La descrizione del mondo che ci circonda, obiettivo principale della ricerca scientifica, e fondamentale per qualsiasi prospettiva applicativa, necessita di tassonomie. Per tassonomia intendiamo lo studio, e la pratica, della classificazione; per quanto a sentire la parola ci venga immediatamente in mente un entomologo davanti ad una scatola piena di insetti spillati, sono tecnicamente tassonomie anche la classificazione dei diversi tipi di birra, di diversi tipi di stella o di diversi generi e sottogeneri musicali. Nelle scienze la tassonomia rappresenta uno strumento scientifico, che ci permette di individuare univocamente un oggetto, tracciandone le caratteristiche in un sistema gerarchico, di caratterizzarlo univocamente con un codice e di evitare ambiguità.
Per quanto qualsiasi sistema di codifica alfanumerica possa tecnicamente sopperire alla bisogna, in un contesto di tassonomia biologica si utilizza un sistema di nomenclatura binomiale, in cui il nome di un organismo è formato da due parole in greco o latino (lingue franche degli scienziati nel periodo in cui il sistema è stato codificato): un genere (scritto in corsivo e con la prima lettera maiuscola) e un epiteto specifico (scritto in corsivo, e tutto in minuscole). Il motivo di questa scelta è presto detto: si tratta di un sistema più parsimonioso di una breve descrizione, ma più semplice da ricordare di un codice alfanumerico senza significato.
I primi nomi scientifici tendevano a cercare di dare una brevissima
descrizione dell’organismo: Linneo, nel descrivere il tricheco, lo
chiama Odobenus rosmarus, che significa “cavallo di mare che
cammina con i denti”. Tuttavia, a un certo punto iniziamo a
renderci conto che il numero di parole greche e latine disponibili e
utilizzabili per descrivere un organismo è limitato; possiamo, però,
dedicare quell’organismo ad un collega di cui abbiamo stima. Un
gran numero di nomi scientifici sono, di fatto, “dediche” a
persone che hanno dato un contributo alla scienza – tra le
poche specie che ho descritto finora, o alla cui descrizione ho
partecipato, cinque sono dedicate a scienziati, spesso in relazione
ad un particolare contributo dato allo studio di uno specifico
ambiente o uno specifico gruppo di organismi. Tuttavia, la sesta
specie, Exogone sophiae, è dedicata a mia sorella; questo
perché anche i tassonomi hanno una vita sociale e delle relazioni
affettive.
Ma siccome i tassonomi hanno anche degli
interessi culturali o politici, può succedere che dedichino la
loro specie non ad un parente, ma ad un artista di cui hanno
particolarmente stima o a un politico che ammirano. Non sono in
molti, almeno tra il grande pubblico, a sapere che, tra i granelli di
sabbia di alcune spiagge della Toscana, della Sardegna e della
Sicilia, vivono tre minuscole specie di verme piatto, Parotoplana
ambrosolii, P. impastatoi e P. livatinoi, dedicate
rispettivamente a Giorgio Ambrosoli, Peppino Impastato e Rosario
Livatino.
Uno a questo punto potrebbe legittimamente chiedere cosa ci sia di
male a dedicare una specie a una persona che si è battuta contro la
mafia pagando con la vita, e l’ovvia risposta è assolutamente
niente.Il problema, però, è che non sempre gli
scienziati hanno dedicato le loro specie a magistrati e giornalisti
antimafia; il caso più conosciuto, e più eclatante, è
rappresentato da un piccolo coleottero di grotta, Anophthalmus
hitleri, dedicato esattamente a chi pensate sia dedicato.
Per
questo motivo, in un circostanziato
articolo, il biologo della conservazione David Shiffman
afferma che non solo dovremmo smettere di dedicare le specie a
persone orribili, ma che dovremmo seriamente considerare la
possibilità di cambiare alcune dediche storiche – A.
hitleri, tra le altre, ma non solo. In particolare, uno dei casi
riportati, Uta stansburiana, è paradigmatico: questa piccola
lucertola degli Stati Uniti occidentali è un modello molto
interessante per studi etologici, ma è stata dedicata a Howard
Stansbury, militare ed esploratore statunitense, il che, nel XIX
Secolo, significa genocida fiero e consapevole di nativi americani.
Ora, l’idea di fare più attenzione alle dediche che
intendiamo fare, magari domandandosi se sia opportuno dedicare una
specie al tuo gatto defunto (in
pieno stile Edipo e il suo complesso)
o all’orrido dittatore assassino che in questo momento
governa il tuo paese, è difficilmente criticabile.
Più problematica, invece, è l’idea di emendare i nomi dedicati a
persone orribili del passato, e questo per due motivi. Il primo
motivo è strettamente tecnico, ed ha a che fare con la stabilità
nomenclaturale, termine complicato che significa sostanzialmente
la necessità di continuare a capirci quando parliamo dello stesso
organismo.
La nomenclatura zoologica è regolata da un codice,
il Codice Internazionale di Nomenclatura Zoologica, che contiene una
serie di regole, regolette e codicilli scritte da persone
ossessivo-compulsive per altre persone ossessivo-compulsive, che
hanno il fine ultimo di rendere il più stabili possibile i nomi
scientifici, in modo da fare in modo che la comunità scientifica sia
il più possibile unanime sul nome da usare. Questo viene ottenuto
sostanzialmente attraverso un principio di priorità (il primo
nome usato per identificare una specie risulta valido) e di univocità
(due organismi diversi non possono avere lo stesso nome, almeno
all’interno dello stesso regno); ovviamente c’è una serie di
eccezioni: se un nome impiegato tardivamente è molto usato, e nomi
precedenti riferiti alla stessa specie sono poco usati, si può
decidere di fissare il nome più usato nonostante sia più recente.
Non si può, però, decidere di cambiare un nome perché non
descrive adeguatamente l’animale cui è riferito: l’uccello del
paradiso Paradisaea apoda si chiama così perché i primi
uccelli del paradiso che arrivarono in Europa impagliati erano stati
privati delle zampe, in un tentativo pedestre (ma efficace) di
supportare l’idea che questi uccelli venissero realmente dal
paradiso. Adesso sappiamo che l’uccello del paradiso è un uccello
che vive in Nuova Guinea e non nel paradiso, e come tutti gli altri
uccelli ha le zampe, ma il nome rimane quello, inadeguato ma
conosciuto, che gli diede Linneo.
La stessa prassi dovrebbe
valere per quanto riguarda le dediche: come nel chiamare l’uccello
del paradiso Paradisaea apoda non c’è nessuna intenzione di
sostenerne la soprannaturalità, allo stesso modonell’uso
corrente di Uta stansburiana non c’è la volontà di
omaggiare Stansbury, ma semplicemente di continuare a capire a che
organismo si fa riferimento.
Al tempo stesso, la prospettiva di cambiare i nomi scientifici in
nome del politicamente corretto appare miope perché legata ad un
momento storico, e ad un contesto politico, in cui l’informazione
è immediatamente disponibile a tutti gli scienziati interessati
attraverso internet, e nel momento in cui Uta stansburiana venisse
rinominata con un nome più accettabile, tutti ne verrebbero
istantaneamente a conoscenza. Questo è realtà in relativamente
pochi stati, non sappiamo se e quanto durerà (se accedere alle
informazioni diventasse più difficile, sarebbe un assoluto autogol)
e non risolve il problema del confronto con la bibliografia storica,
che continuerà ad essere riferita a Uta stansburiana e, in
buona parte, non è disponibile in rete.
Shiffman porta ad
esempio della fattibilità di questo processo la cernia gigante
australiana, in cui il nome comune di jewfish (pesce ebreo) è
stato sostituito con un più politicamente corretto goliath
grouper (cernia golia), facendole incidentalmente cambiare
schieramento. Il paragone tuttavia non regge: un nome comune è un
nome utilizzato in un contesto di non addetti alla materia, in cui lo
stesso organismo ha spesso più nomi anche all’interno della stessa
area linguistica e lo stesso nome può riferirsi a più organismi,
perché l’obiettivo non è identificare esattamente un organismo,
ma definire un insieme di organismi, in genere in relazione ad uno
scopo pratico.
Il secondo motivo per cui l’idea di emendare i nomi scientifici riferiti a persone orribili è tutto men che buona è invece di tipo sociale e culturale, ed ha a che fare con cosa significhi essere una persona orribile. Per fare un esempio, mentre tutti siamo d’accordo che Adolf Hitler e Howard Stansbury rientrino a pieno titolo nella definizione, nel caso di Freddie Mercury la prospettiva non è così univoca. Come rockstar dalla vita sessuale disinvolta, apertamente non eterosessuale, Freddie Mercury è oggetto di stima ed ammirazione da parte di una parte dell’umanità; per gli stessi motivi, altri lo considerano una persona orribile, in maniera non dissimile da Hitler e Stansbury. Il verme polichete Eurysyllis mercuryi, descritto qualche anno fa al largo della Spagna, ha un nome criticabile? Deve essere visto, come nelle intenzioni dell’autrice, come un gesto di omaggio verso un artista da ammirare, o deve essere emendato, dato che celebra un personaggio che sicuramente disturba una parte non trascurabile di umanità? In altre parole: chi decide se una persona è orribile o no?
Il problema è meno trascurabile di quel che si potrebbe credere, perché l’idea di poter oggettivamente stabilire chi merita di essere commemorato e chi no è totalmente infondata (non tutti i casi sarebbero univoci quanto la condanna di Hitler), ma rappresenta un’ottima apertura in direzione di una censura generalizzata in nome del politicamente corretto, che rischia di unire orridi dittatori assassini e rockstar sessualmente non allineate in un’unica scatola di intoccabili, chiudendo con questo qualsiasi dialettica. Ora, il punto non è discutere di perché Hitler e Freddie Mercury non siano la stessa cosa; il punto è che la garanzia di mantenere quel minimo di riconoscimento che arriva dal verme di Freddie Mercury per chi in qualche modo si riconosce nella sua figura è abbastanza per tollerare che il coleottero continui ad essere dedicato ad Hitler.
Un ultimo commento conclusivo. A causa del suo nome, l’altrimenti
poco appariscente A. hitleri è diventato oggetto di ricerca
spasmodica da parte dei neonazisti, che amano tenerne uno in camera
tra una svastica e un fascio littorio. Solo che gli ambienti di
grotta sono ambienti delicati, che ospitano poche specie, di solito
con distribuzione molto limitata e necessità ecologiche molto
strette, per cui la raccolta eccessiva (per un nome!) sta
mettendo in pericolo questa specie endemica della
Slovenia.
Questo è l’unico motivo sensato per cui cambiargli
il nome.
Immagine di tanakawho (dettaglio) da flickr.com
Joachim Langeneck, assegnista di ricerca in biologia presso l’Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell’ambito dell’etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.