2016. In tutto il mondo viene fuori lo scandalo “Panama Papers” (per saperne di più vedere qui). Lo studio legale panamense Mossack Fonseca, fondato nel 1977, aveva in gestione oltre 11 milioni e mezzo di documenti riservati su società offshore. Un potere immenso, inimmaginabile. Considerando la mole di informazioni in loro possesso, Mossack e Fonseca ha in mano gran parte dell’economia mondiale. Lo studio lavora ancora oggi con le più grandi istituzioni finanziarie mondiali, come Deutsche Bank, HSBC, Société Générale, Credit Suisse. Questi sono solo alcuni nomi. Queste carte svelavano in pratica imprenditori, funzionari pubblici, politici (e non solo) che avrebbero sottratto numerose risorse al controllo dei vari Stati di appartenenza (vedi qui). C’è anche una battuta autoironica nel film: “anche il regista di questo film ha cinque società coinvolte in questa pratica”. Come per sottolineare che anche Hollywood è rimasta impelagata nel caso. In gergo si chiamerebbe evasione fiscale. Nei documenti sono menzionati i leader di cinque paesi (Arabia Saudita, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Islanda e Ucraina), ma anche collaboratori dei capi dei Governi di oltre 40 Paesi (Italia inclusa).
La vicenda fece particolarmente scalpore. Il premier islandese fu costretto a dimettersi. In Italia i vari Governi discutono ogni volta di ridurre l’evasione fiscale, ma poi, come per magia, quelli che pagano sono sempre gli stessi. Mentre i veri criminali sono sempre a piede libero. In America l’evasione fiscale è punita con pene spesso severe (carcere compreso), da noi invece l’applicazione delle sanzioni è piuttosto lieve.
Steven Soderbergh, dopo i virus di “Contagion”, le controindicazioni dei farmaci di “Effetti Collaterali” e l’instabilità mentale di “Unsane”, cambia ancora. Come è suo solito alterna progetti sperimentali a cinema commerciale: stavolta il metodo di narrazione è ancora diverso, prendendo spunto dal libro “Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite” del giornalista Jake Bernstein.
Miscelando “La grande scommessa” di Adam McKay con celebri toni divistici da “Ocean’s Eleven” e ritmi alti, si prende grandi rischi usando un tono da “black comedy” per descrivere un caso piuttosto complesso. Questo perché era consapevole che a pochi sarebbe interessato un documentario sul tema. La cosa si capisce da come inizia il film.
Si parte da un incidente che coinvolge una donna vedova, Ellen Martin (Meryl Streep), che non viene ricompensata adeguatamente dall’assicurazione. Indagando, scopre una falsa polizza legata a società fantasma che riconduce allo studio Monsack e Fonseca. Usando il meccanismo delle scatole cinesi, Soderbergh arriva ad analizzare per strati il meccanismo dei “Panama Papers”. Cerca anche di depistare lo spettatore, mettendo sul piatto episodi apparentemente inutili ai fine della risoluzione della storia. Il ritmo è alto, il film ti avvolge fino alla fine per poco più di un’ora e mezzo.
Il vero villain del racconto ha sede a Panama. Un mostro da due teste: Mossack e Fonseca, interpretati dagli scoppiettanti ed elegantissimi Gary Oldman e Antonio Banderas. Sono loro a raccontare al pubblico la favola che riguarda la storia del denaro e, poi, del credito. Questa storiella inizia con un’immagine abbastanza inconsueta: “immaginatevi che a chi serva una mucca debba comprarla da chi odia le banane”. Potrebbe sembrarvi un’imitazione, ma tranquilli Crozza in versione Bersani stavolta non c’entra. Soderbergh si chiede come sia possibile che sia così facile per i super ricchi accedere a tali benefici, mentre noi comuni mortali siamo costretti a subire le conseguenze di tali azioni. Come la frase mantra del film: “perché qualcuno vinca, qualcun altro deve perdere”. Ovviamente a perdere è la collettività. Lo stesso regista, alla conferenza stampa a Venezia, ha ricordato che “oggi il 50% della ricchezza mondiale è nelle mani dell’1% della società. Sentivo la necessità di fare un film su quest’argomento”. L’unico momento serio della vicenda è nel finale, quando Meryl Streep (ancora un altro film politico “liberal” dopo “The post”) ricorda alcuni passaggi del manifesto della talpa che ha fatto partire lo scandalo.
Tuttavia il film non è omogeneo, è frettoloso ed è piuttosto altalenante. Diviso in capitoli, è sorretto dalle interpretazioni di Meryl Streep e della coppia Gary Oldman – Antonio Banderas (che finalmente ha mollato la gallina Rosita). La strada scelta da Soderbergh, che poteva sembrare la meno battuta, diventa invece quella più facile. Il film non è un’inchiesta giornalistica e quindi non è del tutto incisivo. Non mancano tuttavia le prodezze con spruzzate tipiche del cinema di Billy Wilder (l’avvelenamento di un finanziere di una donna cinese, la famiglia nera che gestisce il tradimento come un contratto per il credito). Insomma tanto intrattenimento con briciole di denuncia, con monito finale da vedere. E’ incredibile come a Hollywood ultimamente stiano criticando il capitalismo. Dopo La grande scommessa, The wolf of Wall Street, ecco un altro film del filone partito nel lontano 1987 con “Wall Street” di Oliver Stone. Come giustamente ha detto Meryl Streep a Venezia, “sono le persone semplici, come può essere mia madre, che si fidano degli altri e credono nella giustizia e quando scoprono che non c’è si attivano e non mollano a far andare avanti le cose”. Qualcuno doveva smuovere le acque e far suonare l’allarme. Nel complesso Soderbergh pare esserci riuscito, ma con il materiale a disposizione poteva osare di più.
Vi ricordo che il film non uscirà nelle sale italiane, ma solo su Netflix dal 18 ottobre.
FONTI: Comingsoon, Cinematografo, Mymovies, FilmTv, La Stampa, Il post
Regia ***1/2 Interpretazioni ***1/2 Film ***1/2 Sceneggiatura *** Fotografia ***1/2
PANAMA PAPERS
Titolo Originale: The Laundromat
(USA 2019)
Genere: Black Comedy
Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: Scott Z. Burns
Fotografia: Steven Soderbergh
Cast: Gary Oldman, Meryl Streep, Antonio Banderas, Will Forte, Jeffrey Wright, Sharon Stone
Durata: 1h e 36 minuti
Produzione e distribuzione: Netflix
Uscita: 18 Ottobre 2019 (SOLO su Netflix)
In concorso al 76° Festival di Venezia e al Festival di Toronto
Trailer qui
La frase: Perché qualcuno vinca, qualcun altro deve perdere
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.