È dal ministro degli Affari Esteri del Lussemburgo che arriva la nuova spinta al riconoscimento di uno stato per il popolo palestinese anche da parte dell’Unione europea. A inizio dicembre Jean Asselborn ha presentato all’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea una lettera in cui, fondamentalmente, si dice che è arrivato il momento per cui anche l’UE cominci a discutere del riconoscimento ufficiale dello stato palestinese. Non si tratta, infatti, una decisione ai danni di Israele quanto un elemento essenziale per portare avanti una politica di pace nella regione.
Ad un mese esatto di distanza, torniamo a leggere di UE e Palestina. Questa volta è lo stesso Alto rappresentate Josep Borrell a dichiarare illegali secondo il diritto internazionale gli insediamenti israeliani in Cisgiordania. La dichiarazione arriva in seguito all’annuncio della costruzione almeno 2000 nuovi insediamenti per coloni israeliani in territori palestinesi (in particolare in zone “delicate” come quelle vicino a Gerusalemme Est ed Hebron) e al riconoscimento di altri costruiti illegalmente in passato, anche su terreni privati di palestinesi.
Il Servizio di Azione esterna dell’Unione condanna fermamente la decisione, individuando in questa una delle principali ostacoli al raggiungimento di una soluzione pacifica che preveda il riconoscimento di sue stati. Si aggiunge una condanna alla violenza nei confronti dei civili palestinesi e che l’Ue non riconoscerà il cambiamento dei confini precedenti al 1967 (Gerusalemme compresa) che non sia accettato da entrambe le parti.
Si tratta di una presa di posizione chiara, in netta contrapposizione con il repentino cambio avvenuto con quanto affermato dal Segretario di Stato statunitense. Che Israele con il suo governo conservatore fosse tra i principali interessi internazionali degli Stati Uniti di Donald Trump è cosa nota: dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e della parte meridionale delle alture del Golan come territorio israeliano, arriva un passo indietro su quello che era stato un punto fisso della politica internazionale USA dal 1978. Mike Pompeo ha infatti dichiarato legittime le occupazioni dei coloni israeliani nei territori palestinesi, non solo ignorando il diritto internazionale ma anche quelle disposizioni del Dipartimento di Stato che da decenni vedevano nella pratica una violazione da cui prendere le distanze.
Tutto questo “interesse” per le nuove occupazioni di Israele arriva, tra le altre cose, a pochi mesi dalle elezioni. Elezioni anticipate (la terza tornata in un anno) che si terranno il prossimo marzo e che vedranno, nuovamente, Benjamin Netanyahu partecipare come candidato presidente per il Likud, dopo aver trionfato alle primarie del partito con oltre il 75% dei consensi alle primarie del Likud. Un Benjamin Netanyahu che punta moltissimo, in questa campagna elettorale, sulla realizzazione delle nuove colonie e del loro riconoscimento. Elemento che se in passato era importante per garantirsi l’appoggio dell’area più oltranzista e conservatrice del partito, oggi lo è ancora di più, dato lo scandalo delle tre inchieste per corruzione che lo hanno colpito negli scorsi mesi.
La campagna elettorale israeliana si inserisce in un momento difficilissimo per il Medio Oriente tutto, con l’acuirsi della tensione tra Stati Uniti ed Iran e, quindi, conseguentemente, degli stessi rapporti con Israele.
Questo veloce punto della situazione non fa altro che confermarci ciò che ci ripetiamo da anni: la fine del colonialismo israeliano nei territori palestinesi è un elemento imprescindibile per il raggiungimento della pace in Medio Oriente. L’accanimento contro il popolo palestinese continua da anni e la fagocitazione della sua terra da parte delle ruspe israeliane continua senza tregua, sempre più velocemente, quasi a voler cancellarlo materialmente dalla Palestina. Tutto questo reclama a gran voce un intervento della comunità internazionale.
Immagine da www.aljazeera.org
“E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa”
Cit.