La storia dell’autrice di quello che è un libro strano e particolare è spesso di per sé eccezionale. Emil Ferris nasce in una famiglia di artisti di Chicago, e per tutta la vita lavorativa si occupa di illustrazione e design come freelance. A quarant’anni contrae una forma particolarmente grave di infezione da virus West Nile, che la lascia temporaneamente paralizzata dalla vita in giù e la priva della funzionalità della mano destra. Superata la malattia, nel difficile contesto della riabilitazione, lavora alla prima parte di quella che diventerà la sua prima graphic novel, My Favourite Thing Is Monsters, cresciuta poi fino a sembrare impubblicabile e a promettere un sequel.
La mia cosa preferita sono i mostri – questo il titolo italiano, nella traduzione di Foschini, ovviamente Bao Publishing – riprende idealmente un quaderno rilegato con spirale metallica, sulle cui pagine trova spazio il diario della protagonista. A complemento di questa scelta di base le tradizionali griglie delle tavole sono abolite, a favore di una costruzione grafica a tutta pagina, in cui la posizione dei singoli componenti diventa parte di una stuttura di segni più ampia, fatta di disegni perlopiù eseguiti con penna a sfera, rapporti tra colori spenti e sprazzi più luminosi e ampie finestre di testo, invero non sempre facilissime da leggere (ma è una scelta legittima e forse strumentale a sottolineare il carattere diaristico della narrazione).
Elementi veri (i molti quadri), verosimili (le copertine delle pubblicazioni pulp), citati e mutati (un petulante Trump-becchino, le divinità del mito) accompagnano una narrazione grafica di finzione che omaggia i sinistri umani raffigurati dall’arte della Neue Sachlichkeit weimariana con personaggi che, come quelli, sono più mostruosi di qualunque incubo e fantasia. Una verità che starà alla protagonista-narratrice – una giovanissima ispano-americana che si raffigura come un lupo mannaro da fumetto horror per ragazzi, un mostro “buono” tra uomini mostruosi – scoprire, scavando nel mistero della strana morte e dell’altrettanto strana vita di una vicina bellissima e tormentata, una ebrea tedesca sopravvissuta alla Shoah, destreggiandosi come possibile tra una difficile vita familiare e l’odiosità quotidiana e gratuita della gente. Il tutto nel contesto dei quartieri poveri della Chicago dei tardi anni ’60, abitati da immigrati, rottami umani e inquietanti presenze – tanto del presente quanto del passato.
Un
Bildungsroman sui
generis che diventa un viaggio tra densissimi strati di simboli
interrelati (da Anka-Ankh in giù) che ci parlano della distanza tra
vita e morte quanto della ripugnante essenza eterna del fascismo, di
temi che riguardano l’esistenza individuale quanto del destino
dell’Occidente, il tutto senza appesantire quella che rimane una
lettura piacevole e divertente, anche se certo non breve e con
qualche momento “lento”.
Una graphic novel strana e
particolare, si è detto, tanto che il lettore “medio” (detto in
senso assolutamente neutro) rischia di perdersela senza avergli dato
la necessaria possibilità; ma per questo una delle opere più
interessanti – e uno dei più notevoli sforzi di ridefinire le
possibilità del medium fumetto
– degli ultimi anni, a livello internazionale.
Emil Ferris, La mia cosa presferita sono i mostri, Bao Publishing, 2018, 416 pp., 29€.
Immagine Emil Ferris/Bao Publishing (dettaglio)
Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all’Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università degli Studi di Torino. Mi interesso di epistemologia delle scienze sociali, filosofia politica e del diritto, antropologia culturale e storia contemporanea. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l’animazione, i fumetti ed il vino.