivato nel territorio della lotta classe, ritorna poi a una proposta di tipo newdealista.
È impressionante quante volte Sanders usi senza remore i termini «working people», «working families», o addirittura «poor families», senza mai citare invece – neanche una volta! – la celebre «middle class». È un contrasto molto forte con l’Obama del 2008 che, appena eletto Presidente nel pieno di una epocale crisi economica, annunciò «subito un piano di aiuti per la classe media».8 Il termine “middle class”, infatti, si traduce sì come classe media ma fa riferimento a ciò che in Europa chiameremmo “la gente comune”. Il fatto che negli Usa non si parli – o, meglio, non si sia parlato finora – di “classe lavoratrice” deriva senza dubbio dal rifiuto dell’antagonismo di classe, ma anche da una concezione della società statunitense fondata sulla mobilità sociale, sull’individualismo dell’homo faber fortunae suae e sulla costante crescita delle opportunità. Ed è proprio qui, proprio dopo aver più volte evocato la presenza reale nella società statunitense di un enorme stuolo di “lavoratori” e “poveri”, che Sanders torna ai principii ideologici tradizionali, proclamando che «il Sogno Americano dell’ascesa sociale [upward mobility] è in pericolo».
Cosa propone?
Esposti così i problemi della società Usa, Sanders passa ad esporre le soluzioni.
Dopo un discutibile passaggio in cui Xi Jinping è messo nel calderone dei «regimi autoritari» assieme a Putin, bin Salman, Duterte, Bolsonaro e Orbán – che «deviano in furia violenta contro le minoranze la rabbia popolare per l’ineguaglianza e il declino del tenore di vita»: dove e come, in Cina? –, dopo questo discutibile passaggio, ebbene, il senatore del Vermont fa ancora una volta un passo indietro rispetto alle aspettative, ricollegandosi esplicitamente a una situazione già vissuta. Il passo merita la citazione estesa:
«La sfida che affrontiamo oggi come nazione, e come mondo, è per molti aspetti non dissimile da quella che fronteggiammo poco meno di un secolo fa, durante e dopo la Grande Depressione negli anni ’30».
Facendo riferimento alle enormi diseguaglianze economiche e all’ascesa dei fascismi in Europa, Sanders osserva che all’epoca gli americani si sottrassero a quel destino abbracciando invece la leadership di Roosevelt, «allora leader dell’ala progressista del Partito Democratico» e sostenuto da «progressisti dentro e fuori il Partito». Chi erano questi progressisti “esterni”? Sanders non li cita, ma storicamente sono facilmente individuabili: da un lato il Partito comunista, dall’altro l’ala sinistra del Partito repubblicano (Fiorello LaGuardia, il senatore Wayne Morse, ma anche futuri comunisti come Herbert Wallace o Vito Marcantonio).
Dopo aver passato in rassegna le vicende dell’amministrazione Roosevelt – le politiche che essa propose, l’odio politico che si attirò – nell’evidente tentativo di tracciare un paragone tra quel movimento e quello da cui oggi lui stesso è sostenuto, Sanders passa poi a introdurre il termine «socialismo».
Lo fa rammentando che le politiche rooseveltiane, che ricorda essere state non solo molto popolari tra gli elettori ma anche in grando di sconfiggere il fascismo, valsero al Presidente l’accusa di socialismo, che fu poi ritorta una generazione dopo anche contro le riforme sociali di Lyndon Johnson. Dopo un’ulteriore paragone tra l’America di novant’anni fa e quella odierna, il senatore passa quindi al nucleo più intimo della sua esposizione, proponendo di respingere la via dell’odio e della divisione scegliendo invece «una via più alta, una via di compassione, giustizia e amore. È la via che io chiamo socialismo democratico».
Il Secondo Bill of Rights
Il momento è lirico, forse troppo, tanto che Sanders torna subito ad affrontare un argomento più concreto e avvincente, ossia: in quali politiche si traduce il suo “socialismo democratico”?
La risposta è semplice: completare il lavoro di Franklin D. Roosevelt, «il lavoro incompiuto del Partito Democratico». Il riferimento, esplicito, è al celeberrimo discorso sullo Stato dell’Unione tenuto da FDR l’11 gennaio 1944: «siamo giunti a realizzare chiaramente il fatto che non può esistere vera libertà individuale senza sicurezza e indipendenza economiche». In quel discorso Roosevelt propose un altrettanto celebre «Secondo Bill of Rights», le cui fondamenta a sua volta possiamo ritrovare già nel discorso sullo Stato dell’Unione del 6 gennaio 1941 – questo non citato da Sanders. Nel gennaio ’41 il Presidente aveva enunciato quelle che erano a suo parere le quattro libertà fondamentali dell’essere umano: la libertà di parola, la libertà di culto, la libertà dal bisogno, la libertà dalla paura. Fu su queste basi che nel ’44 Roosevelt propose di inserire nella Costituzione i diritti sociali, e in particolare i diritti al lavoro, all’alimentazione, al vestiario, al tempo libero, a un equo reddito, all’alloggio, alle cure mediche, alla sicurezza sociale, all’istruzione, nonché la libertà dalla concorrenza sleale e dai monopoli. Il progetto cadde per l’improvvisa morte del Presidente il 12 aprile 1945, e poi per le asprezze della Guerra Fredda, ma fu ripreso anche recentemente, ad esempio, da Obama che alla convention che lo ricandidò nel 2012 citò testualmente il «potente, insistente sperimentalismo»9 evocato da Roosevelt nella campagna del 1932.
In conclusione, secondo Sanders «i diritti economici sono diritti umani». Come già fatto altre volte, anche qui il senatore sembra abbinare passi avanti e passi indietro, stavolta smorzando quanto appena asserito tramite una più blanda citazione di Martin Luther King: «Chiamatela democrazia, chiamatelo socialismo democratico, ma dev’esserci una migliore distribuzione della ricchezza».
Socialismo democratico vs. Socialismo aziendale
Tornando infine sull’argomento del socialismo, Sanders ne dà una definizione estremamente problematica e che, a rigore, non è neppure una definizione vera e propria. Egli ricorda infatti che il termine è stato usato in senso denigratorio contro ogni Presidente democratico dell’ultimo secolo: contro il New Deal di Roosevelt, contro la sanità pubblica proposta da Truman e da Clinton, contro l’interventismo economico di Obama e persino contro Kennedy: «Socialismo è come hanno chiamato le pensioni pubbliche. Socialismo è come hanno chiamato il sostegno ai prezzi agricoli. Socialismo è come hanno chiamato la tutela dei depositi bancari. Socialismo è come hanno chiamato la crescita di sindacati liberi e indipendenti». In questa continua anafora di «Socialism is what they called…» viene fuori che il termine socialismo in sé è soltanto un insulto volto a dipingere in termini demoniaci una realtà invero moderata e di buonsenso.
Ma Sanders va ancora oltre, tracciando una demarcazione tra socialismo democratico e «socialismo aziendale» (corporate socialism) ed equiparando di fatto socialismo aziendale e capitalismo scatenato (unfettered capitalism). I salvataggi bancari, gli sgravi fiscali al settore petrolifero, i diritti di brevetto per le compagnie farmaceutiche, i finanziamenti pubblici alla ricerca privata, gli incentivi economici a monopoli in grado di abbassare i salari sotto il livello di sussistenza: tutta questa immane spesa, anzi dilapidazione di denaro pubblico è ad un tempo socialismo aziendale e capitalismo scatenato.
In nove domande retoriche dall’interrogativo «Sei veramente libero se…?» Sanders chiede quale libertà abbia chi non può pagare un ricovero ospedaliero o un medicinale, chi è costretto a indebitarsi a giornata per sopravvivere al proprio mutuo, a lavorare oltre i 70 anni per assenza di una pensione o oltre le 60 ore settimanali per mancanza di un reddito di sopravvivenza…
Per realizzare la vera libertà è dunque necessario implementare il Secondo Bill of Rights, ai cui diritti enumerati da Roosevelt viene oggi agiunto quello a «un ambiente pulito».
C’è un punto, infine, che quasi stride nella conclusione – non perché muti l’argomento, ma perché scarta di lato rispetto al flusso del discorso: «Lasciatemi essere assolutamente chiaro: il socialismo demcoratico per me richiede il raggiungimento della libertà politica ed economica in ogni comunità».
Sanders è veramente un socialista?
Quindi, cos’è il socialismo per Sanders? Come si è visto, esso si concretizza sostanzialmente nel Secondo Bill of Rights. La posizione è più moderata rispetto a quella del Partito comunista degli anni Trenta. Per quest’ultimo, il Bill of Rights originale, quello del 1789, costituiva l’espressione coeva di un movimento di emancipazione umana che nel presente si incarna nelle lotte sociale dei comunisti. Per Sanders, invece, i principi del costituzionalismo americano non sono soltanto una conquista politica del passato ma anzi una base su cui costruire e da integrare a vantaggio di tutta la società.
Di fatto, non si rilevano grandi differenze con le proposte di regolamentazione del capitalismo avanzate dalla senatrice Warren. Entrambi vogliono un capitalismo più o meno rigidamente controllato, ma saldamente socialdemocratico e welfarista. Addirittura c’è un punto in cui Sanders è più moderato: nel discorso alla GWU il senatore ha detto che un piccolo imprenditore o un agricoltore non sono veramente liberi se il grande capitale monopolistico li espelle dal mercato. Questo passaggio è interessante per due aspetti. Anzitutto richiama un passaggio famoso del Manifesto del partito comunista: «Si è rimproverato a noi comunisti di voler abolire la proprietà personale, ottenuta con il proprio lavoro […] Parlate della proprietà piccolo‐borghese, piccolo‐contadina, che ha preceduto la proprietà borghese? Non abbiamo bisogno di abolirla, è lo sviluppo dell’industria che l’ha abolita e l’abolisce giorno per giorno».10 Per Marx ed Engels non vi è più soluzione se non la socializzazione del monopolio. Tale era anche l’idea di Lenin.11 Sanders però non ha mai parlato di socializzazione dei mezzi di produzione – e questo è veramente il principale ostacolo a poterlo considerare davvero un socialista. Ma non solo: quando a marzo 2019 la Warren propose la separazione forzosa dei grandi monopoli, come ad esempio Apple o Google, Sanders inizialmente si rifiutò di aderire e disse semplicemente che poteva essere un’idea degna di considerazione, salvo dichiararsi favorevole due mesi dopo ma limitatamente alla sola Facebook.12
Ma quindi? Qual è la differenza con la Warren? Solo una di stile, con la dottorale professoressa che si rivolge a un pubblico liberal istruito, mentre il rubesto Sanders cerca i lavoratori manuali con un linguaggio più semplice? Questa differenza esiste, ma non è l’unica.
Bisogna tornare a quelle parole fin troppo delicate, protette da Sanders tra sei cartelle prima e dopo, così presto lasciate in pace non appena pronunciate: «un percorso di compassione, giustizia e amore».
Ci sono tanti echi in queste parole. In primo luogo la compassione, che rimanda al conservatorismo compassionevole di cui tanti a destra hanno voluto reclamare il manto – anzitutto George W. Bush, che vi trasfondeva la propria profonda fede metodista, sebbene l’11 settembre lo costrinse a seguire un percorso del tutto diverso, di stampo neoconservatore.
La giustizia e l’amore, invece, rinviano al clima degli anni Sessanta in cui Sanders ha definito la propria personale filosofia politica, immaginando un socialismo privo di asprezze e, forse, di fatiche (i media di destra ripresero tempo fa l’asserzione, come minimo da verificare, che nel 1971 sarebbe stato allontanato da una comune hippie del Vermont perché dedito più al discorso politico che al lavoro).13 Eppure proprio in quegli anni veniva mostrata l’impraticabilità di quella forma di socialismo che egli chiama democratico: Allende provò a realizzare il socialismo democratico in Cile e fu schiacciato nel sangue dai carri armati. Chávez e Maduro ci hanno provato più di recente, con risultati quasi altrettanto tristi. Berlinguer in Italia non ebbe maggior fortuna: il suo maggiore alleato, Aldo Moro, pagò con la vita.
Il grande e potente richiamo alla temperie degli anni Trenta e Quaranta omette di dire che vi era un Paese in cui non vi erano né diseguaglianze né fascismo, un Paese di cui Sanders oggi rifiuta i metodi autoritari14 ma che grazie a quei metodi sconfisse storicamente lo sfruttamento di classe e il fascismo. Persino oggi, attaccato da tutti per gli elogi al sistema educativo e al sistema sanitario cubani, ha ribadito tali considerazioni distaccandosi però dal presunto autoritarismo castrista.15
Respingendo tutti gli esempi storici di socialismo realizzato e intendendo separare – con un procedimento fondato non nella realtà ma nello wishful thinking – le realizzazioni dai mezzi che le hanno ottenute Sanders si dimostra estraneo al percorso del socialismo.
Si dimostra estraneo all’accettare che storicamente il socialismo avviene perché i mezzi di produzione sono stati socializzati, e questo è avvenuto perché il proletariato ha preso il potere e ha espropriato i grandi capitalisti. I quali, come è ovvio, si ribellano e muovono contro lo stato socialista una guerra senza quartiere – arrivarono a creare i Franco e gli Hitler. Per resistere ad attacchi tanto spietati e potenti non vi è altra strada che serrare le file delle società, ossia, in termini meno attraenti ma logicamente equivalenti, ridurre la libertà individuale.
Estraneo al socialismo, è per ciò estraneo alla sinistra? Naturalmente no. Le considerazioni che egli esprime lo qualificano sul piano economico come un esponente dell’ala sinistra del newdealismo e sul piano sociale come un libertario di sinistra. Riunisce, in un certo senso, la sinistra degli anni Trenta con quella degli anni Sessanta. Radici che sono forse ancora più profonde e fanno riferimento, ancor più che alle vicende del Partito Democratico – da sempre comunitarista e corporativo – alle origini liberali, laiche, post-illuministe del Partito Repubblicano, fondato da Lincoln a metà Ottocento come il partito della libertà individuale intesa in senso civico, come partecipazione e realizzazione della persona nella repubblica. Una concezione che si è visto in Vermont essere ben viva. Sanders appare soprattutto il maggiore, forse l’unico oggi, erede dell’antica sinistra repubblicana di Theodore Roosevelt.
Immagine da
1 https://fivethirtyeight.com/features/how-will-the-democratic-primary-change-now-that-its-moving-to-more-diverse-states/
2 https://www.nbcnews.com/news/nbcblk/huge-split-between-older-younger-blacks-democratic-primary-n580996
3 https://fivethirtyeight.com/features/sanders-might-have-a-ceiling-but-there-are-still-several-ways-he-could-win/
4 https://www.realclearpolitics.com/epolls/2020/president/us/2020_democratic_presidential_nomination-6730.html
5 https://voteview.com/person/6451/william-henry-meyer
6 Per quanto segue mi rifaccio in prevalenza a Malcolm Sylvers, Sinistra politica e movimento operaio negli Stati Uniti. Dal primo dopoguerra alla repressione liberal-maccartista, tr. it. Liguori 1984.
7 https://www.vox.com/2019/6/12/18663217/bernie-sanders-democratic-socialism-speech-transcript
8 https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2008/11/discorso-obama-7-novembre.shtml
9 https://www.npr.org/2012/09/06/160713941/transcript-president-obamas-convention-speech
10 K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, Capitolo II.
11 Cfr. Lenin, La catastrofe imminente e come lottare contro di essa (settembre 1917).
12 https://www.politico.com/story/2019/05/15/sanders-backs-calls-to-break-up-facebook-1327881
13 https://freebeacon.com/politics/bernie-sanders-asked-leave-hippie-commune/
14 https://www.vox.com/2019/4/22/18511864/bernie-sanders-democratic-socialism-cnn-town-hall
15 https://www.cnn.com/2020/02/24/politics/sanders-defends-castro-cuba-comments-cnntv/index.html
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.