La risoluzione del Parlamento Europeo che ha di fatto equiparato nazismo e comunismo è stata al centro di vivaci polemiche. Il processo di revisionismo storico ai danni dell’Unione Sovietica che è cominciato con la fine della Guerra Fredda, sembra non trovare alcun freno ed interroga profondamente una sinistra in crisi di identità e di narrazioni.
Piergiorgio De Santis
La risoluzione del Parlamento europeo su “l’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” (sic) equipara spudoratamente tutte le esperienze e i partiti comunisti al nazismo. Oltre alla dimenticanza grave dei milioni di sovietici (civili e soldati) morti per liberare la stessa Europa (e il mondo intero) dalla terribile bestia nazifascista, essa è una clamorosa panzana storica, così grande da far sobbalzare quasi tutti gli studiosi (quelli in vita e pure quelli post-mortem); essa è anche un gigantesco regalo agli stati dell’Est Europa per l’entrata nell’UE e per il loro ruolo svolto in funzione antirussa. Tuttavia, l’attacco non è solo al comunismo e all’esperienza dell’URSS ma è anche al movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, alle sue organizzazioni e ai partiti che hanno avuto fondamento e origine dal Socialismo e dai suoi emblemi.
La questione, difatti, non è appannaggio dei cosiddetti “nostalgici”, bensì riguarda, neanche troppo velatamente, tutte le esperienze di lotta, prima tra tutte il diritto di sciopero (solo per fare un esempio significativo). Il conflitto sociale, che pur è stato a fondamento dei “Trenta anni gloriosi”, viene espunto fin dalle fondamenta nel futuro europeo, lasciando spazio, ancora una volta, alla concorrenza e allo status di cittadini e consumatori.
Jacopo Vannucchi
La risoluzione del Parlamento europeo che di fatto equipara il regime nazista a quelli socialisti dell’Europa orientale è la risultante della fusione di quattro proposte distinte, presentate ciascuna dai gruppi conservatore, popolare, liberale, socialista, nell’intento di fornire una versione “ufficiale” della memoria storica a 80 anni dall’aggressione tedesca alla Polonia che dette avvio al secondo conflitto mondiale. Pur nella diversità di accenti, è evidente l’impostazione anticomunista e dogmatica dei principii che le hanno ispirate.
Non stupisce, è chiaro, che i gruppi dell’arco centro-destra abbiano votato a favore: essi rappresentano forze sociali (la Chiesa cattolica, il grande capitale, persino medii e piccoli imprenditori) che dal crollo delle società socialiste dell’Est hanno tratto affari d’oro.
Più difficile spiegare il voto quasi unanime (hanno eccepito il Partito socialista bulgaro e qualche parlamentare “sciolto”) del Pse, visto che la fine del socialismo in Est Europa ha portato a gravissimi contraccolpi occupazionali sia ad Est sia ad Ovest e alla frantumazione di molte tutele sociali sia ad Est sia ad Ovest – oltre, naturalmente, a squilibrare in modo tragico i rapporti tra potenze a livello mondiale.
Per spiegarlo si possono avanzare alcune ipotesi, probabilmente tutte valide:
1. l’ignoranza storica (Pisapia, ad esempio, ha riproiettato le tendenze eurocomuniste dei partiti italiano, francese e spagnolo anche su tutta la loro storia pregressa);
2. un anticomunismo cieco e brutalmente banale non meno di quello di destra (caso massimo la Spd, che evidentemente non riesce proprio a porsi il problema della sua perdita di consensi e dell’arrembaggio neonazista in Germania orientale);
3. l’adesione intima, più o meno consapevole, a un antistatalismo dottrinario che non può che individuare in fascismo e socialismo due forme eguali e contrarie di invasione pubblica della sfera economica;
4. una mancata comprensione della rilevanza e del significato di ciò che si stava votando (Bartolo, per esempio, ha successivamente rettificato il proprio voto, il che equivale più o meno a dire “ho detto che chi ha costruito Auschwitz e chi l’ha liberata sono uguali? Ah be’, scusate, mi sono sbagliato”).
Sarebbe facile lamentarsi che dal Labour di Corbyn alla destra polacca ormai sarebbero “tutti uguali”, ma questo non risolverebbe il problema delle aggressioni vandaliche alla memoria. Anzitutto errori di impostazione storica sono stati compiuti in passato, ad esempio con la modalità sbrigativa con cui nel 1956 l’Urss ha ritenuto di regolare il proprio bilancio sul periodo staliniano (o, per meglio dire, di tacerne come di un tabù). E, per tornare all’oggi, trovo personalmente desolante che la sinistra europea non abbia ritenuto di presentare una propria proposta di risoluzione sulla memoria storica, che avrebbe potuto fornire un contraltare plastico alla versione di destra e magari disturbare la linea revisionista interna al Pse.
Alessandro Zabban
L’obbrobrio storico votato dalla maggioranza del Parlamento Europeo, mette tristemente in luce la totale egemonia culturale del neoliberismo. Ogni critica al capitalismo viene inglobata nel sistema oppure se non è inglobabile, come il comunismo, viene denigrata come male assoluto, accostata alla barbarie nazista.
La sinistra ha mostrato tutta la sua debolezza accettando pezzo dopo pezzo la fantasiosa ricostruzione delle destre dopo la caduta del Muro. La demonizzazione di Stalin, ora ritenuta quasi doverosa da chiunque si definisca di sinistra, era impensabile fino a qualche decennio fa. Ma ci si è spinti oltre, finendo in sostanza per liquidare l’esperienza sovietica come mero autoritarismo (se non totalitarismo) senza provare a fare un bilancio storico di più ampie vedute (il sacrificio fatto per sconfiggere il nazismo, il ruolo cruciale nella decolonizzazione, il miglioramento delle condizioni di vita per milioni di persone). Passo dopo passo i “compagni” hanno finito per celebrare tutte le esperienze controrivoluzionarie possibili: ancora oggi molti partiti della sedicente sinistra radicale esaltano eventi estremamente controversi, dal ’56 ungherese fino a Tiānānmén, passando per i fatti di Praga e le proteste di Solidarność, identificandosi con gli “oppressi” ma dimenticando il quadro generale di una reazione imperialista contro le forze progressiste che una volta schiacciate avrebbe dato il là alla disastrosa stagione della globalizzazione neoliberista. Ci si dovrebbe chiedere quale sia il vero totalitarismo, se il comunismo sovietico, crollato senza quasi sparare un colpo, oppure il dominio capitalista, che non accetta alcuna esternalità critica ad esso e che bolla come criminale qualsiasi idea che lo metta in discussione.
Immagine da www.pexels.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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