A seguito, pare, di una telefonata con Erdoğan, il Presidente degli Stati Uniti ha fornito l’assenso all’invasione turca del nord della Siria, che, dietro l’obiettivo dichiarato di creare una zona cuscinetto – in territori già liberi dall’Isis e senza alcuna minaccia per la Turchia! –, intende ficcare un’altra lama nel fianco siriano e, con l’occasione, reprimere (eufemismo) la popolazione curda.
La scelta, che è stata definita da molti un «tradimento» delle assicurazioni in passato fornite da Washington ai curdi di Siria, è l’ennesimo capitolo dell’ormai decennale (e ancora infruttuoso) tentativo di spezzare lo Stato siriano per sostituirvi un regime islamista sunnita benvisto da Ankara e dalla monarchia saudita.
Il sostegno aperto di miliziani qaedisti (che, per qualche ragione, la stampa occidentale comincia a non chiamare più “moderati”) all’operazione turca e la possibilità che migliaia di combattenti dell’Isis siano scarcerati rendono evidente la minaccia che questa invasione pone a tutta l’Europa.
Leonardo Croatto
La scenarizzazione, sui media occidentali, dei conflitti in Siria – prima la guerra civile, poi l’invasione Turca – ed in particolare la fortissima femminilizzazione del racconto per immagini, mi ha ricordato la storia delle mondine, per come venivano raccontate all’inizio del secolo scorso e per come la costruzione e poi l’appropriazione della loro immagine diventò campo di lotta politica.
Il protagonismo femminile nella resistenza Kurda viene raccontato in modo da richiamare simboli che entrino facilmente in risonanza con un occidente, ed in particolare con la sinistra di questo occidente, alla disperata ricerca di miti identificanti. Ma l’efficace (almeno dal punto di vista dei mezzi di comunicazione di massa) rappresentazione del conflitto siriano narrata attraverso i corpi di chi lo combatte cede all’ingenuità non sempre involontaria dell’analisi delle cause e delle dinamiche locali e globali.
Lo scontro in Siria racconta di un popolo che è riuscito, pur in assenza di una nazione, a immaginare un progetto di stato molto più avanzato – dal punto di vista dei codici di convivenza – delle democrazie liberali di stampo occidentale, che, per riflesso, mentre svolgono il loro ruolo nel conflitto vengono misurate nella loro pochezza politica, etica, morale.
Il disastroso fallimento di Stati Uniti, Europa e di quel patetico fantoccio politico che è la NATO nella gestione della crisi Siriana è il risultato dell’accumulo di decenni di scelte criminali ed errori politici, di cui sono responsabili anche e sopratutto i partiti definiti “di sinistra” di quei paesi, gli stessi che in questo momento tentano di appropriarsi del mito facilmente tecnicizzabile della resistenza delle donne e degli uomini Kurdi.
Dmitrij Palagi
Öcalan è un terrorista o l’ispiratore di un movimento che ha combattuto l’ISIS e rappresentato una speranza internazionale per chi ha a cuore la giustizia e la libertà? Occorre decidersi, perché non si può stare dalla parte di chi viene bombardato, limitandosi a scuotere la testa con disappunto e sperando nella corta memoria delle opinioni pubbliche.
L’operazione militare della Turchia è criminale. Il suo esito incerto, perché il ruolo giocato da Siria e Russia deve ancora chiarirsi completamente. Denunciare il basso livello delle dichiarazioni di Trump vuol dire non ricordarsi di Bush jr., salvato forse solo dalla tragedia dell’11 settembre 2001. Il ruolo in Medio Oriente degli Stati Uniti è incerto dalla presidenza di Obama, con Israele come unico punto certo.
La resistenza curda è sicuramente in cerca di possibili sponde. Se la matrice ideologica è marxista, in politica internazionale – storicamente – non conta la collocazione destra/sinistra. Ci sono interessi e rapporti di forza da interpretare, per agire sulle contraddizioni dell’attuale sistema (ancora immerso in interessi di classe e nuove forme di imperialismo).
La mobilitazione per la pace pare essersi ridestata, almeno in Italia, con più vigore di quanto abbiamo visto nel XXI secolo, dopo i social forum. Però manca una coerente proposta di sostegno politico e istituzionale alla causa curda, forse troppo piccoli per poter vedere la loro lotta sostenuta da una qualsiasi potenza.
C’è davvero molto in gioco in queste ore, con Erdogan che minaccia l’Europa con i “migranti”, quasi fossero proiettili da lanciare…
L’inconsistenza dell’Unione Europea è solo una conseguenza dello scarso stato di salute delle principali famiglie politiche occidentali del secolo scorso, siano essere “popolari”, “socialiste” o di “sinistra”. Pare resistere la destra più legata al territorio, perché una confederazione di conservatori ha sempre il vantaggio di poter guardare indietro, mentre il futuro si sgretola sulle teste del popolo curdo…
Jacopo Vannucchi
Non posso dirmi stupito dalla pugnalata inferta da Trump ai curdi. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno sostenuto sia le milizie curde nella Siria del Nord (probabilmente non si scartava l’idea di usarle contro Assad dopo la sconfitta dell’Isis) sia il regime turco e questa politica bifronte sarebbe stata insostenibile una volta ripulita la zona dai terroristi. Altrettanto chiaro era che la bilancia di Washington avrebbe peso in favore della Turchia, il cui potere è incomparabilmente maggiore rispetto a un popolo senza stato, e che per giunta è anche un membro della Nato.
Già, la Nato, una struttura in cui della collegialità non resta neppure la decente parvenza di un tempo. Gli stati europei hanno “bucato” molte occasioni per raccogliere il brusco invito di Trump a pagarsi la difesa da soli; è vero anche che condizionamenti e ricatti devono essere stati non irrisori, se Macron si ritrovò a fronteggiare una minaccia di colpo di Stato con Parigi in fiamme e le autostrade bloccate dopo aver rilanciato l’esercito europeo – e tutti ricordiamo l’odio americano contro Aldo Moro, nonostante le assicurazioni atlantiche di Berlinguer.
La scelta di Trump è una scelta – al di là di qualsiasi considerazione morale o di schieramenti – che ha già avuto conseguenze criminali, avendo provocato l’eccidio di numerosi civili, e che potrebbe averne di peggiori. I miliziani dell’Isis ad oggi prigionieri dei curdi potrebbero venire fucilati dai loro carcerieri per evitarne la liberazione, ma si potrebbe fare lo stesso con le loro famiglie? Certamente no. E la benzina sul fuoco del terrorismo sarà certamente versata. In più, quale autorità può oggi impedire all’esercito turco di procedere ad azioni di genocidio?
Però questa scelta criminogena è anche una scelta che ha prodotto chiarezza. Da un lato si è saldato un accordo formale, patrocinato dalla Russia, tra le milizie curde e l’esercito regolare siriano per respingere l’invasione – evidentemente con la promessa di una forte autonomia nel dopoguerra. Dall’altro lato, le truppe turche, i miliziani di al-Qaeda e il fantomatico “Esercito libero siriano” non fingono più di non combattere per uno stesso obiettivo.
«La nuova alleanza tra Damasco e i curdi crea imbarazzo, se non dispiacere, a tutti i Governi occidentali» , probabilmente perché “Assad lancia il gas!” e “Putin ha annesso la Crimea!”.
Se la UE, o per meglio dire il suo nucleo motore, non mette presto mano a una propria iniziativa militare integrata, questo imbarazzo non sarà l’ultima di una serie di umiliazioni patite nel seguire ciecamente una politica russofoba esiziale per l’Europa e per il suo ruolo, decisa e pianificata sulla riva opposta dell’Oceano.
Alessandro Zabban
Ancora una volta i curdi finiscono per essere le vittime dei giochi di potere e delle ciniche decisioni delle potenze imperialiste che hanno interessi in quella regione. Agli Stati Uniti facevano comodo i curdi perché davano lustro all’impegno occidentale di sconfiggere l’ISIS: a Washington bastava fornire supporto militare e logistico mentre i curdi erano chiamati a una guerra all’ultimo sangue in prima linea. Una volta raggiunto l’obiettivo, il popolo curdo poteva tranquillamente essere scaricato per fare un favore allo scomodo ma potente alleato turco e alle sue mire imperialiste nella zona. Dopo aver agevolato la destabilizzazione della Siria, gli Stati Uniti se ne vanno nel peggiore dei modi, aprendo la strada a una nuova crisi.
Alla rabbia per un attacco criminale che provocherà con ogni probabilità una catastrofe umanitaria di proporzioni inimmaginabili, in una regione già profondamente martoriata (se ne parla poco ma nel frattempo l’Iraq è sull’orlo di una guerra civile), si aggiunge il disgusto per la patetica e criminale politica estera europea che fa la voce grossa con Maduro ma che ha affidato a un despota criminale come Erdogan la “gestione” dei rifugiati siriani, costretti a vivere nei fatiscenti campi profughi turchi. Oltre a svariati milioni di euro, l’Europa ha dato al sultano turco un’arma di ricatto fortissima: se non gli lasciano fare quello che vuole, manda milioni di profughi. Così Erdogan si può far beffe delle blande sanzioni europee: nessuno pensa realmente che abbia un minimo effetto lo stop delle forniture di armi a uno degli eserciti più equipaggiati al mondo.
Ma la terribile vicenda curda ci ha fatto vedere anche l’enorme confusione della sinistra in politica estera. Non possiamo non ricordare come siano state tantissime le voci dei “progressisti” che hanno urlato contro il dittatore Assad e che hanno elogiato il coraggio e l’eroismo dei “ribelli”. Anche quando sono venute fuori Al Nusra e l’ISIS, si è continuato a blaterare di Primavere Arabe e dei valori progressisti e democratici incarnati dai primi ribelli, quelli inquadrati nel famigerato Esercito Libero Siriano. Che ora combatte al fianco di Erdogan per sterminare i curdi e trasformare il nord della Siria in un nuovo ricettacolo di tagliagole jihadiste. Assad potrà non piacere ma forse se avesse avuto un minimo in più di appoggio internazionale forse non saremmo finiti in questa situazione terribile che non smette di accumulare tragedia su tragedia. Non resta che sperare che l’avanzata verso nord dell’esercito di Assad coadiuvata dai russi dissuada la Turchia da un’escalation che può avere conseguenze ancora più catastrofiche di quando si possa anche solo immaginare.
Immagine da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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