I prodromi della scissione
Non è un segreto che Renzi abbia spesso accarezzato l’idea di lasciare il Partito Democratico per fondare una propria formazione politica. Per sua stessa ammissione ci ha pensato due volte: a fine 2012 dopo la sconfitta nelle primarie del centrosinistra, a metà 2014 dopo la vittoria alle elezioni europee.[1] Nella prima di queste occasioni era stata lanciata anche una forma di tesseramento a “Adesso!”.
Più di recente, nel dicembre 2018 Minniti rinunciò a candidarsi alla segreteria del PD, in rappresentanza dell’area “renziana”, perché Renzi si sarebbe rifiutato di sostenerlo personalmente e di sottoscrivere un documento in cui si dichiarava «il PD è e sarà sempre casa nostra».[2] Già nel mese precedente l’ex segretario, riunendo i propri sostenitori a Salsomaggiore, aveva esplicitato con chiarezza l’intenzione di non formare una propria corrente nel partito.[3]
L’insieme di questi eventi portò alla divisione dei “renziani” in due aree: una dialogante con il resto del partito, che sostenne la candidatura di Maurizio Martina, e una ortodossa che espresse la candidatura del ticket Roberto Giachetti-Anna Ascani. A ciò fece seguito un’ulteriore divisione post-congressuale, perché Luca Lotti e Lorenzo Guerini uscirono dall’area Martina per fondare “Base riformista”, mentre Delrio restò con l’ex candidato, e oggi ancora un’altra divisione in quanto Giachetti ha seguito Renzi mentre la Ascani è rimasta nel Pd.
Nell’intenzione di essere «senatore semplice»[4] e nell’ostentato rifiuto di guidare una corrente si coglieva quindi un sempre maggiore disimpegno dal partito, evidentissimo anche nella rivendicata scelta di non partecipare alla Direzione nazionale «per rispetto. […] non per andare dietro alle correnti del Pd, di cui ho perso il conto»[5], partecipazione cui del resto già si negava prima dell’elezione a segretario nel 2013. Ma oltre a questo si è colto un crescente disimpegno anche da alcuni dei suoi stessi collaboratori.[6]
La ragione politica di Italia Viva
Apparentemente la scissione di Italia Viva è “a freddo”, senza una motivazione politica concreta o un casus belli. Desta interesse anche l’assenza di qualsiasi polemica verso il PD e, anzi, l’elogio per alcuni suoi esponenti come Nardella o Gualtieri.[7] Dal punto di vista programmatico, Renzi ha sviato quasi tutte le domande sull’immediato additando invece tematiche generali da enucleare in un orizzonte temporale pluriennale (l’ambiente, l’intelligenza artificiale, eccetera).
In realtà la motivazione politica c’è, ed è una trave nell’occhio di chi non la vede. Quelli che l’hanno intravista hanno perlopiù ironizzato sul fatto che Renzi, dopo aver bloccato le trattative M5s-Pd ad aprile 2018, le avesse fatte ripartire lo scorso agosto e ora, formato da due settimane il nuovo governo, esca dal partito. Ma è invece proprio la costituzione di questa nuova coalizione governativa la ragione più profonda della nascita di Italia Viva. Renzi ha preso atto dell’inevitabile alternativa tra nuove elezioni, con il blocco sovranista che avrebbe avuto la super-maggioranza parlamentare dei due terzi, e accordo con il nemico di sempre e ha scelto quest’ultima strada, spendendosi per farla andare in porto, coprendo il lavoro di Zingaretti e lavorando per smascherare quelli che ne riteneva i sabotatori interni (si ricordi l’audio “rubato” su Gentiloni).[8]
Il Conte II si è costituito, ma non è stato il “governo istituzionale” di tregua che Renzi aveva inizialmente prospettato: esso è invece un governo che ambisce a realizzare un programma condiviso di legislatura e che getti le basi, evidentemente, per un futuro rapporto di alleanza tra i due maggiori contraenti. Questa scelta è stata voluta da Zingaretti, che conta sulla maggioranza congressuale del PD: Renzi ne ha rispettato l’evoluzione, ma poi non ha potuto che compiere una seconda presa d’atto e scegliere di uscire, in coerenza con le proprie storiche posizioni di – diciamo – “diffidenza” verso il M5s.
Per un uomo politico sovente descritto come preda del proprio ego e prono ai colpi di testa si tratta invece di riflessioni spietatamente razionali, ciniche e machiavelliche in senso tecnico e, anche, del tutto consce di un famoso avvertimento di Marx: «Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione».[9]
Non c’è dubbio che Renzi si senta davvero personalmente e psicologicamente sollevato dalla possibilità di non subire più un fuoco di fila interno, e che si trovi certamente a maggiore agio nella veste di guida protagonista che in quella di gregario, sia pure da “eminenza grigia”. Ma sarebbe una sprovvedutezza ritenere che una decisione così importante sia stata presa sull’onda di considerazioni meramente personali ed emotive.
Perché lo ha fatto?
Le interpretazioni possibili della scelta di uscire dal Pd sembrano dunque due, secondo che la si legga nell’ottica del breve periodo oppure – come vorrebbe Renzi – del lungo periodo.
Nel breve periodo la nascita di Italia Viva mette in sicurezza l’esecutivo, consentendo da un lato di estendere la maggioranza verso destra, in direzione delle forze liberali, dall’altro, di consolidare la gamba sinistra con una prevedibile riunificazione tra PD e Articolo 1 e il rientro di Sinistra Italiana nella coalizione. Naturalmente è ingenuo pensare che IV non ponga al governo le proprie priorità politiche, ma questa azione sembra doversi svolgere all’interno del governo stesso, a cominciare dall’annunciato “Family Act” della ministra Bonetti.
L’estensione del campo del centrosinistra è del resto una necessità riconosciuta da tutti gli esponenti PD dopo il 4 marzo 2018 – anche da quelli che illo tempore storsero il naso davanti al “partito della nazione”; ma è inutile piangere sul latte versato.
Secondo questa lettura il fine di Italia Viva sarebbe dunque meramente temporaneo, destinato a marcare un proprio territorio all’interno del processo di ricomposizione del campo di centrosinistra, oppure a svolgere un ruolo che, ironia della sorte, è stato immaginato dieci anni fa da Massimo D’Alema. Questi aveva promosso nel 2009 la candidatura a segretario PD di Pier Luigi Bersani e, dopo la sua vittoria, vide con favore la conseguente uscita dal partito di Francesco Rutelli e altri centristi, che formarono Alleanza per l’Italia. Nella sua opinione ciò avrebbe consentito di prendere due piccioni con una fava: il PD si sarebbe consolidato attorno a un’identità più chiaramente incardinata nella sinistra socialdemocratica, mentre la neo-costituita ApI avrebbe potuto fare da ponte tra i democratici e l’UdC di Casini in vista di una larga alleanza contro la destra berlusconiano-leghista. Italia Viva potrebbe oggi ricoprire un’analoga funzione, fornendo un canale per l’inclusione nel campo di centrosinistra di elementi dell’altro schieramento (secondo il più recente sondaggio, gli elettori di IV provengono per oltre il 60% da partiti di opposizione al Conte II).[10]
Ma se invece la traiettoria di Italia Viva è da intendersi – come Renzi dice che è – su un orizzonte e un significato più ampi, la questione si complica. In questo caso è evidente che egli non si limiterebbe a mantenere tutte le proprie perplessità sulla facilità e l’assenza di insidie di un accordo col M5S, ma, in aggiunta a questo, avrebbe già considerato la probabilità di un fallimento. Nella versione più cruda, scommettendo di fatto su tale epilogo e sull’impatto rovinoso che esso avrebbe sulle sorti del PD. Ma, se non questo, perlomeno costruendo un rifugio sicuro per il centrosinistra in un simile caso.
È certo che Renzi voglia davvero che sia questa legislatura ad eleggere il Presidente della Repubblica a gennaio 2022, se non altro per avere la garanzia di poter influire su quel percorso. Ma iniziare a strutturare un proprio contenitore all’inizio di questa inedita esperienza di governo gli consentirà nel prossimo futuro un margine di manovra per sviare i colpi avversari o almeno limitare i danni, come del resto già fatto alle politiche 2018.
Durante tutta la sua esperienza politica l’ex sindaco di Firenze ha dato prova di essere un ottimo tattico. Ma se tutto il suo comportamento negli ultimi due anni potesse essere riletto come parte di un unico piano – la conservazione di uno spazio politico di centrosinistra sotto le avanzate congiunte del qualunquismo e della destra estrema – allora gli si dovrebbero riconoscere anche non comuni doti di stratega.
I rischi
Nulla è esente da rischi, tantomeno in un panorama politico connotato negli ultimi anni da un’estrema volatilità del consenso.[11]
Un primo rischio è che il nuovo partito viva e venga vissuto come un partito che ha la propria ragione soltanto nella leadership personale di Matteo Renzi. Questo non significa necessariamente che andrà incontro al fallimento: le leadership personali si sono rivelate spesso durature, cogliendo successi anche rilevanti. Basti ricordare, in ordine sparso, Berlusconi, Bossi, Grillo, Di Pietro, Salvini, Mastella, Pannella, e anche Prodi, che oggi riserva critiche aspre alla nascita di Italia Viva ma che non molto tempo fa definiva il suo più grande errore non aver fondato un proprio partito.[12] Che in realtà, però, aveva fondato! I Democratici, nel 1999; un partito che rispetto ai rapporti con l’alleato DS diceva «competition is competition», che aiutò il Professore a diventare Presidente della Commissione europea e che qualche mese dopo fu fatto entrare nel governo italiano con propri ministri grazie ad una crisi pilotata ad hoc, richiesta e ottenuta, del primo governo D’Alema.
Ma le leadership personali indeboliscono sempre la coscienza civica dell’elettorato, perché il rapporto diretto tra il capo e il popolo favorisce il disprezzo dei meccanismi di mediazione e rappresentazione che costituiscono un architrave del sistema democratico pluralista. E questo indebolimento alla fine si ritorce anche contro chi se ne è inizialmente giovato: così, ad esempio, Berlusconi ha preparato il terreno a esplosioni elettorali che non sono né liberali né moderate e anche Di Pietro, dopo essere stato travolto dal grillismo, ha compiuto una profonda autocritica sul proprio modo di far politica.[13]
Un secondo rischio è che il partito si strutturi sì intorno a idee programmatiche forti, ma che l’appeal di queste idee risulti troppo contenuto. Una delle critiche mosse a Renzi da parte di suoi (ex) compagni di partito (e non solo) è che l’impronta che egli aveva dato al PD risultava appetibile solo per chi è già garantito dall’attuale sistema economico, cioè i pensionati e i ceti abbienti. Oggi Renzi fa mostra di rivolgersi soprattutto ai giovani, ma questo può non bastare, e non solo perché ormai i giovani sono meno degli anziani[14], ma perché il target è costituito da quei giovani che sì non sono garantiti sotto l’aspetto occupazionale, ma lo sono culturalmente: laureati, magari in atenei privati, che non si trovano affatto a disagio con le sfide e i mutamenti indotti dalla globalizzazione.[15] E se Italia Viva viene percepito come il partito vagamente tecnocratico dell’élite liberal, difficilmente potrà salvare il centrosinistra in caso di naufragio del Pd sullo scoglio grillino.
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https://www.huffingtonpost.it/2019/02/17/matteo-renzi-due-volte-ho-pensato-di-fondare-un-partito-orgoglioso-di-aver-detto-no-a-m5s_a_23671461/ ↑
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https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/12/06/primarie-pd-marco-minniti-si-ritira-lo-faccio-per-salvare-il-partito-matteo-renzi-verso-la-scissione-a-gennaio/4816752/ ↑
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https://www.democratica.com/focus/renzi-salsomaggiore-pd-guerini/ ↑
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http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/03/05/renzi-faro-il-senatore-semplice_238b430f-2a0e-4e5b-a0fc-6382fa82b78b.html ↑
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https://www.corriere.it/politica/19_agosto_13/crisi-governo-renzi-salvini-ha-fallito-mio-appello-ha-spazio-essere-accolto-ff201224-bdd8-11e9-88cc-58d8f24ec1cd.shtml ↑
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https://www.ilmessaggero.it/pay/edicola/renzi_nuovo_partito_italia_viva_programma-4749143.html ↑
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https://www.repubblica.it/politica/2019/08/23/news/matteo_renzi_scuola_politica_paolo_gentiloni_pd_m5s_repubblica_huffington-234168981/ ↑
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K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, cap. I. ↑
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https://www.corriere.it/politica/19_agosto_12/i-sondaggisti-lega-top-ma-previsioni-difficili-elettori-turbati-crisi-6a7bfae2-bd3e-11e9-9a7d-1da7a91a90cf.shtml ↑
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http://www.radio24.ilsole24ore.com/notizie/prodi-pentito-aver-fatto-120258-gSLAnjV27 ↑
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https://www.ilpost.it/2017/09/09/di-pietro-consenso-paura/ ↑
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https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/22/news/l_italia_invecchia_per_la_prima_volta_i_sessantenni_superano_i_trentenni-209644036/ ↑
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Si veda ad esempio l’indagine tra gli studenti della Bocconi durante la campagna elettorale 2018: PD, +Europa e Forza Italia, cioè i tre partiti da cui provengono i tre quarti degli elettori di Italia Viva, totalizzavano il 67%, mentre il consenso nazionale che effettivamente raccolsero fu pari al 35%. https://www.traileoni.it/2018/02/elezioni-4-marzo-i-risultati-del-nostro-sondaggio/ ↑
Immagine di Francesco Pierantoni (dettaglio) da flickr.com
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.