A un certo punto, negli anni ’70 , divenne importante rivoluzionare non solo le masse, non solo attuare la lotta di classe, ma spostare l’impegno politico verso il cambiamento radicale della e nella vita quotidiana e privata degli individui.
Perché il Paese, nonostante le tantissime lotte da parte del movimento operaio, rimaneva una nazione fin troppo oscurantista e bigotta. Rendere protagonista l’individuo attraverso una liberazione sessuale, di desideri, di rapporti, era il modo per cambiare una società ormai vecchia, obsoleta, basata su tradizioni che imprigionavano gli esseri umani. Un modo di vivere arcaico, legato a un modello conservatore tipico del mondo contadino e provinciale. I giovani industrializzati e cittadini, bombardati da messaggi consumistici e ribelli mescolati insieme, non potevano che chiedere una maggiore attenzione verso il singolo e le sue soddisfazioni. Superando i dogmi che reggevano istituzioni come la famiglia, il matrimonio, la sottomissione delle donne, l’autorità paterna.
Lotte giuste perché supportate da una società che combatteva anche per i diritti sociali. Ponevano l’attenzione sul fatto che non siamo solo il lavoro che facciamo o il prodotto del nostro ambiente sociale, ma esseri umani con istinti, passioni, trasgressioni, voglia di essere liberi e unici. La corrente libertaria del movimento extraparlamentare aveva l’ambizioso scopo di rendere totalmente libero l’essere umano dalla catena dei rapporti tradizionali, delle regole che, imitando il rapporto di classe tra padrone e operai, sostenevano le relazioni di coppia e famigliari.
Come
sempre queste meravigliose idee funzionano se hai un sistema
rivoluzionario, ma cosa succede se
le lotte vengono sconfitte in un modo così definitivo come è
successo in Italia dopo il 14 ottobre 1980?
Che la borghesia uscita vincitrice li rielabora a uso e consumo suo.
Con l’aiuto di quelli che per un po’ hanno giocato al ribelle per
dar fastidio alla propria famiglia e che poi si riciclano nella
Milano da bere degli anni 80.
La libertà dell’individuo
diventa individualizzazione di massa. Questo vuol dire un
cittadino inserito in una società dove tutti corrono dietro gli
stessi desideri, soddisfazioni, ma rimanendo scollegati col resto
dell’umanità. I corpi liberi e desideranti perdono ogni spinta
sovversiva e diventano meri e piccoli mezzi della propaganda
consumistica e capitalista. Certo a un livello superficiale, in
qualche caso, mantengono un linguaggio anche “ribelle”, ma è un
pallido ricordo di lotte ben più profonde e importanti.
Attraverso
l’organizzazione della società, con il sostegno dei mass media, la
persona è bombardata da messaggi che spingono a superare le regole,
la monotonia della vita quotidiana, per diventare protagonisti della
propria esistenza, attraverso la merce che possiedi. La folle corsa
all’oro del successo personale, della trasgressione massificata e
per questo mediocre e insignificante, parte negli anni ’80.
In
quel decennio, infatti, l’altro comincia a diventare un mezzo
per la nostra soddisfazione. I rapporti e le relazioni perdono la
loro importanza, poiché anche noi come un televisore o una macchina,
siamo sul mercato. Dobbiamo accumulare rapporti, relazioni, ma in
modo superficiale. Viverli come momento di passione, svago,
soddisfazione personale, ma appena l’altro si mostra per quello che
è, cioè una persona con i suoi desideri e debolezze, tronchiamo il
rapporto perché non ci rende più felice. Come se la felicità fosse
un oggetto che compri al mercato e rimane intonsa col passare degli
anni.
Gli anni ’80 sono gli anni della voglia di vincere a
qualsiasi costo, ormai le istanze sociali dei decenni passati non
contano più nulla e quel terribile anno che è il 1989, porterà
alla conclusione della divisione tra capitale e comunismo. Il
trionfo del libero mercato continuerà a minare le vite relazionali
delle persone e le spingerà a un egoismo sociale e politico di cui
continuiamo a veder i frutti nei nostri giorni.
Gli
anni ’90 perdono lo sfavillante senso estetico del decennio
precedente, ma non l’idea che si debba brillare di luce propria e
fregarsene del prossimo. In questi anni comincia la propaganda del
“politicamente scorretto” Anche in questo caso la destra prende
spunto dall’anticonformismo della sinistra più libertaria, ma
spinge verso un’ideologia che non è la libertà utopistica e
totale dell’individuo verso l’ipocrisia bigotta e reazionaria,
l’obiettivo diventa la parte debole della società. In quegli anni
si radicalizza l’idea che sia liberatorio odiare, essere
acidi e irriverenti verso i deboli, comincia la revisione sulle lotte
in nome del comunismo e della resistenza. La bontà, la generosità,
l’altruismo, vengono viste come cose ipocrite. Si comincia a creare
l’accusa di buonismo.
Non solo devi essere libero senza la
catena delle relazioni umane, non solo devi aver successo e vincere,
ma devi anche essere una carogna. In tv si specula sul dolore, con la
scusa di essere irriverenti e scorrette si producono pellicole in cui
il cinismo più sciatto la fa da padrone.
L’ossessione
della libertà individuale mal compresa e strumentalizzata
diventa la base di moltissimi rapporti, sfruttati sul lavoro e nella
vita sentimentale. Precari nel lavoro e negli affetti.
L’idea che viene propagandata attraverso l’intrattenimento e la costruzione della società è una sorta di senso onnivoro, predatorio, in cui conta la quantità di rapporti e soddisfazioni fisiche, piuttosto che una relazione sentimentale profonda, la conoscenza dell’altro, la compassione, la tenerezza di sguardo e la partecipazione generosa nella vita dell’altro per aiutarlo a vivere meglio.
Io tendo a semplificare perché sto scrivendo un articolo e non un saggio. Sono considerazioni personali rafforzate da anni e anni di osservazione delle dinamiche relazionali, spesso disfunzionali, che metto in pratica io stesso e vedo nei miei conoscenti.
Vi invito per cui a cercare volumi scritti da sociologi sul cambiamento delle relazioni umane. Per quanto mi riguarda trovo evidente che ogni sforzo di metter in campo l’amore, l’affetto, la bontà, per non parlare di compassione e pietà, viene ostacolata dalle masse imborghesite attraverso un rimando sempre più stanco e patetico di un presupposto politicamente scorretto e liberatorio.
Vi
è da dire che di recente sono rimasto assai colpito da come alcune
serie tv abbiano ripreso un discorso profondo dedicato alle relazioni
sentimentali e umane. Questi prodotti mettono al centro delle loro
tematiche il fatto che non siamo isole, che il dolore spesso è
l’alibi per non tentare alcun miglioramento e che il politicamente
scorretto che scade nel cinismo quotidiano, è solo stupido rancore.
Noi siamo vivi perché in contatto e in relazione con gli
altri.
Questo è il filo comune che unisce tre tra le migliori
fiction di questi anni. Mi riferisco a Crazy
ex girlfriend,
After
Life, This
is us.
Le prime due le potete veder su Netflix, l’ultima su Amazon Prime.
Crazy ex girlfriend è una meravigliosa serie scritta dalla protagonista , Rachel Bloom, insieme alla sceneggiatrice de Il diavolo veste prada, Aline Borsh McKenna, la quale racconta le tragicomiche avventure sentimentali di una donna con problemi di disturbo della personalità.
Rebecca Bunch, questo il nome della protagonista, è alla continua ricerca della soddisfazione e felicità personale, che per lei vuol dire avere una relazione. L’oggetto dei suoi desideri è un giovane uomo con cui ha avuto una breve relazione da adolescente. Trasferitasi da New York al paesino di West Covina, California (a sole due ore dall’oceano, quattro con il traffico) tenterà forzando in ogni modo la vita degli altri di mettersi insieme al suo amato. La serie evolve nelle ultime stagioni verso un significato più profondo. Infatti se all’inizio potrebbe sembrare una commedia americana molto divertente sulle avventure di una stalker, col tempo si trasforma in un elogio alle relazioni di amicizia e amore, al superamento del proprio dolore, alla comprensione che più viviamo nel mondo e insieme agli altri, più staremo meglio. La scelta finale della protagonista è un punto di svolta narrativo molto interessante perché se in prima istanza sembra negare il bisogno dell’amore e del far parte di una coppia per esser felice, in realtà dice una cosa molto seria e bella, cioè che dobbiamo conoscerci, capire cosa vogliamo, esser risolti e in questo modo possiamo amare e non aver paura di appartenere a un qualcuno che potrebbe rubarci la nostra libertà.
Ogni personaggio migliora in relazione agli altri, e lo fa usando e sovvertendo le regole della commedia romantica e del musical. Sì, in questa serie si canta e balla, spesso canzoni spassosissime (cercatele su YouTube) e si affronta il tema della coppia e dell’amore con una profondità e positività degne di nota.
After Life, è una serie inglese creata e diretta da uno straordinario comico inglese, Ricky Gervais, è disponibile la prima stagione di sei episodi, su Netflix, e vi invito a seguirla. Anche in questa fiction c’è al centro un uomo distrutto da dolore e incapace di interagire col mondo esterno. Costui ha perso la moglie, per colpa del cancro, e da quel momento si è barricato nella sua sofferenza odiando tutto e tutti, pensando continuamente al suicidio. Non mancano battute e situazioni politicamente scorrette, ma non è il fine bensì il mezzo per una riflessione molto toccante e forte sul superamento del lutto, di come il nostro dolore non sia il solo modo per osservare e star al/nel mondo, che da soli non andiamo da nessuna parte. Al contrario è l’incontro e scontro quotidiano con gli altri che ci fa crescere e migliorare. Si punta molto sull’importanza dei piccoli gesti di gentilezza e partecipazione, del rispetto delle vite altrui (anche quando gli altri ci sembrano noiosi o sciocchi), tutto verte sulla scoperta del prossimo, di come le piccole vite segnate da dolore o mancanza di grandi ideali e ambizioni siano importanti e degne di aiuto e attenzione. Un discorso che anche in questo caso mira a creare una nuova partecipazione attiva nella società, dando importanza non tanto al singolo e alla sua esistenza, ma all’individuo con le sue peculiarità e difetti all’interno del mondo e al servizio dell’altro. Vediamo come si evolve nelle prossime stagioni.
Tuttavia
la serie che riporta in modo più diretto e battagliero l’attenzione
sull’importanza dei rapporti umani è la bellissima fiction di
Amazon Prime: This is us.
Creata dallo sceneggiatore di Cars
e Rapunzel,
tra le altre cose, l’ottimo Dan Fogelman e diretta, in alcuni
episodi, dalla coppia di registi Glenn Ficarra e John Requa. la serie
segue su diverse linee temporali (passato presente futuro) le vicende
della famiglia Pearson. L’istituzione più attaccata e vissuta come
un peso da molte persone torna come base da cui partono le storie dei
protagonisti e delle persone che incontreranno nella loro vita. Oggi
sul tema ci sono due modi di pensare entrambi errati: quello dei
reazionari con la loro idea bigotta di famiglia tradizionale e gli
altri per cui è un ornamento, qualcosa che non ha importanza perché
ostacola la mia libertà.
This
is us
invece ci rammenta che tutto parte proprio dalla famiglia
e dall’esempio che noi ereditiamo dai nostri genitori. Ovviamente
non è un’opera americana degli anni Cinquanta, per cui non si
nascondono i grossi problemi che ogni personaggio deve affrontare.
Non sono persone sempre positive e felici, ma scelgono di far la cosa
giusta anche quando il pensiero comune di salvezza tenderebbe a
portare la soluzione a tutta una serie di sbagli che amiamo
perdonarci, usando la stupidissima giustificazione che noi esseri
umani siamo deboli.
In
questa serie invece il messaggio è diverso: siamo deboli, ma non per
sempre. Lo saremo qualora non volessimo aprirci all’amore e alla
condivisione e sostegno degli altri. Ma possiamo scegliere la strada
complessa e dura della partecipazione, dell’appartenenza a una
famiglia, dell’ascolto degli altri.
Sopratutto è molto forte
il discorso, da me sempre apprezzato, che ogni nostro gesto, in
qualche modo, va a toccare l’esistenza degli altri e torna a noi
cambiato e modificato, come un dono, un aiuto.
Non dico che il nuovo umanesimo, il ritorno dell’attenzione per la generosità e altruismo su scala mondiale possa tornar grazie a queste tre bellissime fiction, tuttavia in queste opere ho visto alcuni echi di Alice Miller, il testimone soccorrevole ad esempio, e il tentativo di sminare questa devianza sociale che è l’individualismo sfrenato e infantile di uomini e donne talmente deboli e codardi di aver paura delle relazioni sentimentali e di amicizia reali e profonde. Inoltre è spunto di riflessione sull’importanza dei generi più popolari (commedia romantica o musical) come veicoli di messaggi positivi e non banali su cui riflettere a lungo ripensando ai nostri errori e su come gli altri non siano quasi mai il problema, ma la soluzione.
Immagine Ron Batzdorff/NBC
Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.
Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni