In Italia non c’è mai stata una rivoluzione. Una frase non rara da sentire nel nostro Paese, ripetuta nel recente passato anche da Mario Monicelli.
Errata, secondo quanto scrive Paolo Ferrero nel suo 1969: quando gli operai hanno rovesciato il mondo (DeriveApprodi, 2019), recente pubblicazione che idealmente prosegue il ragionamento avviato in Marx oltre i luoghi comuni. Si guarda al passato per immaginare un ruolo importante e propositivo per chi non è rassegnato a definirsi comunista nel XXI secolo.
L’operazione dell’autore persegue diversi obiettivi parziali, finalizzati verso una proposta complessiva di azione e riflessione. Centrale è la teoria per cui il ’69 ha rappresentato una cesura storica importante, in un contesto internazionale dove la Repubblica italiana ha registrato una sua unicità. A differenza del 1968, l’anno su cui si concentra il libro di Ferrero ha sofferto di scarsa considerazione nella logica del cinquantenario che si sarebbe dovuto celebrare nel 2019. Una rimozione voluta, perseguita con la cesura tra l’avvento della protesta giovanile che spinge la società dei consumi, seguita da una presunta ritirata di vuote proteste. Si vuole negare la rivolta operaia maturata a fine degli anni Sessanta come momento in cui sono mutati dei paradigmi del potere, in cui si è dimostrato come il sociale potesse esprimere una sua politicità al di fuori delle istituzioni. Un dialogo tra movimenti, sindacati e formazioni politiche capace di accompagnarsi alla fase di crescita economica, giunta a una pesante crisi di sovrapproduzione. Già preceduto da Giovanni Mazzetti che, nelle sue Dieci lezioni di critica dell’economia politica , denuncia la necessità di svelare la realtà in cui viviamo, rifiutando le menzogne di chi racconta di un mondo segnato dalla scarsità.
A differenza di Mazzetti, però, Ferrero non nega l’esistenza delle classi sociali, anzi descrive numerose analogie tra quelle di oggi e di mezzo secolo fa. I livelli di sfruttamento si sono estesi a tutto il tempo di vita, ma come allora esistono condizioni per una esplosione della situazione, che invece pare rimanere quieta.
Le tre parti del volume potevano forse trovare un equilibrio più semplice perchè un minimo di sforzo viene richiesto al lettore per le quasi 300 pagine del libro. Come di consueto lo stile dell’autore rende agevole il passaggio da un capitolo all’altro, grazie anche a un’estrema chiarezza nell’organizzazione delle argomentazioni. L’ordine logico scelto rappresenta l’unica seria perplessità infatti iI percorsosi articola in un’introduzione all’immagine del ’69 seguita da testimonianze dirette, su cui è basata la prima parte, per poi concludere in importanti pagine di proposte per l’immediato futuro. Si potevano forse ampliare maggiormente i primi capitoli, relegando le testimonianze a un’appendice, anche se questo avrebbe implicato il rischio di celare delle preziose voci ai meno ben intenzionati.
Il libro di Ferrero è uno strumento per agire nel presente. Poche sono le forze militanti e critiche verso lo stato attuale delle cose. Come organizzarle? Quali scelte intraprendere? Il ’69 è secondo l’autore un riferimento importante per i contenuti e le forme della lotta politica del domani. Una struttura di movimento organizzato diffuso, incentrato sulla democrazia consiliare e su una terza via mancata, frantumatasi negli anni Settanta, su cui il giudizio è netto quanto negativo, rispetto alla scelta della sinistra di misurare sul terreno della violenza e del potere (anziché di un’evoluzione del potere attraverso la politicizzazione del sociale, che cambia il mondo dal basso sviluppando in alto un immaginario coerente con la speranza di un positivo rinnovamento dell’unico mondo in cui viviamo la nostra sola esistenza).
Resta da capire come mai queste intuizioni non hanno saputo vivere nel partito sociale sperimentato da Rifondazione Comunista a ridosso dell’uscita dal Parlamento. La costruzione di comunità è auspicata come la via da intraprendere per le comuniste e i comunisti di oggi. Si tratta di una pratica ai limiti dell’impossibile rivedendo i rapporti interni alla luce di quel che sopravvive della sinistra di alternativa post-89 (in realtà si potrebbe significativamente ampliare questa parentesi storica).
Il movimento delle donne, quello per l’ambiente e una dura lotta per i diritti sociali: riusciremo a fonderle in un unico cammino, plurale ma unitario, con cui ridare speranze al futuro della popolazione italiana ed europea?
Facilmente si può mettere in dialogo il libro di Ferrero con il Manifesto socialista per il XXI secolo di Bashkar Sunkara, a confermare l’attualità di un libro solo apparentemente storico. Per l’autore statunitense quando propone il dirigente politico torinese è necessario e suggerisce di farlo all’interno delle grandi organizzazioni socialdemocratiche sopravvissute, sviluppando un movimento di massa capace di spostare verso il socialismo il senso comune dell’opinione pubblica. Impensabile per il contesto del vecchio continente, almeno pensando all’area mediterranea.
Quindi? Quindi è difficile non farsi divorare dal contingente, come invece ammette di aver fatto una testimonianza contenuta nel volume, in cui si ammette la difficoltà di vivere la quotidianità politica e al contempo tentare di farne oggetto di riflessione.
Le ultime pagine di 1969 sono importanti e capaci di dare speranza. Per la ricerca di compagne e compagni di lotta con cui condividere sforzi e sorrisi. Per costruire quella futura umanità col nostro impegno nel presente quotidiano.
Foto d’epoca da repubblica.it
Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.