Anche il cinema ha dovuto adeguarsi all’allarme Coronavirus. I principali film della settimana (da Si vive una volta sola a Volevo nascondermi) sono stati rinviati a data da destinarsi. Così ho deciso di parlarvi di un sottovalutato capolavoro del cinema da riscoprire. L’abbiamo proiettato al cineforum e gli occhi degli spettatori brillavano. Nel 2018 la Cineteca di Bologna ha restaurato la pellicola e ha fatto riuscire il film in sala. Sessant’anni anni dopo “L’appartamento” è un’opera da rivalutare. Non solo per la sua genuina qualità, ma soprattutto per l’attualità dei suoi temi. Si può far cinema anche con pochi soldi (appena 3 milioni di euro).
Il segreto è nella scrittura. Wilder decise di fare il film quando si rese conto che a teatro sarebbe stato difficilissimo cambiare continuamente scenografie. Il ritmo è ciò che rende questo film speciale. Oltre che dal film del 1928 La folla diretto da King Vidor, Billy Wilder dichiarò di aver tratto ispirazione da Breve incontro di David Lean del 1945.
Le sceneggiature dei film contemporanei impallidiscono di fronte a questo capolavoro. Due ore di purissimo cinema che volano. Una volta finito il film, viene voglia di riavvolgere il nastro e ripartire. Billy Wilder non scordiamolo era un ebreo austriaco comunista (per la società americana aveva tanti difetti) che negli anni 30 emigrò negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni razziali di Hitler. Sua madre, il patrigno e la nonna morirono ad Auschwitz. Grazie ad un gruppo di ebrei tedeschi (tra cui il regista Lubitsch), Wilder si affermò inizialmente come sceneggiatore e poi come regista divenendo uno dei più venerati maestri della settima arte.
In questo film, che arrivò dopo il successo planetario di “A qualcuno piace caldo” (1958), tutto ciò è piuttosto evidente. “L’appartamento” è uno dei film più riusciti, grazie a tempi comici maledettamente perfetti. Una commedia dolce-amara difficilmente etichettabile. Perché la componente amara della sceneggiatura si bilancia con quella comica e fornisce un perfetto bilanciamento. Ma la specialità di Wilder è proprio quella di giocare con lo smascheramento della realtà, di tradurre il dramma in commedia per farlo diventare ambiguo e sfuggente, di giocare con la maschera prendendosi gioco delle convenzioni.
Il film comincia con una panoramica sui grattacieli di New York, accompagnata dalla voce fuori campo del protagonista che dapprima sviscera dati statistici sulla enorme popolazione di New York, poi quelli sulla sede centrale della società cui presta servizio: “31.259 impiegati, un numero superiore all’intera popolazione di Netchez, Mississippi” (nella versione italiana infelicemente tradotto in Gallarate, Milano). Dall’alto l’azione si sposta negli interni del grattacielo, per poi passare a un appartamento piccolo (vedi qui). La storia è quella di un piccolo impiegato di una società di assicurazioni di New York, C.C. Baxter (Jack Lemmon. Tutti lo conoscono come Ciccibello. Lui è uno di quelli impiegati tutti uguali che lavorano a testa bassa con scarse gratificazioni. All’inizio si nota la proliferazione di scrivanie tutte uguali, con impiegati tutti uguali e un’etica del lavoro in fondo disturbante. Con tanto di ticchettio dell’orologio che sembra uscito da “Tempi moderni” di Chaplin.
Il set fu costruito su un’area di oltre 25.000 metri quadrati e Wilder ha descritto in seguito le tecniche utilizzate per ottenere le inquadrature che desiderava, compresa la prospettiva forzata con scrivanie di dimensioni sempre più piccole e l’impiego di attori progressivamente più bassi di statura seduti al lavoro. Ha anche affermato di aver assunto dei nani per le ultime file, anche se lo scenografo Alexandre Trauner ha dichiarato che gli attori nelle file più distanti erano in realtà dei bambini.
La diversità di Baxter è il suo appartamento. L’uomo capisce che può far carriera affittando il suo appartamento per i manager desiderosi di passare avventure extraconiugali in maniera tranquilla e lontani da sguardi indiscreti. E così l’occasione fa l’uomo ladro, con possibilità di promozione ai piani più alti in cambio del suo silenzio. Ma nel suo condominio tutti pensano che sia un poco di buono e per Baxter già questa è un’occasione per non essere considerato uno sfigato. Anche se in pratica lo è.
Tutto procede secondo la solita routine, fino a che non arriva l’ascensorista Fran Kubelik (Shirley MacLaine). La donna è, in gran segreto, l’amante del capo del personale. E il nostro Ciccibello se ne innamora perdutamente e questo è un grosso pericolo per la sua “attività” segreta. Infatti queste “scappatelle” sono usate anche dalle donne dipendenti dell’azienda per fare carriera.
Siamo nel 1960, eppure questo “quadro” è la miglior sintesi del capitalismo e dell’arrivismo americano: una società chiusa e immobile che ruota sul suo individualismo sfrenato. Emblema di ciò i 100 euro che il capoccia del personale voga all’amante Fran come pegno d’amore. Ma nella sceneggiatura c’è di più: l’arrivismo, il cinismo, la solitudine delle grandi città e il prezzo da pagare per qualcosa. Billy Wilder deride le convenzioni, le fa a pezzi.
A rivedere questo film oggi, non si può pensare a “Parasite”. La lotta di classe è sviluppata stavolta su un grattacielo e su un ascensore. Tutti vogliono scalare. Mentre nel film di Bong Joon Ho tutto gioca sul contrasto bassifondi – piani alti, ma è sempre sviluppato in verticale. L’oggetto della critica però è lo stesso. Entrambi i registi criticano il capitalismo, l’arrivismo della società americana.
E infatti nel film di Wilder ci sono tanti troppi elementi che rimandano alla cultura europea: la pasta alla bolognese scolata con la racchetta (vedi qui), il diventare “mensch” della cultura tedesca sono esempi in tal senso. Senza dimenticare lo zapping televisivo di un immenso Jack Lemmon che, mentre mangia, assiste alle solite pubblicità e film con i bianchi che sterminano pellerossa a più non posso.
Sembra un film banale “L’appartamento”, ma non lo è. Non a caso ha ispirato un capolavoro italico come “Il primo tragico Fantozzi” che però ironizzava sull’Italia degli anni ‘70. Il merito è anche dei due attori (Lemmon e MacLaine) particolarmente ben assortiti, leggeri e malinconici quanto basta. La MacLaine tolse la parte perfino alla diva Marilyn Monroe. Incredibile che i due non siano stati premiati con l’Oscar. Oltre agli attori, l’immortalità di questo film è la fotografia in bianco e nero che genera profondità: i contrasti sono ben espressi in quel dualismo cromatico. Con il colore sarebbe stato più complicato da esprimere. Il bianco è il bene, il nero il male che nell’animo umano spesso si mescolano. Come in questo film di “puttane e puttanieri”. 5 Oscar e Coppa Volpi per la deliziosa Shirley MacLaine che venne preferita a Marilyn Monroe.
Regia ***** Fotografia ***** Interpretazioni ***** Sceneggiatura ***** Montaggio ***** Tempi comici *****
L’APPARTAMENTO *****
Titolo originale: The apartment
(USA 1960)
Genere: Commedia
Regia e Sceneggiatura: Billy Wilder
Cast: Jack Lemmon, Shirley Mac Laine, Fred Mac Murray
Fotografia: Joseph La Shelle
Durata: 2h e 6 minuti
Produzione: MGM
Distribuzione italiana: Cineteca di Bologna
Trailer italiano qui
La frase: C’è gente che piglia e gente che è presa. E anche sapendo di essere presi, non possono farci nulla.
Immagine da www.quilan.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.