È dura ammetterlo, ma il binomio cinema-motori difficilmente ha prodotto film di qualità. In diversi ci hanno provato, ma finora soltanto Ron Howard con “Rush” è riuscito nell’impresa di far qualcosa di livello. Ringrazio la 20th Century Fox Italia che, da appassionato di corse, mi ha dato modo di vedere “Le Mans 66” in anteprima. Effettivamente mi ha fatto un bel regalo.
Il regista James Mangold, già autore di Walk the line, Logan e del remake di Quel treno per Yuma, sembra aver capito la lezione di “Rush” (vedi qui): nonostante il titolo originale alluda alla sfida tra Ford e Ferrari nel 1966 sul leggendario circuito di Le Mans, qui il vero duello è un altro. Nel film di Ron Howard il duello tra Lauda e Hunt in Formula 1 negli anni ’70 era una battaglia tra due caratteri completamente opposti: l’austriaco perfezionista e totalmente devoto al suo lavoro, l’inglese donnaiolo e amante della bella vita. Per una volta il (non entusiasmante) titolo italiano fa capire che ci occuperemo di altro. La Fox in Italia ha dovuto modificarlo per una questione di diritti (probabilmente legati ai marchi).
È un western su pista dove al centro c’è l’ossessione di due uomini, diversi ma simili allo stesso tempo, che vedevano nella velocità su pista la pienezza del mondo e la soddisfazione vera di starci. Tuttavia siamo lontani dai capolavori di Clint Eastwood che di solito mette nei suoi film molta umanità. I concetti qui sono all’acqua di rose e probabilmente nemmeno Clint digerirebbe questa retorica. Vi ricordo che la 20th Century Fox è entrata nell’orbita Walt Disney. Questo spiega molte cose. Questo film, per lunghi tratti, gronda retorica sul patriottismo a stelle e strisce che si digerisce come un hamburger a 6 piani del McDonald’s. Ma l’incongruenza più grande è che poi il grande nemico diventa, ancora una volta, il capitale, incarnato da Henry Ford II (Tracy Letts). Una contraddizione non da poco visto che nella prima parte il capitalismo americano è osannato. Negli anni ’60 la Ford era pronta a ogni nefandezza pur di prendere mercati, di aumentare i profitti.
Eppure da italiano devo dire che è veramente brutto vedere che la retorica americana mostri la Ferrari una fabbrica di mafiosi imbroglioni capace di influenzare le gare. Anche perché se andiamo a vedere bene, la catena di montaggio l’aveva inventata proprio Henry Ford nei primi del Novecento. “Il fordismo” poi venne studiato da seguaci illustri come Olivetti e soprattutto da Agnelli che, guarda caso, poi acquisì parte della Ferrari (approfondimento qui vedi qui). Tuttavia immaginate il passo falso che gli americani avrebbero fatto mostrando una piccola azienda italiana di Maranello che batte un colosso a stelle e strisce. L’american dream sarebbe andato a farsi fottere. Al netto di tutto ciò, però, il film di Mangold mostra diversi elementi positivi. Vi spiego perché.
1959. La 24 ore di Le Mans è vinta dal pilota Carroll Shelby (Matt Damon). Un’impresa che provocherà in lui delle conseguenze. Carroll è affetto da un problema cardiaco e deve abbandonare le corse. Tuttavia la vittoria della corsa francese è un’esperienza totalizzante per un pilota. A causa della sua precaria salute, è costretto a dedicarsi a disegnare e a vendere auto per sopravvivere. Un giorno Henry Ford II (dicitura meritevole visto che era un vero e proprio “Re Sole”) chiede a Shelby di progettare una macchina capace di battere la velocissima Ferrari per la 24ore di Le Mans del 1966.
La casa italiana è anni luce avanti nella messa a punto e nelle prestazioni. L’impresa della Ford resta una sfida difficilissima perché la casa di Maranello vinceva ininterrottamente la corsa dal 1960.
A rendere complicati i rapporti tra Ford e Ferrari è la trattativa del 1963: Enzo Ferrari (Remo Girone piuttosto macchiettistico) chiude il rapporto con Henry Ford quando capisce che gli americani vogliono comprare la Ferrari solo per fare soldi. In ogni caso, va detto, è un classico film con temi americani. Della Ferrari e degli italiani non gliene frega niente. La retorica americana fa credere che Ford e Ferrari fossero quasi pari, invece la differenza era netta. Il nesso va trovato altrove: il film è un gigantesco intrigo che parla del limite (della velocità, ma anche nell’andare oltre nelle sfide della vita quotidiana) insito in ognuno di noi. Non è uguale in tutti.
Se prendiamo il film da questa chiave di lettura (quella realista) diventa interessante, se si prende dall’altro punto di vista (l’apparenza) il film si può considerare ripetitivo e già visto. Come sempre più spesso succede in determinati filoni del cinema hollywoodiano. Shelby chiede aiuto all’amico pilota Ken Miles (ruolo cucito su misura per Christian Bale). Un collaudatore inglese di gran talento, dal carattere complicato: in realtà invece è una persona testarda, orgogliosa, irascibile, carismatica, ma anche un orgoglioso passionale e “ricercatore del merito”. Miles non ama le logiche commerciali, ma dà più importanza al singolo individuo all’interno della collettività. Un pilota che ricerca ogni volta il giro perfetto (stupenda in tal senso la scena in cui insegna al figlio il concetto di limite guardando l’orizzonte). L’interpretazione di Bale è sublime ed è difficile per il pubblico non stare dalla sua parte. La sua performance fisica è lodevole: sia nei movimenti che nella postura, oltre che nell’aspetto fisico (è di una magrezza incredibile). Sicuramente merita almeno la nomination ai prossimi Oscar.
“La vittoria non si può comprare, ma si può comprare chi ti potrebbe aiutare a vincere” – questa è la tesi di Shelby. Menomale che non è italiano e non conosce la Juventus, altrimenti si sarebbe ricreduto.Così per la 24 ore di Le Mans del 66, sperimentano la nuova Ford GT40.
La vita diventa come la massacrante corsa: chi ha più velocità, resistenza (e un pizzico di fortuna) riesce ad arrivare fino in fondo e magari a vincere.
Un film che ha un impianto da film americano classico (compresi i cliché sugli italiani): c’è qualità, cinema d’autore, intrattenimento, spettacolo, due grandi attori (Damon e Bale in gran forma). Non potrebbe essere altrimenti perché la durata è di 2 ore e mezzo che scorrono piuttosto fluide. Lo spettatore medio oggi è abituato alle puntate delle serie tv che durano più o meno un’ora.
Ma la vera sfida è quella tra il pensiero individualista del capitale e quello senza regole della persona singola che non le accetta: per il primo chi è contro deve essere annientato per far sì che la massa non si accorga dei meccanismi imposti.
Questo film mostra che non sempre chi è al potere vince. Ken e Carroll usano il loro talento per dimostrare al sistema che il loro modo di vedere il mondo non è sbagliato. Mangold ci dimostra che dobbiamo recuperare il nostro lato squisitamente umano. Meglio il talento dal carattere difficile che mantiene la sua umanità rispetto all’uomo da copertina costruito dal marketing. Ed è difficile dire questo in tempi dove sembra più importante far tutto in fretta e furia invece di far le cose nel mondo migliore. Un gran bel film dall’impianto classico, dalla solida morale nel senso che c’è una netta contrapposizione che un sistema che intende corrompere (se è necessario) e qualcuno che non si vende a nessun prezzo. Shelby è colui che non solo cerca, ma che si prodiga a difendere il talento degli altri. Specie con uno come Miles che non appartiene a lobby o elite di alcun tipo. Non si riesce a staccare gli occhi dallo schermo. Le immagini delle corse sono splendide. La regia di Mangold ci fa sentire l’adrenalina (come accadeva in “Mad Max Fury Road” di George Miller), ci fa salire sui cordoli, ci fa respirare l’odore di asfalto, di olio intriso alla benzina. Al resto ci pensa il carisma della strana coppia Damon – Bale. Curiosamente quest’ultimo doveva interpretare Enzo Ferrari in un prossimo biopic di Michael Mann, ma ha dovuto abbandonare il ruolo perché non faceva in tempo a prendere il peso per entrare nel personaggio. L’attore gallese, qui con un marcato accento inglese (che purtroppo scompare nella versione doppiata), è particolarmente credibile come è accaduto in diversissime prove della sua carriera. Tra queste viene da citare, rimanendo nell’ottica della performance del film, quella di “The Fighter” che gli dette l’Oscar nel 2010.
FONTI: Cinematografo, La scimmia pensa, Mymovies, Comingsoon, Cinematographe
Regia ***1/2 Interpretazioni **** Sonoro **** Sceneggiatura *** Fotografia **** Doppiaggio ***
Le Mans ’66 – La grande sfida ***1/2
(USA 2019)
Titolo originale: Ford vs Ferrari
Genere: Azione, Drammatico
Regia: James Mangold
Sceneggiatura: Jason Keller, John Henry e Jez Butterwurth
Ftografia: Phedon Papamichael
Cast: Matt Damon, Christian Bale, Tracy Letts, Josh Lucas
Durata: 2h e 32 minuti
Distribuzione: 20th Century Fox
Uscita: 14 Novembre 2019
Trailer Italiano qui
Budget: 100 milioni di dollari
Intervista al regista James Mangold qui
La frase: La vittoria non si può comprare, ma si può comprare chi ti potrebbe aiutare a vincere
Immagine da www.repubblica.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.