Un’edizione storica che frantuma tanti tabù e certifica l’inefficacia delle politiche di Trump
PREMESSE
Gli Oscar n°92 arrivano in anticipo rispetto alle passate edizioni di almeno due settimane. Un’edizione che è iniziata il 27 ottobre scorso con l’assegnazione delle statuette alla carriera per l’attore Wes Studi (“Magua” de L’ultimo dei mohicani, Heat la sfida) e per i registi David Lynch e la nostra Lina Wertmuller.
Il filo conduttore di quest’edizione è sicuramente il disagio sociale: da Joker a Parasite si parla dei bassifondi, mentre Storia di un matrimonio parla del matrimonio e dell’incapacità di ascoltarsi, di stare insieme. Lo sapete come la penso, l’ho scritto ripetutamente: Parasite di Bong Joon Ho meritava ampi riconoscimenti. Ma non è un film americano. I suoi cambi di registro e i ripetuti colpi di scena sono tutti calibrati con una precisione millimetrica. Una lenta e allo stesso tempo rapida discesa agli inferi che Bong Joon Ho (Snowpiercer) racconta con il tocco di un maestro.
L’edizione 2020 vede il ritorno proprio di leggendari registi come Scorsese e Tarantino, oltre al ritorno di personaggi autorevoli come Almodovar, Mendes (vent’anni dopo il trionfo di American Beauty) e lo stesso Bong Joon Ho. A loro bisogna aggiungere il buon lavoro di Todd Phillips con il cult “Joker” e Baumbach con “Storia di un matrimonio”, una sorta di Kramer contro Kramer degli anni che stiamo vivendo.
Tuttavia è la sezione miglior documentario a vantare storie che andrebbero divulgate e raccontate: dall’apicoltura (Honeyland) al conflitto siriano (The cave e For Sama), passando per l’integrazione/scontro tra culture in fabbrica (American Factory). Scorrendo le varie nomination, si possono vedere alcune cose che non tornano. La più calzante riguarda Richard Jewell, ennesimo filmone di Clint Eastwood. Solo una nomination a Kathy Bates. Un po’ poco.
Eccessive le nomination per l’ennesimo remake di Piccole donne (siamo al settimo adattamento) e per il sopravvalutato Jo Jo Rabbit. Sottovalutato invece “Le Mans 66”, dove Mangold riesce nell’impresa di non fallire dove quasi tutti lo hanno fatto. E nel cast c’è il solito gran lavoro di Christian Bale (neanche nominato).
Tuttavia vi spiegherò che quest’anno le scelte dell’Academy sono state giuste e ponderate. Tutte tranne una: come si fa a non dare neanche un premio a “The Irishman” di Martin Scorsese? A proposito il grande regista italo americano si è fatto una dormitina durante l’esibizione di Eminem. Come dargli torto?
GLI OSCAR 2020
Lo scorso novembre ve l’avevo detto. “Parasite” (recensione qui) è di gran lunga il miglior film del 2019. Un’opera anticonformista che non vuole strizzare l’occhio al pubblico (e quindi al botteghino), ma che vuole far uscire gli spettatori dalla zona di confort, costringendo chi guarda ad essere spiazzato, a pensare, a farsi domande. Ora ha riscritto la storia. Come nel suo film, Bong Joon Ho irrompe dal sottosuolo e scatena il pandemonio agli Oscar.
Per la prima volta un film non americano trionfa nelle principali categorie: miglior film, regia, sceneggiatura originale e film straniero. “Parasite” è una commedia nera che racconta la lotta di classe giocata sui diversi piani di una casa borghese dove, per una volta, “non ci sono nè buoni nè cattivi”.
Su “Repubblica” sottolineano che è stata un’edizione con molta musica e poca politica. Personalmente non sono per niente d’accordo. Per il cinema americano è una sconfitta bruciante, per lo più in casa davanti al pubblico amico. Produrre tanti film, muovere tanto denaro può non bastare. La qualità è la cosa più importante. Questa è la lezione che Bong Joon Ho ha dato agli americani in casa loro. Tra i più grandi sostenitori di Bong Joon Ho, non a caso, ci sono Quentin Tarantino e Martin Scorsese. La cosa è ancor di più bruciante, specie quando il dominatore è un Paese asiatico. Visti i recenti trascorsi tra Stati Uniti e Corea del Nord (leggi qui), ecco che ora alla porta della Casa Bianca bussa anche la Corea del Sud. Non era mai stata nominata a un Oscar prima di quest’edizione, e ora è entrata nei libri di storia. Bong Joon-ho è diventato l’unico, insieme a Walt Disney, che ha ritirato quattro statuette nella stessa serata. La visibilità mondiale che gli Oscar assicurano è davvero tanta. Ma la vittoria netta di Parasite frantuma un altro tabù: a produrre questo film c’erano diverse donne. Un altro schiaffo a Hollywood.
Dalle mie parti si definirebbe una sonora cenciata per Trump e la sue politiche. Non solo Bong Joon Ho ha preso 4 Oscar, ma ha vinto anche Joaquin Phoenix per “Joker” (che parla di malessere sociale, del disagio delle periferie tra i tanti temi). Il suo discorso è stato fenomenale: prima ha ammesso di esser stato un “collega con cui è difficile lavorare”, ammettendo che ha fatto tanti errori. Adesso però bisogna lottare insieme contro razzismo e disuguaglianze sociali. “Il dono più grande che mi ha dato il cinema – ha detto – è quello di poter dare voce a chi voce non ce l’ha. È arrivato il momento di iniziare a farci portavoce di altre cause” (leggi qui). Poi ha ricordato il fratello River, anche lui attore (Indiana Jones, Stand by me) morto per overdose a soli 23 anni nel 1993.
La vittoria di Phoenix (strameritata) non è stato l’unico bel momento della serata. Spike Lee, grande appassionato di basket e fan dei New York Knicks, indossava un singolare smoking giallo-viola (colori dei Los Angeles Lakers). Ha voluto ricordare quel gran talento che era Kobe Bryant (e la figlia Gianna). Natalie Portman ha scelto un abito molto particolare: sul proprio vestito erano ricamati i nomi delle registe candidate che non ce l’hanno fatta. Una scelta singolare, ma doverosa, di impatto.
Perché non bisogna scordarsi che questa edizione degli Oscar ha visto molti trionfi tra le donne: da Renèe Zellweger per Judy a Laura Dern di “Storia di un matrimonio”, senza dimenticare Bombshell (miglior trucco) e Piccole donne (costumi). Mancava solo la vittoria di un messicano (peccato non ci fossero registi come Cuaron, Del Toro o Inarritu!). Tutte le categorie sociali distrutte o ridotte all’osso dalle politiche di Trump hanno alzato la voce.
Dopo “Parasite”, i premi si sono un po’ sparpagliati. Così i film con più nomination si sono dovuti accontentare, tranne “The irishman” che è rimasto inspiegabilmente a bocca asciutta.
“Joker” ha vinto meritatamente due statuette: oltre a Joaquin Phoenix, vantava una colonna sonora incredibile (spiccano “White room” dei Cream e “Rock n roll part II” di Gary Glitter) ed è stata giustamente premiata.
1917 di Sam Mendes era considerato, sulla carta, il favorito. Ma si è dovuto accontentare di 3 Oscar tecnici. La scelta francamente è giusta. Roger Deakins bissa il successo di Blade Runner 2049 con la sua splendida fotografia (grazie maestro!), il sonoro e gli effetti visivi effettivamente erano un personaggio del film. “C’era una volta a Hollywood” di Quentin Tarantino vince due Oscar: uno a Brad Pitt come attore non protagonista (non scordiamoci che è un potente produttore e questo probabilmente spiega perché ha vinto lui e non Joe Pesci) e le splendide scenografie che sono sempre personaggi non secondari nei film di Tarantino. “Le Mans 66” ha vinto due Oscar tecnici: montaggio e montaggio sonoro. Questo film è stato sottovalutato dalla maggioranza. E’ incredibile che Christian Bale non fosse tra i nominati tra i non protagonisti. Un Oscar a testa, infine, a Judy (Oscar alla Zellweger che ha vinto il testa a testa con la Johansson), Piccole donne (Costumi), Storia di un matrimonio (Laura Dern – attrice non protagonista), Bombshell (Trucco) e per la canzone di Elton John sul biopic “Rocketman”. Miglior film d’animazione a Toy Story 4, altro regalino per Walt Disney. Non sono d’accordo sull’Oscar a “Jo Jo Rabbit” nella categoria miglior sceneggiatura non originale: sicuramente Joker e The Irishman erano maggiormente meritevoli, se consideriamo la qualità dei testi di partenza. Ma cosa sarà successo? Come per magia ecco che il peso di determinati studios hanno fatto la differenza. Infatti, con l’acquisizione di 20th Century Fox, la Walt Disney (insieme a una rediviva Sony) ha preso ben 4 statuette superando tutti gli altri concorrenti: Universal 3, Netflix e Warner 2, Paramount 1.
Gli Oscar 2020 terminano qui. A Hollywood, Corea del Sud 4 – Donald Trump 0. A voi studio.
RIEPILOGO DEI PREMI 2020
- Miglior film – Parasite
- Migliore regista – Bong Joon Ho (Parasite)
- Migliore attore protagonista – Joaquin Phoenix (Joker)
- Migliore attrice protagonista – Renee Zellweger (Judy)
- Migliore attore non protagonista – Brad Pitt (C’era una volta a Hollywood)
- Migliore attrice non protagonista – Laura Dern (Storia di un matrimonio)
- Miglior film internazionale – Parasite
- Migliore film d’animazione – Toy Story 4
- Migliore corto animato – Hair Love
- Miglior colonna sonora – Joker
- Migliore canzone originale – “I’m gonna love me again” di Elton John (Rocketman)
- Migliore sceneggiatura originale – “Parasite”
- Migliore sceneggiatura non originale – “Jojo Rabbit”
- Migliore cortometraggio – “The Neighbors’ Window”
- Migliore cortometraggio documentario – “Learning to skateboard in a war zone”
- Migliore scenografia – “C’era una volta a Hollywood”
- Migliori costumi – “Piccole donne”
- Migliore documentario – “American Factory”
- Migliore montaggio sonoro – “Le Mans ’66 – La grande sfida!”
- Migliore mixing sonoro – 1917
- Migliore fotografia – Roger Deakins (1917)
- Migliore montaggio – “Le Mans ’66 – La grande sfida!”
- Migliori effetti speciali – 1917
- Miglior trucco – “Bombshell – La voce dello scandalo”
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Immagine da www.cinematographe.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.