4 ottobre 2009, Teatro Smeraldo di Milano. Nasce non un nuovo partito ma un “movimento che già esiste” e “indistruttibile”, secondo le parole del “fondatore”, Beppe Grillo. Del Movimento 5 Stelle ci è capitato di scrivere più volte sul Becco, si tratta sicuramente della novità più rilevante dell’ultimo decennio politico nazionale. Nel mentre si registrano delle tensioni tra Conte e Renzi, a breve distanza dalla nascita del secondo governo pentastellato, stavolta in alleanza con il centrosinistra, la nostra rubrica a più mani prova a riflettere su questo “anniversario”.
Piergiorgio Desantis
Dieci anni sono un tempo sì breve ma già sufficiente per fare un primo bilancio. L’Italia, dopo due lustri di presenza attiva del Movimento 5 Stelle, è mutata e, in verità, è andata ancor più indietro e ciò non solo a causa della loro incapacità di incidere sulla situazione politica ed economica. Tuttavia, concentrandosi sul periodo di governo (ossia l’ultimo anno e mezzo), alcuni dei provvedimenti portati a casa (tra cui il reddito di cittadinanza) appaiono ancora limitati e assai lontani dallo “sconfiggere la povertà”; inoltre, si avverte tutto lo iato tra le dichiarazioni degli esponenti governativi e la dura realtà del lavoro e dei lavoratori in Italia.
Viceversa è da riconoscere al Movimento 5 stelle la capacità e il coraggio di muoversi con più libertà e con meno dogmi in politica estera rispetto ai governi che si sono succeduti dagli anni ’90 fino ad oggi. La firma del protocollo “Cina belt and road” o “Nuova via della seta”, nonostante le pressioni giunte da più parti, è stato un risultato importante, vieppiù conquistato nonostante l’opposizione della Lega, allora alleato di governo.
Malgrado la prevalenza delle ombre sulle luci, c’è molto da imparare anche a sinistra dall’esperienza dei pentastellati. Alcuni dei temi che fin dall’inizio li hanno caratterizzati sono stati molto significativi: dalla lotta alla corruzione alla tutela dell’ambiente fino al contrasto della precarietà. Si tratta, dunque, di questioni che parlano al nostro stesso popolo sconfitto, smarrito e confuso. Per la ricostruzione di un tessuto connettivo di sinistra (ideale e materiale), sarà necessario continuare a dialogare e trovare terreni comuni anche con questa forza politica, senza peraltro assumere particolari atteggiamenti schifiltosi o di superiorità morale.
Dmitrij Palagi
Forse non è tanto l’esistenza del Movimento 5 Stelle, quanto il vuoto della politica italiana, che dovrebbe interrogare sugli ultimi dieci anni della nostra Penisola. Ho avuto modo di incontrare una delle prime esperienze elettorali di questo strano fenomeno, nato su ispirazione di Beppe Grillo, durante delle elezioni amministrative. Nel frattempo tante persone sono entrate e uscite, ma tutte più o meno convinte che fosse meglio “del resto”. In modo indefinito, sbagliato, conseguente alle scelte del sistema istituzionale ed economico nato con la cosiddetta Seconda Repubblica.
Siamo sicuri che la Lega di Salvini sia molto diversa, che l’Italia dei Valori fosse tanto diversa, che parte di Rifondazione e di Forza Italia fosse diversa? Nel pieno dei miei trenta anni di età ho sempre più spesso l’idea di essere cresciuto in una grande illusione. Che ci fosse un’eredità in corso di trasformazione. Forse siamo invece semplicemente in transizione. Sempre che il nuovo tipo di società permetta una stabilizzazione in tempi brevi. Nel frattempo di un Movimento in grado di governare con la Lega e poi con il PD mantenendo lo stesso Presidente del Consiglio c’è poco da dire. Basta guarda la velocità con cui il consenso si è spostato tra Berlusconi, Monti, Renzi, Grillo e Salvini. Stare sempre attenti a non invertire l’ordine tra cause ed effetti… Una priorità da non dimenticare…
Jacopo Vannucchi
Non è semplice giudicare con occhio storico un fenomeno tuttora in corso, e forse è perfino ingannevole provare a farlo. La parabola, ancora inestinta, del Movimento 5 Stelle di questi anni ha attraversato, in un tempo tutto sommato breve, numerosi settori: la protesta populista, la sinistra radicale, il qualunquismo antipolitico, il tumulto di piazza, il neonazismo (si ricordino i richiami alle SS e a Hitler nel periodo 2013-14), il conservatorismo moderato, il centrismo; il tutto, s’intende, condito dagli scontri interni tra destre e sinistre e da frange settarie unitesi al M5S per i motivi più disparati – dalla lotta contro la Bolkestein a confuse esigenze di democrazia diretta.
Se è vero il detto di Karl Marx secondo cui «l’anatomia dell’uomo fornisce una chiave per l’anatomia della scimmia», il degrado e per certi versi la barbarie che il M5S ha fatto esplodere nella politica italiana forniscono una chiave per comprendere i germi che si annidavano in precedenza nei gruppi sociali e politici del Paese. Non soltanto in quelli di destra – del resto più comprensibili, e sui quali molto è stato scritto da studiosi di orientamento progressista (Guido Crainz) o liberale (Giovanni Orsina) – ma anche in quelli di sinistra. A maggio 2019, cioè dopo quasi un anno di alleanza con la Lega, il 35% degli elettori del M5S si definiva ancora di sinistra o centrosinistra, a poca distanza dal 40% di “non collocati” e ben superiore al 25% del più ampio spettro centro-centrodestra-destra (vedi qui)
Per cui viene da chiedersi, citando mio malgrado un verso de «La canzone popolare» riutilizzato anche da Damilano: “chi ha sbagliato più forte”? Se nel M5S sono confluite le spinte antisistema che prima del 2008 avevano trovato rappresentanza nella sinistra radicale, sono necessarie una presa d’atto e un’indagine.
La presa d’atto: quelle spinte si muovevano non contro il capitalismo (e tantomeno per il suo superamento dialettico), ma contro confusi bersagli complottisti di élite, caste, poteri occulti, massonerie, eccetera.
L’indagine: quando è iniziata questa degenerazione nel movimento comunista italiano? C’è sempre stata? In che dimensioni? È stata soltanto contenuta, e magari anche solo verniciata, dal PCI e dalla guerra fredda?
Ho letto più volte ricostruzioni secondo cui il PCI sapeva “incanalare la rabbia”, ma non posso dire di averne tratto un sapore dolce. La rabbia non va incanalata, va imbrigliata e costretta a diventare qualcos’altro (la coscienza storica). Altrimenti, il primo mattone che viene tolto rischia in breve tempo di far crollare qualsiasi diga.
Immagine da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.