Siamo abituati a guardare al passato come a una storia fatta da grandi uomini che prendono decisioni epocali, capaci di guidare gli eserciti e di dare forma alle istituzioni. La seconda Repubblica romana è poco studiata nelle scuole italiane e spesso viene liquidata con la citazione del triumvirato Mazzini-Saffi-Armellini. Valerio Evangelisiti le regala invece un romanzo bello e importante: 1849. I guerrieri della libertà. In una cornice di attenta ricostruzione del contesto è il popolo a recuperare la centralità con cui muove il tempo. Tra fiumi di vino, fumo di sigaro e sangue prende così corpo un nuovo tassello della galassia letteraria di uno dei principali scrittori italiani. Un sistema narrativo, come evidenziato da Alberto Sebastiani in una recente pubblicazione (Nicolas Eymerich, edita da Odoya nel 2018), capace di disegnare una visione che parte dell’epoca medievale e arriva a un distopico futuro, coinvolgendo pagine di cronaca italiana.
Dopo la trilogia del Sole dell’Avvenire, Evangelisti torna alla famiglia Verardi, seguendo la migrazione di un romagnolo a Roma, dove Pio IX inizia a farsi odiare con sempre maggiore intensità dalla popolazione. La lotta di classe può svilupparsi anche in assenza di una componente operaia, perché spesso matura anche senza una piena consapevolezza da parte degli oppressi, chiamati a obbedire ma spesso indifferenti alla retorica. La dignità è una conquista difficile, appare raramente agli onori della storia pubblica, perché al nostro sistema economico conviene celare la massa in rivolta, non rassegnata, arrabbiata, capace di trovare coraggio nella sua disperata condizione. Teste che si alzano e scorgono i raggi di una speranza, per conquistare un futuro migliore: questa è la Repubblica Romana riscoperta nel romanzo. Tra i sigari di un artritrico Garibaldi, la chitarra notturna di Mazzini e canti popolari scritti di Mameli la scena è presa da nomi meno conosciuti. Prostitute, uomini al limite tra il commercio e il banditismo, disorientate figure in cerca di un loro posto nel mondo. La realtà è fatta prevalentemente di confusi interessi da scoprire e da difendere. L’epopea di Evangelisti non è eroica ma per questo ha molto da poter dire all’epoca presente. Parla della condizione umana e di come questa non sia immutabile. Chiama alla responsabilità di non arrendersi. Nella consapevolezza di come ogni individualità abbia i suoi difetti e i suoi limiti, da superare in una dimensione collettiva, dove si scrive effettivamente la storia.
1849 merita di essere acquistato e letto appena uscito, in modo da convincere autore ed editore a proseguire nella scrittura di questi romanzi, perché sono molte le pagine possibili tra la Repubblica romana e l’epoca post-risorgimentale. Dopo il racconto pubblicato in Controinsurrezioni, Evangelisti torna a scrivere delle Camicie rosse prima che vestissero le camicie rosse, di vigliacchi capaci di scoprirsi coraggiosi, di uomini e donne privi di aspirazioni che invece scelgono di assaltare il cielo. Di quella umanità che sa farsi guerriera per la propria dignità, senza nascondersi dietro il sacrificio di pochi eroi. Il desiderio, la passione, la sete, la fame: c’è un motore costante nel corso della storia, che spesso si scontra con i sistemi di potere, che spesso si riaffermano schiacciando le rivolte e rivoluzioni, per poi tornare apparentemente stabili.
Più accurato del film In nome del popolo sovrano, ne ricorda inevitabilmente le atmosfere, ma emoziona quanto ha saputo fare con gli altri romanzi dedicati alla famiglia Verardi.
Chiuso il libro vi guarderete attorno, un po’ spersi, chiedendovi come mai non suonino i cannoni all’orizzonte, non si innalzino schiamazzi e canti dalle strade, dove siano finiti quei guerrieri dalle strane vesti, dove ritrovare quella curiosa folla affrettatasi a scrivere una costituzione destinata a non trovare mai attuazione, se non dopo la Resistenza e con la nascita della Repubblica italiana antifascista, presto tradita nel corso del XX secolo.
Non resta che scegliere di essere una parte attiva di quella storia a cui Evangelisti sa dare voce, per una lotta che non si sa se potrà mai risolversi definitivamente in modo positivo, ma che necessariamente deve essere portata avanti, perché l’unica possibile per difendere chi vede negata la propria dignità di essere umano. Un avvenire ci sarà sempre, occorre solo saperlo conquistare.
Fotografia di Dmitrij Palagi
Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.