Grazie a un mimetico Favino, Amelio mostra in “Hammamet” gli ultimi mesi di vita del leader del PSI
19 gennaio 2000, Hammamet (Tunisia). Il leader del PSI, Bettino Craxi, muore per arresto cardiaco. È stato il primo Presidente del Consiglio socialista (dal 1983 al 1987). Il PSI però ben presto si trasformò da partito di sinistra a partito ambiguo tendente alla destra. Nel 1989 venne eletto segretario del partito con percentuali “bulgare”: oltre il 92%.
Dal 1993 Craxi era scappato dall’Italia per via di “Mani pulite” e dello scandalo Tangentopoli che sancì di fatto la fine della cosiddetta “Prima Repubblica”. La reazione del politico fu ambigua: da un lato ammetteva il finanziamento illecito (vedi qui), ma più volte negava che, come dice nel film l’Ospite interpretato da Renato Carpentieri (ancora una volta magistrale), “qualcosa rimanesse attaccato alle dita” (vedi qui). Ma oltre a questo aveva capito che non si parlava più di popolo, ma di gente. Del popolo non gliene fregava nulla a nessuno.
Il vero grande dilemma su Bettino Craxi rimane il solito: è stato un uomo politico, corruttore, spregiudicato, “maleducato, manigoldo, malfattore, malvivente e maligno” (come dice il prete al Craxi bambino) oppure l’ultimo grande statista bersaglio di una “congiura di un sistema di nani che ne facevano parte”? Nessun regista aveva mai osato farci un film. Era una figura scomoda. Tale silenzio era assordante e insopportabile per Amelio che ha finalmente rotto questo vuoto. Craxi in effetti è un personaggio cinematografico molto difficile da fare, così come Berlusconi.
Il regista preferisce non dare risposte, sta allo spettatore individuarle. Tant’è che i personaggi hanno nomi camuffati (o addirittura anonimi) come faceva Sorrentino in “Loro”. La cosa però che salta subito all’occhio è che non fu esilio o latitanza quello di Craxi, ma contumacia. “Di Bettino si conosceva indirizzo e numero di telefono, ma forse era più conveniente non andare a prenderlo” – dice il regista difendendo con i denti la propria scelta. Già da questa chiave di lettura si capisce che Amelio ha voluto far questo film per capire l’attualità. Secondo il regista, oggi si fa politica senza sapere cosa sia esattamente. “Si va all’avventura inventando qualcosa, tanto per fare. Questa però non è vera politica, non è risolvere i problemi della gente. Vorrei avere un partito di riferimento, ma non riesco a trovarlo”. Craxi, secondo Amelio, è l’ultimo statista italiano nonostante “non abbia mai votato né lui né il suo partito”. E infatti la metafora dei garofani secchi, prosciugati che finiscono a terra forniscono l’indizio che il PSI non sopravviverà né fisicamente né resisterà all’egocentrismo di Bettino Craxi.
Tutto ciò è rappresentato, a livello tecnico, in maniera importante con un cambio di formato: il 4/3 è la narrazione normale, il 16/9 invece rappresenta il pensiero del politico. Ancora oggi in Italia ci sono sentimenti contrastanti sull’operato di Craxi: da una parte c’è chi crede che fu l’inizio della modernizzazione del Paese, dall’altra però pesano i suoi metodi corruttivi, la sua fuga e la sua amicizia con Silvio Berlusconi che, guarda caso, proprio nel 1994 prese la sua “eredità”. I suoi detrattori lo contestarono a più riprese: la scena più famosa fu il lancio delle monetine fuori dall’hotel Raphael a Roma nel 1993. Questo episodio venne considerato l’emblema della sua caduta. E nel film c’è una scena piuttosto importante dove molti turisti italiani in gita in Tunisia riconoscono Craxi e gli danno del ladro.
Tuttavia per Gianni Amelio quello non era un atto politico. “Oggi gli insulti sono all’ordine del giorno, persino in Parlamento, dove bisognerebbe ragionare su cose che riguardano i cittadini, una volta con un cappio, una volta con cartelli sgrammaticati e ingiuriosi. La degenerazione della politica è probabilmente iniziata proprio quella sera del 30 aprile 1993” – ha detto il regista al mensile Ciak. Ha ragione: infatti alle elezioni successive, nel 1994, iniziò il berlusconismo. E oggi non ne siamo usciti.
Il regista Gianni Amelio ci racconta in questo film gli ultimi 6 mesi di vita di Craxi (non a caso il titolo è Hammamet), come se si volesse distaccare dal controverso ex leader del PSI. Tra le location del film c’è infatti la vera tana tunisina. C’è anche una (non tanto sottile) ammirazione per Garibaldi da parte di Craxi (nella pellicola la moglie è chiamata Anita non a caso).
Il film, basato su testimonianze reali, è realizzato in tre tappe. 1 La caduta; 2 La figlia Stefania (Livia Rossi, già vista ne “L’Intrepido”) che lotta per “ripulire” la sua immagine; 3 un misterioso giovane, che entra nell’ambiente politico della famiglia Craxi, provando a demolirlo da dentro.
Ma non c’è solo il politico, soprattutto la vita privata e il contesto: siamo negli ultimi mesi del 1999. Il nuovo millennio sta per sorgere, l’Italia presto cambierà moneta e passerà all’Euro. Rischiando molto, Amelio finisce sulla scia di registi ambiziosi come Sorrentino (Il divo, Loro), Bellocchio (Il traditore, Buongiorno notte), Moretti (Il caimano). Il suo film si inserisce nel filone del racconto dei politici che hanno fatto la storia del nostro Paese. A differenza di loro, però, “Hammamet” è un film in due parti distinte: la prima notevole e ben inquadrata, la seconda molto lenta e compassata. Forse qualche sforbiciata serviva per imprimere maggior ritmo.
Il regista è come se si affidasse a un Pierfrancesco Favino in stato di grazia (anche il figlio di Bettino, Bobo Craxi, lo ha sottolineato), dopo la splendida performance offerta ne “Il Traditore” di Bellocchio. Mimetico nell’interpretazione, aiutato da un lavoro di make up (di Andrea Leanza) di incredibile realismo sullo stile di Gary Oldman / Winston Churchill de “L’ora più buia”. Ogni giorno per entrare nella parte gli servivano 5 ore di trucco e diverse protesi facciali. Favino si inserisce di diritto tra i grandi attori italiani impegnati politicamente dopo Herlitzka – Aldo Moro (Buongiorno notte di Bellocchio), Timi – Mussolini (Vincere di Bellocchio), Servillo – Andreotti e Berlusconi (Il divo e Loro di Paolo Sorrentino) o il Berlusconi di Nanni Moretti ne “Il caimano”. Senza dimenticare il mito Gian Maria Volontè (“Todo Modo” e “Il caso Aldo Moro”).
Favino è Craxi: vive come lui, cammina, parla con la stessa andatura, monta i soliti occhialoni, pare che abbia gli stessi dolori. Ma il lavoro più complicato è stata la voce. Qui si vede che attualmente l’attore romano, insieme a Servillo, è il miglior attore italiano. Favino parla come Craxi imitandolo alla perfezione. Sembra che Bettino sia tornato con noi. Se Favino fosse un attore americano, a quest’ora lo vedremmo agli Oscar a contendersi il premio per il miglior attore.
Questo è il pregio, ma anche il difetto del film: è come se, a tratti, Amelio rimanesse incantato a vedere l’exploit recitativo di Favino. L’unico che gli tiene testa è Renato Carpentieri nell’unica scena insieme a casa Craxi. Tuttavia “Hammamet” non è “Il divo”, ma sceglie la strada opposta: il realismo, mescolato ad allegorie, invece della deformazione grottesca del potere. Mentre sopra di lui consistenti e cupe nubi preavvisano che la tempesta sta arrivando: è il ciclone “Mani Pulite” (il manifesto del film in sostanza dice questo). L’ex magistrato e politico Antonio Di Pietro (sicuramente nel film è il “Giudice”), se azzecca il congiuntivo, può confermarcelo.
Ma attenzione a non fare come Il Fatto Quotidiano che ha bollato il film come craxiano. “Le opinioni si devono ascoltare anche quando si è in disaccordo, e si può criticare in modo corretto e non fazioso. Io ho preso in esame sei, sette mesi della sua vita per raccontare la lunga agonia di un uomo di potere che ha perso quel potere e che va verso la morte. Rappresento, racconto: l’uomo, e non il rapporto tra lui e la giustizia, e di certo non insulto nessuno” – ha detto Amelio in un’intervista. Nonostante questa giusta analisi, va detto, che probabilmente il film doveva spingersi un po’ di più e probabilmente il vero difetto è il non schierarsi apertamente. Troppe metafore, troppa indecisione nella seconda parte. Peccato perché Amelio e il suo team hanno gusto, ma non scelgono cosa fare mettendo troppa carne al fuoco. Non vogliono fare un biopic tradizionale e didascalico, ma l’effetto prodotto non sempre è quello sperato (nell’insieme).
L’interpretazione di Favino serve proprio a mascherare la mancanza di presa di posizione e a supplire alle indecisioni. Lo stesso attore romano puntualizza, tra le linee, che “nel fare questo film stavamo toccando la fine di una generazione. Craxi aveva nei confronti dell’Italia un senso di paternità. Si sentiva profondamente italiano. La leadership in quel periodo storico aveva un peso superiore a quello che ha oggi. C’era in politica una ricchezza di linguaggio che ti sorprendeva. Non a caso si parlava di scuole di partito. Mi domando se quel tipo di politica non sia sparita a vantaggio di un disinteresse che però consente altro”. Questo vuoto generazionale che purtroppo si avverte anche negli attuali limiti del cinema italiano. E anche la nostra industria cinematografica pare soffra dello stesso male di Craxi: è vittima di sé perché soprattutto ai tempi d’oro è stata troppo orgogliosa e arrogante. Non scordiamoci che prima erano gli italiani a insegnare in tutto il mondo come si fa cinema. Pare però che ce ne siamo dimenticati in fretta. Quel bambino che infrange il vetro con la fionda è il segnale.
Fonti: Mymovies, Ciak, Cinematografo, Comingsoon
Regia ***1/2 Interpretazioni ***1/2 Sceneggiatura *** Fotografia ***
HAMMAMET ***
(Italia 2019)
Genere: Drammatico, Biografico
Regia: Gianni Amelio
Sceneggiatura: Alberto Taraglio e Gianni Amelio
Cast: Pierfrancesco Favino, Claudia Gerini, Luca Filippi, Renato Carpentieri, Livia Rossi, Omero Antenutti, Giuseppe Cederna
Durata: 2 ore e 6 minuti
Musiche: Nicola Piovani
Fotografia: Luan Amelio Ujkaj
Distribuzione: 01 Distribution
Uscita: 9 gennaio 2020
Trailer Italiano qui
Interviste a Gianni Amelio e Pierfrancesco Favino qui
La frase: I danari per la politica sono come le armi per la guerra: mi spiace deludere qualcuno ma la democrazia ha un costo
Immagine da www.repubblica.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.