I ritmi di lavoro disumani e la disintegrazione dell’unità familiare, la “paura” del tempo libero. In Concorso a Cannes 2019
Il 2020 riparte da un film attuale, lucidissimo che pochi andranno a vedere. Mi dispiace deludervi, ma non è “Tolo Tolo” di Zalone. Portiamo subito rispetto a quell’indomito leone inglese, di nome Ken Loach. Un regista orgogliosamente di sinistra che ha fatto della sua professione una sfida: raccontare il mondo degli ultimi, la loro umanità, le loro condizioni. Sono onorato di scrivere la prima recensione del nuovo anno su un tema così importante. Una critica posata e costruttiva sulla società di oggi, sul disagio e sulla condizione del mondo del lavoro. Il sistema economico sembra impazzito e in pochi riescono a capire la direzione che sta prendendo. Sembrano cose anacronistiche, ma purtroppo questo cinema si può definire quasi neorealista.
La stragrande maggioranza della popolazione dovrebbe andare al cinema a vedere un film di questo tipo. Grazie a Lucky Red che si è impegnata a mostrarci un’opera assai importante (era in concorso all’ultimo Festival di Cannes). Si parla di mancanza di rispetto e di salvaguardia delle persone e del loro valore umano (non numerico), ma si parla anche di persone intrappolate, costrette a correre per continuare a far parte di un ingranaggio. Altrimenti sei fritto. Essendo un lavoratore autonomo con partita Iva, anch’io mi sento parte di questo piccolo grande film del maestro Ken Loach. Quello che il regista inglese, con il fido co-sceneggiatore Paul Laverty, racconta è reale e tangibile.
Come nel precedente “Io Daniel Blake” (leggi qui) siamo ancora a Newcastle. Qui vive la famiglia Turner: Ricky, dopo un periodo da disoccupato, fa il “padroncino” al servizio di una società di corrieri, la moglie Abbey fa assistenza a domicilio per anziani e persone in difficoltà con grande umanità. Con un magnifico contratto a zero ore. Spero per voi che non lo abbiate mai provato nella vita, non è tutta questa gran soddisfazione. Loach fa vedere che Ricky ha venduto l’auto della moglie per comprarsi il Van per poter esercitare la sua professione. La moglie è costretta a prendere i mezzi pubblici e questo fa aumentare la sua assenza dai figli. I giovani Turner sono Seb che fa il liceo, ama i graffiti, non ama la scuola e odia le autorità, e una sensibile figlia undicenne, Liza Jane, che è costretta a cavarsela perché i genitori devono “sbarcare il lunario”. Praticamente due caratteri opposti. La cosa è voluta per mostrare l’insita contraddizione esistente nella nostra società.Sarà proprio Seb la cartina tornasole dei problemi della famiglia Turner. Un’escalation che piano piano diventerà secca e tagliente. Il neoliberismo è un pugno nello stomaco. Dopo lo splendido “Io, Daniel Blake” (Palma d’Oro a Cannes 2016), la lotta prosegue. Già dall’ironico titolo (Sorry we missed you è lo slogan sugli avvisi di consegna dei pacchi, quando il proprietario non è a casa), si capisce che Ken Loach vuole raccontare progressivamente il deterioramento dei rapporti umani attraverso una famiglia che per campare si è dovuta “vendere”. I ritmi di lavoro hanno conseguenze degeneranti che vanno a rompere l’armonia familiare.
La teoria del regista inglese è lampante: lavorare troppo ti stanca, poi ti fa lavorare peggio. Risultato? Meno umanità. Il lavoro in franchising è un grande imbroglio. La schiavitù è ancora viva e vegeta. Oggi più che mai. La bomba sta per scoppiare. Un controsenso illogico visto che la famiglia Turner, come tante altre, è unita e si vuole bene. Con l’aumento degli acquisti online (Amazon è l’esempio più calzante), però, le consegne a domicilio sono aumentate a dismisura. Chiedete a chi fa di professione il corriere. Vi dirà che questo film è attuale e lucido. Ricky è intrappolato in una morsa che progressivamente lo stritola. Le consegne devono essere sempre di più e sempre più veloci. E non sempre la retribuzione è commisurata agli sforzi fatti. In più se non consegni o se ti ammali, devi pure pagare delle penali.
Loach critica aspramente lo Stato neoliberista che condanna i suoi cittadini a competere darwinianamente per (soprav)vivere. In questo senso la frase “non lavorerà con noi, ma per noi” rappresenta perfettamente la condizione di subordinazione del lavoratore a un sistema illogico. Non a caso il pagamento del furgone è a suo carico: eccoci affacciati su un’enorme terrazza (il precariato). Occhio, perché a forza di sporgersi si può precipitare nel baratro (schiavitù). In tal senso quella scritta finale “domestic waste only” (solo rifiuti domestici) sul cassonetto è emblematica. Anche se, va detto, il ritmo del film non è sempre omogeneo: le due accelerate finali, seppur funzionali al racconto, “stuccano” un po’. Tuttavia la “sparata” della moglie al capo del marito, il “re degli stronzi” Maloney, sa di liberatorio, ma un po’ facilotta e “populista” per i tempi che corrono. Come diceva Robert De Niro nell’eccellente “Bronx” (1993), anche per il grande Ken vale il motto “i veri uomini duri sono quei coglioni che vanno a lavorare”.
Ma ci sono dei limiti. La rincorsa al lavoro sembra essere l’unica priorità della società odierna. Per chi ce l’ha. Chi non l’ha deve per forza far parte della partita per tirare avanti. Bisogna considerarsi fortunati ad avere il lavoro, ci dice la retorica neoliberista. Questo in realtà è il vero limite del mondo di oggi, la vera prigione che ci ingabbia. L’altro vero tema del film è la paura del tempo libero del lavoratore. Oggi i dipendenti vengono costretti a orari “spezzatino” (stile supermercato) proprio per limitare la loro evasione e mantenerli concentrati solo nell’attività lavorativa. Andate a un colloquio nelle agenzie interinali e capirete (ho battuto tante capocciate, la lezione l’ho imparata sulla mia pelle).
Sorry we missed you è un film necessario, rabbioso, intenso che interpreta un malessere diffuso nel ceto medio: altro che sardine, questo è un urlo lancinante di dolore di gente che è stata lasciata sola a beccare le ultime briciole di pane come i piccioni. La classe media deve tornare ad essere libera. Occorre più politica dal basso, il buon senso e maggior rispetto per gli esseri umani. Non è una questione di libertà individuale, ci dice Loach. E’ una questione collettiva, ci riguarda tutti. Più il tempo passa e più che questo regista inglese diventa sublime, inarrivabile. Come un ottimo vino che invecchiando migliora. A partire da quella frase sui titoli di coda che svela il modus operandi di Ken Loach: “Grazie a tutti quei trasportatori che ci hanno fornito informazioni sul loro lavoro ma non hanno voluto che i loro nomi comparissero“.
Come dire: la realtà e le persone prima di tutto. Arrivare a 80 anni con questa lucidità non è da tutti. Ho avuto modo di conoscere e ascoltare Loach dal vivo nel 2004 al “premio maestri del cinema” a Fiesole. Oggi mi piacerebbe dirgli di tornare in Italia a fare un film sulle condizioni dei lavoratori autonomi con partita Iva, sui precari e sulle bugie delle agenzie interinali. Solo lui potrebbe fare un’opera su temi del genere.
Fonti: Cinematografo, Cinematographe, Mymovies, Comingsoon, Bad Taste, Film Tv
Regia **** Interpretazioni **** Sceneggiatura ***1/2 Fotografia ***1/2
SORRY WE MISSED YOU ***1/2
(Gran Bretagna, Belgio, Francia 2019)
Genere: Drammatico
Regia: Ken Loach
Sceneggiatura: Paul Laverty e Ken Loach
Cast: Kris Kitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor
Durata: 100 minuti
Musiche: George Fenton
Fotografia: Robbie Ryan
Montaggio: Jonathan Morris
Distribuzione: Lucky Red
Uscita: 2 gennaio 2020
In concorso al Festival di Cannes 2019
Trailer Italiano qui
Intervista al regista Ken Loach qui
La frase: Non lavorerà con noi, ma per noi
Immagine da www.mymovies.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.