In un mondo iperconnesso, siamo circondati dal digitale.
Fatture elettroniche, social media, e-book: dai documenti al tempo libero, dall’informazione alla sicurezza, la tendenza è quella di utilizzare sempre di più i device elettronici, indipendentemente dal campo in cui dobbiamo agire. Abbiamo delegato alla tecnologia la maggior parte del nostro lavoro in quanto grazie alla rivoluzione digitale miriamo a creare individui sempre più veloci, produttivi ed efficienti.
Peccato che spesso non siamo in grado di comprendere o accogliere le innovazioni tecnologiche; gli individui si trovano a dover affrontare un mondo sempre più accelerato, competitivo e non sempre riescono a stare al passo con gli strumenti digitali, anche se questi sono ormai indispensabili per la sopravvivenza nella società.
Una delle conseguenze di questa rivoluzione “imposta” è che ci troviamo a utilizzare quotidianamente degli utensili che nei fatti non sappiamo comprendere o usare appieno e che quindi ci possono trarre in inganno; siamo arrivati al punto che un analfabetismo digitale diffuso può compromettere la stessa cittadinanza attiva.
Per comprendere come l’analfabetismo digitale sia un problema basta analizzare il fenomeno delle fake news; questo è uno degli effetti più gravi della difficoltà da parte di moltissimi cittadini a comprendere il mondo digitale, in quanto la diffusione di notizie false mina uno dei pilastri fondamentali dello stato democratico, ossia il diritto a un’informazione plurima e correttai.
Nel contesto attuale, nonostante la digitalizzazione, la televisione rimane il principale strumento per informarsi, ed in Italia è il canale più utilizzato per apprendere le notizie. Internet però ha ormai quasi raggiunto il livello della tv, occupando il posto di un altro medium, quello che un tempo era il mezzo d’informazione per eccellenza: il giornale cartaceoii.
La carta stampata è ormai in crisi da anni e il suo lento e inesorabile declino ha portato la maggior parte delle testate ad aggiornarsi, creando il proprio sito web e dando priorità alla propria variante virtuale rispetto a quella tradizionale. Attualmente anche giornali importanti come Repubblicaiii sono molto più letti online che nella versione cartacea.
Dalla carta al formato elettronico cambiano la struttura, la grafica e il modo stesso di scrivere gli articoli: per adattare il contenuto delle informazioni ai dispositivi tecnologici si scrivono articoli più brevi, spezzettati in più paragrafi, aumentano le immagini e i contenuti interattivi, e la struttura del testo diventa più semplice, lineare. Le stesse grafiche dei giornali cambiano, diventando simili a quelle dei social network. Inoltre, nel giornale online la logica delle breaking news prevale ed è fondamentale aggiornare gli eventi in diretta. Questo comporta il rischio di avere poco tempo per verificare le fonti e quindi poter incappare in errori e/o di dover utilizzare immagini d’archivio per sopperire alla mancanza di materiale immediato. In questo modo aumenta il rischio di misinformazione (ossia di notizie errate o involontariamente false) e di notizie di scarsa qualità.
Una caratteristica dell’informazione online è che essa non viene reperita solamente dalle testate dei giornali e nei siti di notizie, ma viene cercata anche da altre fonti, quali i social network, in particolare su Facebook (che, nonostante sia in crisi rimane il principale social dopo Whatsapp): secondo i dati del Reuters Institute Digital News Report 2019 il 47% utilizza i social media per ricercare notizie. In questo caso le notizie sono lette ancor più superficialmente e non è raro il caso in cui le persone condividono e apprezzino determinati link senza leggere l’articolo, basandosi solamente sul titolo e/o sull’anteprima.
Anche il mezzo che utilizziamo per leggere le notizie online è rilevante e influenza il nostro modo di usufruire e comprendere le notizie. Attualmente sempre più gente legge gli articoli dal telefono cellulare, tant’è che nell’ultimo anno l’utilizzo del mobile per la fruizione di notizie ha superato di gran lunga l’utilizzo del desktop (del PC). Prendendo ad esempio il caso di Repubblica.it si può notare come secondo i dati SEMRush 2019, l’87% dei lettori proviene da mobile, mentre solo il restante 13% utilizza la versione desktop. Si tratta di un dato rilevante in quanto la lettura da uno schermo più piccolo è più complicata e risulta spesso più frettolosa e superficiale.
Questo contesto ci fa comprendere come il passaggio all’informazione online abbia di fatto diminuito la qualità dell’informazione nonostante ne abbia velocizzato e “democratizzato” la fruibilità e l’accesso. Questo non è l’unico problema dell’informazione online: da un lato il web ha permesso di avere notizie di prima mano in tempi rapidissimi, dall’altro è divenuto negli anni il principale mezzo per diffondere notizie false o non comprovate.
Non è un fenomeno nuovo: le notizie false sempre esistite (basti pensare alla “Donazione di Costantino”, un falso che ha giustificato la nascita del potere temporale pontificio) ma grazie al web queste sono riuscite a diffondersi velocemente su larga scala..
Internet è altamente inquinato dalle fake news, e queste si diffondono facilmente tra la popolazione anche grazie alla scarsa conoscenza generale dei meccanismi che regolano il web. Infatti, a causa dell’analfabetismo digitale spesso gli utenti non hanno gli strumenti necessari per riconoscere le informazioni vere da quelle false e prendono per vere tutte le fonti. In questo modo la persona rischia di perdersi nel marasma del web, dando la stessa affidabilità all’ANSA o a un sito di bufale. La diffusione delle fake news viene alimentata non solo dall’analfabetismo digitale ma anche dal fenomeno dell’analfabetismo funzionale: se non riusciamo a comprendere un testo complesso difficilmente riusciremo a comprendere se quella notizia è vera o falsa.
Questo fenomeno non riguarda solo le persone “anziane”, che si sono trovate costrette ad aggiornarsi in tempi rapidi, imparando a conoscere il mondo digitale in tarda età. Anche i cosiddetti “nativi digitali” hanno in realtà molti problemi nel navigare tra le notizie web: secondo due studi recentissimi che hanno avuto molta visibilità sui giornali, ossia l’OCSE-PISA (dicembre 2019) e l’indagine IEA (novembre 2019), i giovani avrebbero difficoltà a valutare la veridicità dei testi.
In particolare, l’OCSE-PISA rileva come i giovani hanno molte problematicità a comprendere un testo scritto di media difficoltà (solo il 5% dei quindicenni riuscirebbe a comprendere un testo e valutarne la reale attendibilità), mentre l’indagine IEA indica come solo il 2% dei tredicenni riesce a riconoscere online una notizia falsa da una vera.
Questi sono dati preoccupanti se si pensa che la comprensione e l’analisi di un testo, sia online che offline, sono i principali strumenti di sviluppo del pensiero critico, e in particolar modo la mancanza di queste capacità crea terreno fertile per rendere credibile una fake news.
Senza entrare nel merito di questi due studi (e delle criticità dei test e dei metodi di rilevazione utilizzati) e senza demonizzare le giovani generazioni (i precedenti test OCSE-PISA non davano risultati più incoraggianti), questi dati dimostrano come essere dei “nativi digitali” non significhi necessariamente avere una spiccata alfabetizzazione digitale. È vero, i nativi digitali sanno usare mediamente meglio lo strumento informatico, ma solo perché riescono ad interfacciarsi in maniera più immediata agli strumenti digitali, in quanto questi fanno parte della loro quotidianità da sempre; ma questo non significa che sono automaticamente dei “tuttologi” del computer in quanto non è possibile conoscere in maniera innata le leggi, i linguaggi e le strategie del web.
Insomma, l’analfabetismo funzionale e digitale sono problemi presenti in Italia, che riguardano tutte le generazioni e che compromettono l’accesso all’informazione e alla partecipazione democratica: se una persona non capisce quello che le succede attorno, non riesce a distinguere cosa è vero e cosa è falso è facilmente manipolabile e difficilmente comprenderà le ragioni strutturali del suo malcontento. In questo modo il cittadino è esposto al rischio di essere indignato e di protestare per le ragioni sbagliate, che vanno contro il suo reale interesse, e contro il benessere della cittadinanza in generale.
Un altro problema della comunicazione online, e che favorisce la disinformazione, è il fenomeno delle “echo chambers”, le camere d’eco.
L’individuo è portato a credere maggiormente alle notizie che confermano i propri ideali e tende a interagire con link e fonti che provengono dal suo stesso background o a leggere notizie diffuse da giornali o siti di cui si fida e che condividono le sue idee politiche, sociali e religiose. In genere Google e Facebook sono a conoscenza delle preferenze del singolo, in poiché, funzionando per algoritmi, analizzano i dati e le abitudini digitali degli internauti per cercare di profilarli al fine di mostrargli solo i contenuti che, almeno in teoria, dovrebbero essere di loro interesse. In questo modo, nei risultati dei motori di ricerca, nelle pubblicità e nell’homepage di Facebook l’utente troverà quasi solamente notizie che rispecchiano il suo modo di pensare. Nell’ambito del marketing questo meccanismo è utilizzato per andare incontro alle esigenze del cliente; nell’ambito delle informazioni, delle idee politiche o delle credenze religiose, il medesimo meccanismo diviene un luogo dove le convinzioni personali vengono amplificate, ripetute e rafforzate da un flusso di comunicazione continua. Questo fenomeno è diffuso soprattutto nei social network, in quanto, proprio come nella vita reale, tendiamo a fare amicizia con persone che hanno ideali affini ai nostro. Ci troviamo quindi in una situazione in cui la maggior parte dei nostri contatti condivide le nostre idee e i post che pubblichiamo. Di conseguenza i nostri contenuti divengono facilmente virali nella cerchia delle amicizie; si creano gruppi, scambi e luoghi virtuali legati agli stessi interessi. Gradualmente i contenuti che postiamo coinvolgono un numero sempre maggiore di individui, che si auto-confermeranno reciprocamente le stesse idee, postando contenuti simili tra loro. Condividendo questi ideali i diversi utenti diventeranno l’un l’altro “garanti” di un determinato pensiero e rafforzeranno la veridicità di quest’idea, al dì là che la fonte sia affidabile o meno.
Di conseguenza si creano delle camere di risonanza, che trasformano lo spazio web da luogo della pluralità delle voci a monologo, dove la singola opinione non si confronta con il resto del mondo ma solo con il proprio eco. All’interno dell’echo chamber non esiste la verità dei fatti, perché ciascun utente riceve e diffonde solo le notizie e i commenti con i quali concorda a priori e nessuno smentisce la sua idea.
L’individuo che si trova all’interno dello spazio della camera d’eco è così abituato ad essere “rassicurato” della veridicità delle sue idee che, nel momento in cui entra in contatto con un’opinione diversa dalla sua, si trova in difficoltà, in quanto deve affrontare la rottura del “bias confermativo”. Forte della convinzione di essere nel giusto, anche grazie al supporto degli altri membri della camera d’eco, è difficile che la persona ragioni realmente e accetti le critiche o le opinioni differenti.
Si crea in questo modo un circolo vizioso, che favorisce l’impossibilità del dibattito e del confronto, inasprisce il discorso pubblico e fomenta l’insorgere di fenomeni quali l’hate speech. Questo meccanismo è ben conosciuto dai creatori di fake news, che si servono del fenomeno delle Echo Chambers con l’obiettivo di creare destabilizzazione e diffondere idee di propaganda. Infatti, se si riesce ad inserire nelle “echo chambers” delle notizie forti e polarizzanti, utilizzando contenuti creati artificialmente che riescono a far presa sull’emotività e che confermano la visione del mondo dei membri della stanza d’eco, queste news riescono facilmente a diventare virali e ad essere condivise acriticamente, al di là della loro verificabilità. In questo caso fare un’operazione di “debunking” – ossia cercare di smascherare le bufale e mostrare alla persona che ha condiviso una notizia falsa – può risultare controproducente, in quanto avere un “nemico” radicalizzerà ancora di più la persona che è inserita all’interno dell’echo chamber. In tal modo la verità e l’accuratezza delle informazioni passa in secondo piano, poiché all’evidenza dei fatti viene preferita una comunicazione d’appartenenza, basata sulla cosiddetta “post-verità”iv.
La post-verità è quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza. Nella post-verità la notizia viene percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi concreta dell’effettiva veridicità dei fatti raccontati: in una discussione caratterizzata da “post-verità”, i fatti oggettivi – chiaramente accertati – sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica rispetto a comunicazioni di tipo emotivo, che fanno appello alla “pancia” della gente, o che confermano le opinioni personali.
Da una parte vi sono quindi dei lettori che non sempre hanno le capacità di comprendere come funzionano gli strumenti informatici e il linguaggio delle notizie online, che perciò rischiano di rimanere “intrappolati” e di fidarsi troppo delle post-verità; dall’altra parte c’è il mondo del web, che produce informazione ma che viene spesso inquinato di proposito dalla disinformazione e dalle Fake News.
Quando si parla di Fake News non si intende parlare di articoli imprecisi o di errori giornalistici, ma ci si riferisce principalmente a notizie che sono volutamente false: vengono create informazioni di sana pianta, prodotte fonti fittizie oppure vengono intenzionalmente distorte le notizie vere, per alterarne il significato.
Ma perché esistono persone che decidono di inquinare deliberatamente il mondo del web?
La manipolazione dei dati e delle notizie per tentare di influenzare i risultati elettorali è cosa nota ed è balzata agli onori della cronaca con il caso RussiaGate. Nonostante la parziale assoluzione di Trump, non si può negare l’esistenza di alcune organizzazioni o gruppi di individui che agiscono su commissione e costruiscono e diffondono le fake news attraverso BOT e campagne a pagamento per fini economici o propagandistici. La maggior parte delle persone che crea e diffonde notizie false non sono però organizzazioni, ma singoli utenti, “troll”, che vogliono destabilizzare il web o entrare nel business della disinformazione. Le finalità di queste fabbriche di disinformazione sono molteplici e molto spesso prescindono dal contenuto effettivo della notizia.
La gran parte delle persone o dei gruppi di persone che diffondono falsi articoli, immagini ritoccate o contenuti che distorcono la realtà agiscono sopratutto per motivi prettamente economici: una fake news, costruita ad hoc per essere accattivante e coinvolgente ha più possibilità di divenire virale e di essere condivisa, aumentando i guadagni pubblicitari. Spesso questo tipo di fake news si abbina al fenomeno del clickbaiting, ossia alla creazione di un contenuto web la cui principale funzione è quella di attirare il maggior numero possibile d’utenti, utilizzando ad esempio titoli altamente sensazionalistici. Non di rado viene fatto ricorso a personaggi famosi, politici, provocazioni o temi scottanti.
Molte fake news sono diffuse per motivi di satira, con lo scopo di voler smascherare la “credulità” delle persone. Farsi beffe dell’analfabetismo digitale diffuso porta alla creazione di finti contenuti che non sempre vengono compresi. Ciò avviene sia nel caso in cui le false notizie siano create a soli scopi umoristici o che esse siano create per narcisismo, cioè per sentirsi superiori alla media degli internauti.
Il problema in questo caso è che spesso un contenuto satirico creato con il solo scopo di far ridere riesce realmente a ingannare molte persone e si trasforma in materiale favorevole alle stesse idee che si vogliono sbeffeggiare.
Vi sono poi le notizie false create per diffondere complotti, idee che mettono in dubbio l’affidabilità dei media tradizionali. Se da una parte queste notizie sono diffuse e create da persone che credono realmente in quello che affermano e per cui non è possibile definirle delle vere e proprie Fake News, dall’altra non si può ignorare che moltissime teorie del complotto sono nate e sono state sviluppate per meri obiettivi economici e politici. Tra le fake news di questo tipo le più pericolose sono senza dubbio quelle riguardanti le notizie mediche, che offrono soluzioni a molteplici problemi, senza avere alcun fondamento scientifico, rischiando di mettere in serio pericolo la salute delle persone.
Spesso, per smascherare una fake news ci vogliono pochi secondi, il tempo di una ricerca su google o di caricare un’immagine per verificarne la fonte. Ma la velocità, il disimpegno, l’analfabetismo digitale e la fiducia nell’informazione online, soprattutto se condivisa da persone che stimiamo, non ci permette di ragionare sulla veridicità delle notizie o sugli eventuali punti critici. Conoscere come funziona il mondo digitale e della comunicazione online è il primo passo per un utilizzo consapevole del web e per rendere un po’ più dialogico questo strumento.
i La Corte, con la sentenza 7 dicembre 1994 n° 420, dichiarò che è necessario “garantire il massimo di pluralismo esterno al fine di soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione”, che, quindi, si pone come uno dei diritti fondamentali della società moderna.
ii Fonte: REUTERS 2019
iii Repubblica.it è il 7° sito più visitato in italia, dopo i “grandi”: google (.com e .it), facebook, wikipedia, youtube e amazon. (Dati SEMrush 2019)
iv Questo fenomeno è divenuto così rilevante che l’Oxford Dictionary ha coniato la parola “Post-truth” come word of the Year 2016.
Immagine da www.wikipedia.org
Nata a Treviso nel 1987, ha successivamente vissuto tra Bologna, Bucarest e Firenze. Femminista appassionata di musica, si interessa di politica, sociologia, antropologia e gender studies.