La Leopolda, arrivata alla decima edizione, segna l’avvio della nuova creatura politica di Matteo Renzi. Le idee e i programmi sono stati al centro dell’attenzione dell’appuntamento politico. Ne parliamo questa settimana al Dieci mani.
Piergiorgio Desantis
Oltre alla location, già ampiamente collaudata, con tutti gli annessi e connessi degni di uno studio televisivo (vedasi Lucio Presta alla regia) degna di interesse è stata la proposta politica avanzata dal senatore di Firenze Matteo Renzi. Innanzitutto, trattasi di un partito leggero (quasi impalpabile stando a sentire i sondaggisti) che si aggira per l’Italia con due o tre mantra da ripetere continuamente. Il primo, il più importante, è il no tax, ovvero l’ennesima riproposizione della ricetta liberista dell’ennesima riduzione delle tasse viste come male assoluto. Su questo punto, Italia Viva sembra aver individuato una linea del Piave insuperabile. Nessuna riflessione può essere nemmeno proposta: nessuna rimodulazione delle imposte circa il paniere dei beni o i soggetti tenuti al versamento è ammessa. Non si fa alcun cenno all’impressionante evasione fiscale italiana né al fatto che i lavoratori dipendenti e i pensionati sono i soggetti che le versano fino all’ultimo centesimo e che vivono spesso con salari da fame.
La seconda idea è l’abolizione della quota 100, approvato dal precedente governo Conte, che permette di limitare l’impatto, sia per i lavoratori prossimi alla pensione che per chi entra nel mondo del lavoro, della riforma Fornero (la più pesante riforma pensionistica europea). Nessun cenno alla difficoltà a lavorare in scuole, ospedali e fabbriche fino anche a 67 anni, al numero enorme dei morti sul lavoro (13.000 in dieci anni) e alla riduzione e all’assenza del lavoro stesso.
La terza idea riguarda una riduzione della spesa pubblica, ma, ci tiene a precisare lo stesso Renzi nella sua arringa finale, essa riguarda il taglio delle spese intermedie per beni e servizi, non aggiungendo cosa faccia riferimento. Di certo, nelle intenzioni si immagina ancor di più uno stato ectoplasma, non inquadrando la realtà che parla della grave carenza di medici o insegnanti statali (solo per fare qualche esempio). Insomma, Italia Viva pare continuare a vivere nella sua bolla liberista anni ’80 e non sembra uscirne.
Dmitrij Palagi
Si partecipa a un evento, più che a un processo, di questi tempi. Matteo Renzi rappresenta un punto di riferimento politico, mentre Italia Viva dovrà guadagnarsi un ruolo per poter vedere dei risultati. Le liste alle regionali saranno sicuramente un momento importante di verifica, ma ancora di più si dovrà misurare il livello di tenuta del Partito Democratico.
Lo “slittamento” a sinistra della creatura nata a guida Veltroni è inevitabile: le parti sociali di riferimento dei vecchi DS tornano a essere necessarie, ma sono oggi politicamente più deboli di ieri (anche per colpa del centrosinistra) e giustamente non si fidano. Mentre il resto della sinistra italiana è davvero ridotta in condizioni drammatiche, al limite della percezione. Servono pochi contenuti e scarso senso della misura per affermarsi in questo panorama. Purtroppo non è “servire” la comunità a pagare, ma “guidare” un sentimento di rabbia, proiettato di volta in volta in modo diverso. Fino a oggi i processi analoghi a quelli di Italia Viva non hanno mai pagato.
Certo è che la scomparsa di Forza Italia e l’affossamento del Partito Democratico potrebbero regalare a Renzi il riscatto, dopo la sconfitta referendari. Molto nell’immediato, davvero poco per il Paese, a cui la politica prima o poi si spera torni a saper pensare, emancipandosi dal teatro in cui si è chiusa, mestando nell’esistente e senza aspirare ad alcun reale cambiamento…
Jacopo Vannucchi
Quasi sei anni fa scrissi per il Becco un pezzo intitolato «Renzi e il populismo dei moderati italiani». In esso osservavo che in Italia il termine «moderati» indica, in politica, chi nel 1945 rifiutò l’antifascismo, la democrazia pluralista e i partiti politici e, pur convergendo in un voto anticomunista per la Dc, mantenne intime convinzioni qualunquiste e nostalgiche del fascismo.
Distinguevo quindi tre forme di populismo nell’Italia di quel periodo: quello estremo di Grillo, quello duro di Berlusconi, quello morbido di Renzi.
Con quel populismo morbido Renzi ha costruito la propria ascesa, fin dalle prime contestazioni a Veltroni a fine 2008 e in un crescendo che, intensificatosi nel corso del 2012 con la sfida a Bersani alle primarie di centrosinistra, ha raggiunto l’apice con il 41% delle europee 2014.
Dopo quel 41% il populismo morbido lasciò il posto a un tentativo di governo riformatore, e a questa transizione è a mio avviso da ascriversi larga, larghissima parte del declino di consensi per Renzi negli anni seguenti (vedi qui)
Oggi Renzi recupera i panni del populista del 2012 e il modo in cui riesce a raccontare la realtà non può non destare ammirazione. Di fronte al passaggio pieno di rischi dell’avvicinamento Pd-M5s, non potendo più imporsi come interlocutore rappresentativo del Pd né influire più di tanto nei confronti della linea di Zingaretti, ha scelto di coprire il centrosinistra, ancorando i consensi «moderati» per il momento e, per il futuro, forse salvandolo per l’ennesima volta in caso di naufragio del Pd sullo scoglio grillino (leggi qui)
Questa scelta è del tutto coerente con tutta l’impostazione che Renzi ha sempre fornito della propria azione politica e con la lettura della società italiana su cui essa si fonda. Trump ha vinto con i voti di centro [4], e può continuare a vincere perché “ha creato una Neolingua” (leggi qui e qui). Renzi oggi fa lo stesso quando, per attrarre i forzisti non succubi di Salvini, ricostruisce a posteriori un Berlusconi europeista – l’ultima volta che fu in maggioranza, cioè nel 2013, Berlusconi intese far cadere quel Governo (Letta) per andare a elezioni da giocare in polemica estrema con la Germania e la Merkel e chiedendo l’uscita dall’euro.
Bersani ha detto non molto tempo fa che in Berlusconi, come in Napoleone, il Creatore ha voluto stampare un’orma più vasta (vedi qui) Simili considerazioni possono essere estese, credo, a Renzi per la dinamica adattabilità della sua tattica e per la capacità di fidelizzare i suoi. Gian Antonio Stella – uno dei corresponsabili della diffusione dell’antipolitica – vi fa malriuscite ironie sul Corriere della Sera, non capendo che è così che si vincono le elezioni (o, forse, proprio perché lo capisce e preferisce vittorie di altro colore politico).
Alessandro Zabban
Il battesimo di Italia Viva alla Leopolda sancisce ufficialmente una nuova configurazione dell’offerta politica. Renzi prova a occupare quello spazio al centro che dopo la débâcle di Monti era rimasto sostanzialmente vuoto. Spazio che oltretutto offre oggi inedite possibilità di accaparrarsi del consenso data la crisi che sta affrontando la destra moderata rappresentata da Forza Italia. Non è un caso che il messaggio della Leopolda sia rivolto proprio a quella parte politica orfana del berlusconismo e non stupisce che lo slogan che riecheggia continuamente nel corso della kermesse sia “meno tasse”: un messaggio puramente di destra col quale si vuole rimarcare la lontananza da un PD visto come il “partito delle tasse”. Sembra di essere tornati nei giorni più grigi del populismo berlusconiano, se non fosse che l’idolo di questa nuova Italia in camicia bianca, manageriale e smart sia Macron, personaggio più “presentabile” e più squisitamente neoliberista ed europeista.
Per un partito che vuole occupare il centro, cercando voti fra i moderati di destra e di sinistra, sono mancate del tutto idee identificabili con la sinistra. Forse perché il centro sinistra è un’area già occupata dal PD ma anche e soprattutto perché il baricentro della politica italiana si è sempre più spostato a destra, tante che Renzi può tranquillamente dire cose inequivocabilmente di destra pur presentando il suo partito come di centrosinistra, senza che gli analisti e gli elettori si stupiscano particolarmente. Anche perché sono già abituati al PD che del dire cose di destra presentandole come di sinistra ne ha fatto un’arte.
Nella seconda repubblica il centro non ha mai ottenuto grossi risultati elettorali ma ha sempre avuto un certo peso politico in parlamento ponendosi come possibile ago della bilancia quando c’erano da formare le maggioranze di governo. Se fino a qualche anno fa il centro era il garante del rispetto dei valori e della tradizione cattolica, il centro di Italia Viva sembra avere più il ruolo di cane da guardia del neoliberismo europeista. Più che una risposta efficace a Salvini e al populismo, le solite ricette che rendono l’estrema destra sempre più popolare.
Immagine da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.