Tre eventi verificatisi nella scorsa settimana, in tre diversi àmbiti europei, costituiscono un buon punto di partenza per analizzare il quadro politico attuale nei suoi tratti essenziali.
In Italia ha destato scandalo – almeno nel settore progressista dell’opinione pubblica – il rifiuto dei partiti di centrodestra e destra di sostenere l’istituzione di una «Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza». Le motivazioni addotte, capziose se non offensive, ruotavano tutte attorno alla considerazione che il concetto di “odio” sarebbe troppo indistinto per poter assicurare che quella Commissione non divenga un ente di purga politica nei confronti di chi esprime contrarietà al riconoscimento delle famiglie omogenitoriali, alla presenza di popolazione di fede islamica e all’ingresso di immigrati sul territorio italiano.
Naturalmente l’odio non è indistinto, tanto da essere codificato dalla legge Mancino, la cui abolizione è stata ripetutamente chiesta dalle forze apertamente nazifasciste e anche della Lega. Salvini disse che «alle idee, anche le più strane, si risponde con le idee, non con le manette».[1] Come se istigare alla violenza o diffondere messaggi discriminatori fossero, appunto, “idee” e non atti criminosi. Per quanto riguarda il diritto di asilo e il diritto alla libertà di culto, essi sono riconosciuti dalla Costituzione italiana e tutelati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
È però vero, purtroppo, che all’Italia manca ancora una specifica normativa di repressione dei fenomeni di omofobia e transfobia. Come si schieri la destra è noto: secondo la stampa, a seguito della loro conquista del Consiglio regionale umbro sarebbe prossima l’abolizione della locale legge anti-omofobia.[2] Insomma, la destra ha rifiutato di appoggiare una Commissione anti-odio rivendicando senza pudore il diritto alla discriminazione degli omosessuali. Finisce qui? Certamente no: la domenica successiva la curva ultrà dell’Hellas Verona, di notissimo orientamento nazifascista, ha dato luogo a cori razzisti all’indirizzo di Mario Balotelli. Per chiarire la situazione, uno dei capi di questa tifoseria violenta, responsabile locale di Forza Nuova, ha detto che Balotelli non potrà mai essere completamente italiano. Giova a questo punto ricordare che da quella curva veronese proviene l’ex ministro leghista Fontana, uno dei politici più esposti nella richiesta di abolizione della legge Mancino.
In Germania, invece, si è venuti a sapere a sapere che il Consiglio municipale di Dresda ha approvato una mozione in cui riconosce che i fenomeni di violenza razzista, antisemita e islamofoba sono cresciuti a dismisura nella città. La mozione ha ricevuto il voto favorevole di tutti i partiti di sinistra (Linke, Verdi, Socialdemocratici) e anche del Partito liberale (FDP), mentre, assieme all’estrema destra (AfD), hanno votato contro anche i democristiani della CDU.[3] Questo voto è arrivato dopo le elezioni regionali del 27 ottobre nella vicina Turingia, che hanno portato due novità:
- La Linke è divenuta il primo partito, con il 31%:
- AfD ha più che raddoppiato i propri consensi ed è secondo partito con il 23%.
Come conseguenza, la CDU è smottata dal primo al terzo posto. Se i risultati provvisori saranno confermati, la FDP avrebbe inoltre superato lo sbarramento per soli sei voti su oltre un milione, negando così la riconferma della locale maggioranza Linke-SPD-Verdi. La formazione del governo regionale è resa impossibile, ad oggi, dal fatto che, mentre tutti i partiti respingono un accordo con l’estrema destra, quelli di centro/centrodestra ne rifiutano anche uno con la Linke.
In una intervista a la Repubblica, ripercorrendo peraltro concetti già espressi in passato[4], la Vicepresidente entrante della Commissione UE, la danese Margrethe Vestager, ha dichiarato che per la Commissione non esiste altra scelta se non la collaborazione con il blocco sovranista presente all’Europarlamento, blocco che deve essere considerato anche per la formazione di maggioranze parlamentari “ad assetto variabile”.[5] Una di queste “maggioranze variabili” è stata sperimentata sulla risoluzione che ha equiparato il regime nazista tedesco ai governi socialisti sorti in Europa orientale dopo la sua sconfitta, e questo spiega più che bene per qual motivo la Vestager non includa tra i possibili partner di maggioranze variabili anche la Sinistra europea. Per la cronaca, Margrethe Vestager proviene dal partito radicale di centro “Sinistra Radicale” (nome ereditato dalla topografia politica ottocentesca), affine per posizionamento politico a quello del Presidente francese che di lei è stato ed è strenuo sostenitore.
Prima di passare a tirare le fila di questi numerosi segnali, è utile credo interrogarsi anche sulla trasformazione radicale della vita politica negli Stati Uniti. Un tempo sgarri veniali erano in grado di bloccare e magari rovinare la carriera di una personalità politica: il caso più eclatante resta a mio avviso quello di Tom Daschle, già capogruppo dei senatori democratici per dieci anni e poi scelto da Obama nel 2008 per rivestire il delicatissimo incarico di Segretario della Salute e dei Servizi alla Persona. Quando si scoprì che Daschle non aveva dichiarato nel proprio reddito il servizio di limousine con autista fornitogli da un suo cliente, l’ex senatore saldò il proprio debito con il fisco e rinunciò alla nomina. Eppure, il Presidente più impresentabile che generazioni ricordino vede il proprio consenso nient’affatto scalfito, nonostante il pluriennale rifiuto di divulgare le proprie dichiarazioni dei redditi e la richiesta pubblica a Cina e Ucraina di indagare un suo rivale politico (Biden). Perché?
La spiegazione che si può azzardare è che gli scandali possano giocare il forte, fortissimo ruolo che avevano anni addietro quando i diversi partiti politici sono posizionati tutti su coordinate ideologiche e programmatiche abbastanza simili. In tali circostanze il buoncostume tende a diventare l’unica discriminante per poter operare distinzioni in un agone quasi totalmente condiviso – questo, en passant, potrebbe ingenerare riflessioni anche sull’assurgere in Italia dell’anticorruzione al rango di ideologia politica. L’insensibilità dell’elettorato repubblicano per le malversazioni del Presidente sarebbe dunque figlia di una crescente divergenza tra ideologie e programmi dei due partiti, crescita che porta le rispettive basi a radicalizzarsi e fidelizzarsi. Questo fenomeno è in aumento costante da quasi mezzo secolo, ma negli ultimi dieci anni ha conosciuto un’ulteriore impennata. Inoltre, una novità recente è che, se prima la radicalizzazione riguardava soltanto il Partito repubblicano, adesso interessa anche il Partito democratico.
Osservando una misurazione statistica dello spettro politico rappresentato alla Camera[6], si notano quattro fasi elettorali con un aumento forte, o molto forte, o comunque anticiclico, della polarizzazione:
- Il 1968 (vittoria di Nixon grazie alla “maggioranza silenziosa” ostile ai movimenti e ai diritti civili, riallineamento a destra del Sud conservatore e razzista);
- Il 1978, inizio dell’onda lunga reaganiana che porta il movimento neoconservatore a conquistare prima la guida del Partito repubblicano e poi la Presidenza, ponendo fine a quarant’anni di accettazione condivisa delle politiche economiche keynesiane;
- Il 1992, in cui la crescita di influenza della demagogia fiscale e l’elezione in molti collegi democratici di deputati donne o afro-americani (questi ultimi grazie a una sentenza della Corte Suprema di tutela della rappresentanza delle minoranze) crea la tempesta perfetta per un agguerrito confronto fra i due partiti, che sarebbe proseguito negli anni successivi;
- Il 2010, in cui vengono spazzati via gli esponenti conservatori del Partito democratico, sostituiti in molti casi (sorte toccata anche a repubblicani moderati) da esponenti estremisti del Tea Party (e la fine di questo ancoraggio sociale è stato uno dei motivi della vittoria di Trump nel 2016).
Si può anche notare come la polarizzazione non risulti in correlazione, diretta o inversa, con l’andamento del ciclo economico. Ad esempio essa diminuì costantemente tra il 1904 e il 1936, con una sola eccezione (nel 1914), nonostante le turbolente variazioni nella crescita o diminuzione del Pil. A cosa è dovuto, quindi, questo aumento costante?
In parte si tratta, probabilmente, di una reazione alla grave crisi che la classe dirigente degli Stati Uniti si trovò a fronteggiare a metà degli anni Settanta: shock petroliferi, fine della centralità monetaria del dollaro, disfatta militare in Vietnam, scandalo Watergate. Il potenziale eversivo di questa crisi borghese non fu all’epoca còlto dalla dirigenza sovietica, che, desiderando allontanarsi dalla crudezza degli anni di Stalin, rovesciò completamente l’interpretazione degli anni Venti e Trenta, che aveva consentito di resistere al fascismo: secondo Stalin, il declino della civiltà capitalista produceva l’inasprimento delle lotte di classe per via della reazione violenta della dirigenza borghese; secondo Brežnev e i principii del “socialismo realmente esistente”, accadeva il contrario: il declino della civiltà borghese, in un mondo in cui il proletariato aveva già preso il potere in alcune nazioni, accelerava e facilitava la transizione a società senza classi.
Il crollo dell’Urss spiega, con altrettanta probabilità, l’altra parte della crescita della polarizzazione. Il Presidente Usa che aveva vinto la guerra fredda, George Bush padre, fu sconfitto alle presidenziali da un governatore di secondo piano (Clinton) e non prima di aver dovuto affrontare alle primarie la fastidiosa e imbarazzante sfida estremista di Pat Buchanan. Inoltre, quasi il 20% del voto popolare finì a Ross Perot, il miliardario che cavalcava la demagogia fiscale e qualunquista. La fine della minaccia comunista aveva cioè fatto riemergere il sobbollire di umori eversivi che sino ad allora erano stati esclusi dall’arena politica, o almeno messi in quarantena ai margini estremi dello spettro. Fenomeni ben conosciuti, dopo il 1989, anche da noi italiani.
E adesso tiriamo le fila.
La situazione in Europa è assai simile a quella del periodo tra le due guerre mondiali, con i partiti fascisti sempre più insediati nell’elettorato e sempre più legittimati politicamente. Esistono, rispetto a quel tempo, almeno due importanti differenze:
- Oggi non esiste più l’Urss. Non esiste più uno Stato che possa mostrare ai lavoratori occidentali un sistema alternativo sia alla democrazia liberale sia al fascismo, che possa costituire una fonte insostituibile di aiuto organizzativo ai partiti dei lavoratori in Europa e che possa anche liberamente sostenere i costi di qualsiasi manovra politica (all’epoca, ad esempio, la trattativa diretta con la Germania nazista) e ordinarne centralmente l’esecuzione nei singoli stati.[7]
- Dopo la crisi del 1929 l’impoverimento del ceto medio tedesco fu senza alcun dubbio uno dei detonatori dell’aumento vertiginoso di consenso al Partito nazista. Oggi l’aggressività eversiva del ceto medio sembra dovuta non tanto al suo impoverimento, ma alla delusione delle sue “aspettative crescenti”[8], al mancato recupero reddituale dopo la crisi.[9]
Una delle più inquietanti somiglianze, invece, è l’ostinata volontà dei settori moderati del centro e del centrodestra (si ricordino i tre casi europei citati in apertura) di venire a patti con le forze della destra estrema. Una soluzione del resto già a suo tempo proposta dal capogruppo del PPE, il tedesco Manfred Weber, e sperimentata anche come regime di governo in Austria con il cancellierato Kurz. Questa scelta, attuata da statisti di peso come Giovanni Giolitti in Italia e Franz von Papen in Germania, che credevano di poter fare i burattinai di Mussolini e di Hitler, li portò o a morire dileggiati dagli squadristi (Giolitti) o a vivere come burattini di Hitler (von Papen).
Perché, quindi, molti liberali e moderati vogliono proseguire nell’errore? Perché larga parte della classe dirigente è di nuovo disposta a tutto pur di evitare lo spauracchio di un’evoluzione del sistema politico in direzione socialista. Un luogo comune troppo diffuso a sinistra è che l’aumento delle diseguaglianze degli ultimi anni e lo scivolamento verso il basso soprattutto del ceto medio abbiano aperto lo spazio per un’iniziativa politica che sia appunto integralmente socialista e che possa spostare a sinistra tutta la società.
Una simile lettura non fa i conti né con i precedenti storici né con gli anni recenti. Per quanto riguarda i primi, la politica “classe contro classe” e i tentativi di sfruttare la pauperizzazione come forza e gli appuntamenti elettorali come leva per il rovesciamento del sistema furono esattamente ciò che condannò alla disfatta, in particolare, il Partito comunista di Germania (al tempo, il più forte d’Europa). Tanto che alla vittoria di Hitler seguì il ben noto cambio di politica del Comintern, che portò alla costituzione dei fronti popolari in Francia e in Spagna e alla ricerca di un’intesa diplomatica antifascista con Parigi e Londra. Per quanto riguarda invece gli anni recenti, non si considera che già il governo non certo socialista di Barack Obama è risultato troppo a sinistra per la società americana, che ha reagito come sappiamo. Sanders avrà una base molto agguerrita, ma la maggioranza assoluta dell’elettorato del Partito democratico continua a dichiararsi di centro o addirittura di destra.[10]
Come negli anni Trenta, non esiste invece alternativa alcuna, se si vuole evitare la vittoria del fascismo, al recupero del consenso del centro e all’insediamento di una presenza democratica nel centrodestra o addirittura nella destra. E questo consenso non lo si ottiene con una retorica egualitaria o socialista. Anche il caso degli anni Ottanta è emblematico: in quel periodo le diseguaglianze aumentarono sensibilmente negli Stati Uniti[11] e nel Regno Unito[12]. Questo aumento fu denunciato dal Partito democratico e dal Partito laburista, in cui in quegli anni molto influenti erano rispettivamente l’ala sindacale e la sinistra radicale, ma la popolazione non si rivelò d’accordo e, dopo aver dato fiducia una prima volta alla Thatcher nel 1979 e a Reagan nel 1980, riconfermò al potere con maggioranze schiaccianti loro (Thatcher 1983, 1987; Reagan 1984) e i loro successori (Major 1992, Bush 1988).
Quello che la sinistra (tanto sovietica quanto occidentale) aveva sottovalutato, in quelle occasioni, era stato il desiderio di arricchimento presente nella classe media e anche nei settori più elevati della classe operaia. Ad esempio, in Gran Bretagna il blocco dell’edilizia popolare e la vendita degli appartamenti produssero sì una sterminata popolazione di senzatetto nelle metropoli, ma dettero a molti proletari l’orgoglio di sentirsi proprietari di un’abitazione (uno status symbol molto rilevante nella società britannica); la privatizzazione sottomercato delle industrie britanniche provocò sì un aumento dilagante di disoccupazione, alcolismo, violenza e suicidi nella classe operaia, ma i profitti dei primi giorni di Borsa portarono, oltre a fiumi di sterline nelle mani di pochi speculatori, anche qualche rivolo nei conti correnti di tantissimi piccoli investitori.
L’urgenza di un’immediata azione, se non egemonica almeno pattizia, nei confronti dei moderati appare còlta, in Italia, dal solo Renzi. Dopo la sconfitta in Umbria la reazione del segretario del Partito Democratico è consistita in fare finta di niente e dire che era colpa di Renzi.[13] Questi, dal canto suo, non ha proseguito la polemica ma ha preferito far presente che, per evitare di tagliarsi le gambe anche in Emilia-Romagna, sarebbe stato intelligente evitare l’introduzione di nuove tasse invise alla classe media e, quella sulla plastica, a tutto il comparto degli imballaggi che ha in Emilia un nucleo pulsante. Tanto più che risulterebbe assai bizzarro, per una sinistra che respinge il modello Macron perché troppo elitario, voler ripercorrere la via delle tasse ecologiche battuta con tanto nocumento dal Presidente francese (ricordate i gilet gialli contro la tassa sul carburante, vero?). L’idea che il centro non esista più, perché si è impoverita la classe media, non è solo falsa: ne è vero il contrario. L’idea che la sinistra perda consensi perché è scivolata troppo a destra, non è solo falsa: ne è vero il contrario.
Secondo una recente indagine[14], dal 2013 ad oggi la quota di popolazione italiana che si definisce di sinistra o centrosinistra si è assottigliata dal 35 al 28%, quella di destra o centrodestra è cresciuta dal 30 al 33%, mentre il centro è rimasto stabile al 9% e i “non collocati” aumentati dal 27 al 29%. Ed è estremamente istruttivo vedere come questi elettorati si siano comportati alle più recenti consultazioni, le europee del maggio scorso. Secondo l’analisi del voto Ipsos[15], i partiti del governo c.d. “giallo-verde” avevano ottenuto tra gli elettori di centro il 59,3%, ossia ben più del 51,4% nazionale. Nell’area di centrosinistra erano al 20,3% e nell’area di sinistra al 27,5%, con una presenza tutt’altro che trascurabile della Lega (nella “sinistra” aveva l’8%, tanto quanto la lista unitaria tra Sinistra Italiana e Rifondazione). Di converso, il consenso dei partiti di centrosinistra e sinistra era al 21,1% tra gli elettori di centro, all’1% tra quelli di centrodestra e allo 0,5% tra quelli di destra. Ed era fra i non collocati, che rappresentano il segmento maggiore dell’elettorato, ma anche quello con la minore partecipazione elettorale (78,6% di astensione), che M5s e Lega vedevano il miglior risultato: 75,6%, dovuto a una performance M5s due volte e mezzo quella nazionale.
L’idea che i “non collocati” siano qualcosa di diverso dal centro è largamente fallace. Essi sono i qualunquisti, gli antipolitici, gli antiparlamentari: un segmento fortissimamente insediato a livello culturale nel fu elettorato della Dc, tanto che una stessa maschera italiana poté rappresentare al massimo grado sia l’italiano democristiano sia l’italiano qualunquista (parlo naturalmente di Alberto Sordi). Il venir meno del contraltare comunista, e quindi della montanelliana turatura del naso, ha portato questo elettorato a impazzire, a ribellarsi, a disperdersi e a radicalizzarsi, ma gli umori profondi non sono cambiati. Come ha rilevato, a mio parere molto giustamente, anche la senatrice Segre, non c’è stato negli ultimi anni un degrado del senso comune, ma semplicemente una rilegittimazione di rancori fascisti già presenti prima.
Ovviamente la situazione delle elezioni europee non è più quella attuale, perché sono intervenute due novità: il cambio di maggioranza parlamentare, con il passaggio del M5S a un’alleanza col centrosinistra, e la nascita di Italia Viva. La prima di queste operazioni espone il M5S a una perdita di consensi in direzione della Lega, mentre la seconda potrebbe consentire alla maggioranza del Conte II di recuperare tra i moderati. Tanto i partiti che sostengono l’attuale governo (M5S, PD, LeU, IV) quanto quelli aggregati attorno al progetto ultraconservatore di Salvini (Lega, Fd’I, Cambiamo) contano sul 42-43% dei consensi, secondo i sondaggi.[16] Il restante 15% si divide, grosso modo, tra un 9% di opposizione moderata (Forza Italia, +Europa, Calenda), un 3% di sinistra radicale e un 3% di “altri”.
La sinistra radicale da sola non basterà per vincere questo confronto: inoltre è storicamente incline alla divisione e in alcuni casi non può essere coinvolta perché è su posizioni di contrapposizione frontale al sistema politico nel suo insieme. Ma anche senza questi casi estremi, finirebbe per schiacciare l’area antifascista sulla sinistra, con i deleteri effetti ricordati finora. Vincerà, invece, chi riuscirà a stabilire un blocco sociale e politico con l’opposizione moderata, e non tanto di quella liberista-progressista di Bonino e Calenda, ma quella più storicamente legata agli umori della destra italiana non-fascista. Questo esito era del resto chiarissimo fin da quando il 4 marzo 2018 la Lega ha strappato a Forza Italia la guida della coalizione: un risultato che Salvini e i suoi accoliti e sostenitori hanno preparato per anni, mentre a sinistra qualcuno agitava ancora lo spauracchio dell’“inciucio PD-Forza Italia” (evidentemente già troppo a sinistra per i gusti dell’elettorato italiano).
Dopo il 4 marzo, e ancora dopo le elezioni regionali in Umbria, è stato fatto notare che la sinistra è sempre stata una minoranza non soltanto nella società italiana, ma nella sinistra stessa.[17] Questo spiega le crepe che si aprono alla penetrazione salviniana nelle regioni rosse e nella popolazione sedicente di sinistra. Se si volesse un’ulteriore riprova, ciò spiega anche come una ampia quota di questa popolazione abbia potuto sostenere il M5S e riconoscersi in esso, in un partito cioè che riguardo al ruolo del lavoro, della produzione e del denaro è completamente agli antipodi della visione marxista.[18]
Nel capitolo V del suo celebre «L’estremismo malattia infantile del comunismo» Lenin indicava il più temibile nemico della rivoluzione sovietica non nel grande latifondo, non nel grande capitale, che erano facilmente nazionalizzabili, ma nell’ideologia piccolo-borghese dei milioni di piccoli produttori: «la forza dell’abitudine di milioni e decine di milioni di uomini è la più terribile delle forze». In quelle condizioni, cioè nella Russia del 1920, in cui certamente non facevano difetto ai bolscevichi né la risolutezza né i margini di azione politica e militare, Lenin avvertiva che tali piccoli borghesi «è impossibile cacciare, impossibile schiacciare, con [essi] bisogna trovare un’intesa, […] si possono (e si devono) trasformare, rieducare solo con un lavoro di organizzazione molto lungo, molto lento e molto prudente».
Date le circostanze attuali,
più arretrate rispetto a cento anni fa per forza e coscienza del movimento dei
lavoratori, questo lavoro di organizzazione dovrà essere ancora più lungo, più
lento e più prudente, e questa intesa ancora più necessaria.
Immagine da www.wikipedia.org
[1]https://www.agi.it/politica/salvini_sulla_legge_mancino_alle_idee_non_si_risponde_con_le_manette-4235263/news/2018-08-03/
[2] https://www.tpi.it/politica/umbria-anti-lgbt-lega-cancellazione-legge-omofobia-20191030486123/
[3] https://www.ilmessaggero.it/mondo/nazismo_emergenza_dresda_germania_ultime_notizie-4835275.html
[4] https://www.youtube.com/watch?v=a2PQWWr51vY
[5]https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2019/11/03/news/_l_ue_difendera_i_propri_interessi_ma_con_una_maggioranza_ad_assetto_variabile_-240175682/
[6] https://www.voteview.com/articles/party_polarization
[7] Esiste certamente la Cina, ma la Cina ha scelto un ruolo assai più defilato nei rapporti internazionali tra i partiti politici, come provato proprio dal modo in cui tali rapporti sono tenuti: conferenze e forum ad hoc e ad ampio raggio, come quella del novembre-dicembre 2017.
[8] https://www.lastampa.it/cronaca/2018/03/26/news/esclusi-dalla-ripresa-dubbiosi-sul-futuro-ecco-gli-italiani-dieci-anni-dopo-la-crisi-1.33997115
[9]https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2019/08/30/news/nella_sassonia_nera_sopportiamo_la_crisi_ma_non_i_migranti_-234752209/
[10] https://www.pewresearch.org/fact-tank/2019/06/26/facts-about-democrats/
[11] https://www.census.gov/library/visualizations/2015/demo/gini-index-of-money-income-and-equivalence-adjusted-income–1967.html
[12]https://www.ons.gov.uk/peoplepopulationandcommunity/personalandhouseholdfinances/incomeandwealth/bulletins/householdincomeinequalityfinancial/yearending2018
[13]https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2019/10/27/news/elezioni_regionali_umbria_pd_nicola_zingaretti_vincenzo_bianconi-239683498/
[14] http://www.demos.it/a01659.php
[15] https://www.ipsos.com/sites/default/files/ct/news/documents/2019-05/elezioni_europee_2019_-_analisi_post-voto_ipsos-twig.pdf
[16] Un buon tracker, con i collegamenti alle fonti, è reperibile su Wikipedia alla pagina https://en.wikipedia.org/wiki/Opinion_polling_for_the_next_Italian_general_election
[17] https://www.wittgenstein.it/2019/10/30/elettorato-di-sinistra/
[18] Avevo affrontato tale contraddizione qui: https://archivio.ilbecco.it/politica/item/4453-radici-del-movimento-5-stelle.html
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.