Lo scorso 15 ottobre la Legge di Bilancio 2020 è stata approvata salvo intese assieme al testo del Decreto Fiscale. La manovra, che aveva fin da subito come obiettivo primario quelli di trovare i fondi per bloccare l’aumento dell’IVA, dovrebbe approdare alle Camere in settimana, in notevole ritardo per via delle lunghe trattative interne alla maggioranza. Fra le novità più importanti, ci sono le cosiddette microtasse, fra cui la tassa sulla fortuna (vincite ai giochi), la plastic tax, sugar tax e robin tax (quest’ultima riguarda i concessionari di servizi pubblici), alcune delle quali fortemente addolcite. Sul fronte della spesa sono previsti in particolare lo stanziamento di nuove risorse per il programma “Industria 4.0”, il taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori dipendenti e voucher per l’asilo nido. Per contrastare l’evasione fiscale è poi previsto dal 2021 il “Bonus Befana” per tutti i cittadini che adotteranno pagamenti digitalizzati e con moneta elettronica. Come giudicare la manovra? Ne parliamo a 10 mani.
Leonardo Croatto
Piergiorgio Desantis
La manovra finanziaria 2020, oltre a essere in ritardo nell’approvazione, rappresenta plasticamente il governo in carica. Governo che si barcamena tra istanze opposte che si annullano; in pratica, una maggioranza arlecchino (parafrasando Giovanni Giolitti) riesce a galleggiare malamente. Anche alcune idee, come la plastic e la sugar tax, vengono sostanzialmente depotenziate dal partito personale no tax renziano, unitamente alla componente M5s facente capo a Di Maio. Eppure, in un mare così tempestoso, pieno di problemi e questioni aperte (Whirpool, Ilva, Bekaert solo per citare alcune) ci sarebbe bisogno davvero di scelte incisive, controcorrente; invece, l’azione governativa si limita a gestire l’esistente senza alcun piano per lo sviluppo, per l’occupazione e un piano industriale del paese. Le elezioni regionali saranno davvero dirimenti (in Emilia Romagna e poi in Toscana, tra le altre) per capire quanto potrà andare avanti questo raggruppamento di forze che, per cause esogene, si sono trovate insieme.
Dmitrij Palagi
Una manovra economica capace di far parlare di sé solo per quello che non è. Una difesa della situazione, tesa a scongiurare l’aumento dell’IVA, con piccoli assestamenti e una imbarazzante assenza di visione politica. Mentre Renzi imita la retorica di Berlusconi nel rivendicare la capacità di “non aumentare le tasse”. Un Paese definitivamente privo di un’identità nella visione di chi lo governa, sicuramente solo in minima parte diverso da quanto si sarebbe visto in un esecutivo 5 Stelle – Lega, in termini di interessi economici difesi e settori sociali di riferimento. Il centrosinistra si illude di potersi presentare come il responsabile buon amministratore, in questo ricercando la massima convergenza con i pentastellati. Tutta la questione è talmente povera di contenuti da essersi ridotta al dibattito sul valore simbolico della “plastic tax”. A fatica si sente la voce delle organizzazioni sindacali (confederali vedi qui. e di base), mentre politicamente la sinistra continua a essere dispersa. Quella parlamentare di fatto sparita nell’amalgama del Governo, quella fuori dalle istituzioni frastagliata e assente di una progettualità capace di compensarne quel deficit di esistenza tutto da colmare…
Jacopo Vannucchi
L’Huffington Post ha di recente definito Roberto Gualtieri come una sorta di Atlante che sostiene il governo con le sue sole spalle, sobbarcandosi l’onere di difenderne in televisione tutte le scelte e di rappresentarlo in un confronto, non solo a distanza ma anche in diretta, con il capo dell’opposizione Salvini [leggi qui].
La figura di Gualtieri rappresenterebbe dunque l’equivalente, per certi aspetti, di quello che fu Minniti nel gabinetto Gentiloni Silveri: il titolare di un importante dicastero, militante di partito ma con una storia fatta più di incarichi “tecnici” e di sfondo che di protagonismo in trincea, in grado di elevare un po’ di più la barriera contro gli attacchi degli avversari. Forse aiutato, ma forse anche danneggiato, dall’assenza desolante di leader: Conte che resta largamente insignificante come nel suo primo governo, Zingaretti totalmente non pervenuto, Di Maio all’angolo nel proprio partito e Renzi costretto a difendersi dalle continue campagne ostili.
Il vero padre del Conte II è stato proprio Renzi, che fondò la necessità di un accordo col diavolo 5s sull’evitare ad ogni costo l’aumento dell’Iva e in generale della tassazione. Alla fine un accordo nella maggioranza è stato raggiunto, anche con misure progressive (ad esempio la rimodulazione Isee del bonus asili nido), ma non basta migliorare il tenore di vita per strappare consenso alla destra (ricordiamo che nel 2001 l’Ulivo fu sonoramente bocciato alle elezioni, nonostante l’abolizione dei ticket varata dall’ultimo governo Amato). È necessario essere una coalizione, o se si vuole un fronte, ma non un’accozzaglia che si adatti alla descrizione salviniana di un governo “contro” tenuto insieme dalla paura delle elezioni. Per imprimere questa svolta è necessaria grinta e il coraggio di forzare le decisioni: cose che, dopo la parziale uscita di scena, a sinistra sembrano decisamente mancare.
Alessandro Zabban
La nascita del governo giallorosso è coincisa con la crescita dei consensi alla destra di Salvini e Meloni. Per recuperare credibilità il PD e il 5S erano chiamati a lanciare un forte segnale di attenzione ai temi sociali ed economici andando incontro alle esigenze di un ceto medio impoverito e sempre più sedotto dalla retorica sovranista. La legge di bilancio doveva insomma essere il primo tassello per togliere un po’ di benzina dal fuoco sovranista e soprattutto per ridistribuire un po’ la ricchezza. Ma la manovra che sta per essere approvata in via definita non sembra destinata a cambiare quasi nulla nella struttura economica e politica del paese. Intendiamoci, un tentativo di andare nella direzione giusta c’è, ma serviva molto più coraggio. È vero che la maggioranza era prima di tutto chiamata a trovare le risorse per evitare l’aumento dell’IVA, che avrebbe avuto un effetto devastante sui consumi, ma proprio per questo occorreva riformare molto più profondamente il fisco, in senso molto più redistributivo. Si è optato invece per delle minitasse destinate ad avere un ruolo estremamente marginale dal punto di vista fiscale. La più utile di queste, la plastic tax, che avrebbe potuto avere un impatto piuttosto importante almeno dal punto di vista ecologico, è stata profondamente depotenziata dopo le forti pressioni di Renzi, accusato di stare troppo dalla parte delle multinazionali persino dal PD (!). Molto più timide rispetto alle prime dichiarazioni anche le misure anticorruzione, “manettare” secondo la destra, ma che di fatto si traducono in qualche incentivo ai pagamento digitali. La timida diminuzione delle tasse con l’abbassamento del cuneo fiscale è anche questo uno strumento non redistributivo sulla falsa riga degli ottanta euro di Renzi. Poche anche le novità per una sanità e un’istruzione al collasso. Insomma, se l’obiettivo era quello di lanciare un segnale forte, Salvini può dormire sonni tranquilli.
Immagine da www.wikipedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.