Il regista di Skyfall e American Beauty realizza un film bellico con un due finti pianosequenza, attingendo dai racconti del nonno che combattè nel Primo Conflitto Mondiale
Ancora eroi ignoti. Dopo avervi raccontato “Richard Jewell”, ecco 1917. Una volta terminati i due film su 007 (Skyfall e Spectre), il regista inglese Sam Mendes ha pensato di attingere ai suoi ricordi. Quando era un bambino, suo nonno Alfred Hubert Mendes, che aveva combattuto per due anni sul fronte franco-belga nella 1st Rifle Brigade, gli raccontava le sue avventure. E queste sono tornate utili al nipote.
Collaborando con la sceneggiatrice scozzese Kristy Wilson Cairs, ha costruito un film sulle persone. Ha lasciato che la telecamera le seguisse, mantenendola incollata ai soldati inglesi. L’andamento della pellicola tuttavia è circolare: l’inizio e la fine convergono sullo stesso particolare. Un soldato appoggiato ad un albero.
Ancora una volta Mendes ha seguito le scelte del collega connazionale Christopher Nolan. Ai tempi dello splendido “Skyfall”, aveva rivelato di essersi ispirato a “Il Cavaliere Oscuro”. Questa volta Mendes sceglie di seguire, nel bene e nel male, l’esempio di “Dunkirk” (leggi qui): nel bene a livello di tecnica e di spettacolarizzazione, nel male a livello di retorica che a tratti fa pensare al cinema di Spielberg (e quindi al botteghino). Guarda caso la Dreamworks (di cui il papà di E.T. è il fondatore) ha prodotto la pellicola.
La principale differenza è l’ambientazione. Nel film di Nolan eravamo nel momento di massima espansione della Germania nazista. Hitler non volle dare il colpo di grazia tenendo l’esercito inglese asserragliato sulle spiagge francesi di Dunkirk (1940). Gli Alleati seppero reagire e quell’episodio fu l’inizio della riscossa e del futuro ribaltamento degli esiti del conflitto.
Stavolta cambia lo scenario: mettete l’orologio indietro di oltre un secolo, siamo nella fase finale della Prima Guerra Mondiale (1914-1918). Nata come guerra di movimento, finì per definire di trincea, di posizionamento. Cosa descritta meravigliosamente da Kubrick nell’immortale capolavoro “Orizzonti di gloria” con protagonista un superbo Kirk Douglas.
6 aprile 1917. Manca ancora un anno alla fine di un conflitto disumano che sancì la morte di poco meno di 10 milioni di soldati (con 21 milioni di feriti). Due soldati inglesi (Blake e Schofield), quasi due hobbit verrebbe da dire, vengono inviati al cospetto del Generale Erinmore (Colin Firth). A loro viene affidata una pericolosa missione: infiltrarsi nelle linee nemiche per avvertire di una trappola dei tedeschi oltre la linea Hindenburg. La seconda divisione del colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch) deve essere avvisata in tempo utile per non far partire l’attacco.
Non è il racconto cronachistico della Prima Guerra Mondiale, ma l’idea del conflitto visto dall’esperienza umana. 1600 persone sono in pericolo e vanno salvate (tra cui c’è anche il fratello di Blake). Come in Dunkirk, anche stavolta siamo in Francia (a nord ovest), anche se effettivamente le riprese sono state effettuate tutte nel Regno Unito tra la contea del Wiltshire, la riserva naturale di Hankley Common e gli Shepperton Studios. La cosa si vede perché di giorno c’è il classico grigiore del cielo inglese. Il film è stato girato prevalentemente in esterni con luce naturale in 65 giorni, con una pianificazione dei tempi di lavoro perfetta e calcolata al millesimo. La cosa che stupisce maggiormente di questo ennesimo film bellico è la scelta di girare il tutto con due pianosequenza, intervallati da un breve momento con il classico schermo nero. Sulla scia del recente espediente tecnico usato in “Birdman” da Inarritu (con Lubezki alla fotografia), in realtà gli stacchi ci sono. Tutto diventa un artificio in stile “Nodo alla gola” di sir Alfred Hitchcock o “Arca Russa” di Sokurov: una cosa piuttosto folle, ma importante per far sentir sveglio lo spettatore.
Questo taglio avviene dopo circa un’ora di film ed è fondamentale. Fino a lì la pellicola non ha molto da dire. Da qui cambia marcia e alla distanza esce fuori l’immensa maestria del direttore della fotografia Roger Deakins. Colui che ha curato quasi tutte le pellicole dei fratelli Coen, oltre ad acclamati cult come Arrival, Skyfall e Blade Runner 2049 (con cui ha vinto l’Oscar). Non a caso una delle migliori sequenze dell’intero film avviene proprio dopo questo stacco: è quella notturna all’interno delle rovine di un villaggio francese. Dove avviene un incontro casuale ed importante per la vita del soldato Schofield. Sembra di rivedere le luci, le atmosfere del bellissimo duello finale nel cimitero in “007: Skyfall”.
L’idea di Mendes è quella di “schiaffeggiare” il pubblico e sfidarlo a non dover dire: ancora un film di guerra? Dunkirk, Salvate il soldato Ryan, Orizzonti di gloria non erano abbastanza? No, 1917 è qualcosa di diverso. Gli attori più conosciuti (Firth, Strong e Cumberbatch) fanno ruoli piccoli in modo che il pubblico non empatizzi con la notorietà delle star. E’ come se ognuno di noi percorresse questa strada assieme ai soldati, tra mille pericoli e l’ansia di poter saltare per l’aria. Ed ecco cavalli stramazzati al suolo, topi, fango, sangue, bombe e carni maciullate si impregnano tra di loro diventando tutt’uno.
Tuttavia la pellicola non è esente da difetti e problemi. La sua ambizione è anche il suo limite. Il film si vede che è schiavo dei tempi moderni e sa un po’ di furbata commerciale. Infatti scegliendo di non raccontare la guerra, Mendes si trova costretto a banalizzare tutto ad un esercizio di tecnica comprimendo di fatto la sceneggiatura. Durante il tragitto questi soldati sparano in tutto due volte. D’accordo vedono morti, il fuoco, il sangue che cola, ma sembra abbastanza irrealistico se si analizza invece la cosiddetta “guerra totale” che fu quella del 14-18.
Si sceglie volutamente di non approfondire e si lancia che gli stereotipi facciano come gli gnocchi quando sono cotti: tendono a venire in superficie. Sembra di fatto un’astuta via di mezzo tra cinema e videogame (sulla scia di Call of Duty). Lo spettatore si deve immedesimare nei due soldati e devono portare a termine una missione, sfidando vari livelli di difficoltà. La differenza sta in un fatto solo: qui l’esperienza è “passiva” (tra virgolette perché per me il cinema non è mai tale) perché osservi e non giochi. La tecnica prima della parola e dei dialoghi. La bravura di Deakins alla fotografia eleva l’esperienza visiva (merita sicuramente un altro Oscar), ma il videogame è una cosa e il cinema un’altra.
Tuttavia il messaggio c’è ed è abbastanza forte: il film intende elevare l’animo umano. L’Europa un secolo fa era popolata da un’accozzaglia di contadini di varie lingue che si dettero da fare per ottenere la propria libertà e per far star meglio loro e i propri figli. Queste persone hanno cambiato il mondo e hanno arricchito il Vecchio Continente fino ad ora. E’ doveroso fare un’analogia con quello che sta succedendo un secolo dopo in Europa ormai lacerata dall’egoismo e dal sovranismo. Non so però quanto questo paragone sia (sempre) voluto.
Candidato a 10 premi Oscar (un po’ troppi, al massimo ne merita 2: fotografia e sonoro), dopo Joker è il film con più chance. Insieme a Tarantino con C’era una volta a Hollywood e a Scorsese con The Irishman. Vedremo la notte del 9 febbraio. Ma per il miglior film, sappiatelo, Parasite quest’anno non ha rivali. Anche se, visto che non è americano, probabilmente non vincerà.
FONTI: Bad Taste, Comingsoon.it, Mymovies.it, Cinematografo.it, Cinematographe.it, Best Movie
Regia ***1/2 Interpretazioni ***1/2 Sceneggiatura **1/2 Fotografia ****1/2 Sonoro ****
1917 ***1/2
(USA, Gran Bretagna 2019)
Genere: Bellico, Drammatico, Biografico
Regia: Sam Mendes
Sceneggiatura: Sam Mendes, Kristy Wilson Cairns
Cast: Benedict Cumberbatch, Colin Firth, Mark Strong, Andrew Scott, George Mackay
Durata: 1h e 58 minuti
Fotografia: Roger Deakins
Prodotto da Dreamworks
Distribuzione italiana: 01 Distribution
Uscita: 23 gennaio 2020
Trailer Italiano qui
Backstage: qui
Speciale sul film: qui
10 candidature agli Oscar 2020
La frase: Questa guerra può finire solo in un modo: chi sopravvive, vince.
Immagine da www.linkiesta.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.