Oggi il Presidente del Consiglio riferirà al Senato sulla crisi di governo che, sebbene formalmente non sia ancora stata aperta, agita la politica e disorienta il Paese da ormai undici giorni. L’azzardo di Salvini ha prodotto una serie di reazioni, certamente per lui inaspettate, che hanno rinfocolato il dibattito interno ai partiti e quello esterno tra le varie forze politiche. Dibattito per ovvie ragioni non sempre pubblico, ma di cui le fonti hanno fatto arrivare alla stampa informazioni che non sembrano troppo esagerate: davvero grande è la confusione sotto il cielo. Lo schierarsi netto di Conte sul caso Open Arms e il perentorio nein! del M5s a qualsiasi riapertura a Salvini configurano le dimissioni del governo come l’ipotesi più probabile dopo le comunicazioni al Senato. Dopodiché, come ripetono molti degli attori in gioco, ulteriori decisioni sul percorso da seguire spetteranno al Presidente della Repubblica.
Dmitrij Palagi
Andare al voto ogni volta che i sondaggi determinano un mutamento degli equilibri politici nazionali sarebbe democrazia? Nei limiti della rappresentanza in un tipo di società capitalista è bene tenersi stretta la centralità del parlamento, come ci è stata regalata dal sistema costituzionale conquistato anche grazie alla Resistenza e al movimento comunista italiano. Per questo è bene cogliere i pochi aspetti positivi dell’attuale situazione, mentre farsi una foto sulla spiaggia è diventato metodo di comunicazione politica… La stessa incertezza sulle previsioni, che rischia di rendere inattuali le parole scritte a seconda di cosa dirà Conte e come reagiranno le forze politiche, indica una fase particolare.
Poche speranze che duri a lungo. Lo dimostrano: Grillo radunato con i suoi tra mura private (non una sede di partito, o istituzionale), Salvini oltre ogni limite del ridicolo (“ascolterò il *mio* presidente del consiglio e valuterò cosa dirà”… come se fosse una dichiarazione accettabile da parte di un Ministro…), un Partito Democratico capace di dimostrarsi debole quando avrebbe potuto affondare una strategia alternativa, un Berlusconi apparentemente innocuo e amichevole (dopo essere stata la “bestia” per tutti gli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio), una sinistra non percepita, …
Sicuramente oggi Salvini appare arrogante e sembra aver sbagliato la sua mossa. Sulla fretta è apparso simile a Renzi, che di nuovo alza la testa con la speranza degli arroganti.
In tempi come questi tutto è possibile. Nel frattempo è difficile anche organizzare il campo dell’opposizione.
“E voi chi siete?”
“L’opposizione”
“L’opposizione a chi?”
“A questo sistema”.
Rendere questo dialogo sensato è una sfida da raccogliere…
Jacopo Vannucchi
Quando si innaffia qualcosa con la benzina e poi ci si lancia sopra una miccia incendiaria il rischio è quello di essere avvinti da un pericoloso ritorno di fiamma o, comunque, di generare reazioni impreviste e incontrollate. Il giorno dell’insediamento del Governo Conte, 1° giugno 2018, Salvini disse ai cronisti: “Sono emozionato, spero me lo concediate”. Pare che si sia emozionato un po’ troppo: noncurante di Giorgetti che, con la foto di Renzi sulla scrivania, gli sussurrava all’orecchio il “ricordati che sei solo un uomo” degli antichi trionfi romani, ha litigato con tutti e creato le condizioni perché anche i suoi più affezionati camerati avessero interesse a fargli le scarpe. (A onor del vero, sembra in effetti che Zingaretti gli avesse assicurato che il Pd non si sarebbe opposto a nuove elezioni, salvo poi sentirsi tirare le orecchie da una telefonata di Prodi.) Con il M5s che si sente sedotto e abbandonato, il Pd sul piede di guerra soprattutto per merito della ripresa di un’iniziativa di Renzi, Forza Italia fremente di passare all’incasso dopo una serie di umiliazioni, Fratelli d’Italia che spera di fare incetta di un calo di consensi leghista, il “Capitano” si è ritrovato più che isolato, intrappolato. Persino la “vecchia guardia” nordista che gli ha tirato la giacca per mesi per fargli aprire la crisi gli si è rivoltata contro per la scriteriata scelta dei tempi, tanto più che se la Lega si ritroverà all’opposizione la legge sull’autonomia differenziata può dirsi immolata.
E il resto del mondo?
Questa crisi assomiglia per tanti aspetti al tentativo berlusconiano di far cadere Letta a settembre 2013 (si sussurra che il regista sia lo stesso anche oggi, Denis Verdini): una cinica pugnalata alle costole con una lama però spuntata, tanto da costringere l’omicida a chiedere scusa e far finta di niente. All’epoca i borborigmi più forti si ebbero nel gruppo del PdL, oggi invece è quello del M5s a emettere i maggiori brontolii di “peones” che vedono lo scioglimento delle Camere come fumo negli occhi.
Nel Pd, Renzi si conferma uno spauracchio che terrorizza tanto Salvini, che lo cita ossessivamente nei comizi (probabilmente per complessi di inferiorità, che ha nutrito lungamente anche contro la Boldrini), quanto la corrente ex dalemiana. Costretti dai rapporti di forza nei gruppi parlamentari e, non ultimo, dalle circostanze stesse ad aprire a un’intesa col M5s con le spalle al muro, ora i maggiorenti non-renziani brancolano alla ricerca di un modo per neutralizzare l’influenza del senatore rignanese su un venturo esecutivo. Il più audace è Prodi, che prospetta una maggioranza a tre fra M5s, Pd e Forza Italia.
L’epilogo naturalmente è ancora da scrivere, ma l’aver gettato ghiaia nei cingoli salviniani è una buona base di partenza per il Paese.
Alessandro Zabban
Se il momento dello strappo era solo questione di tempo, sembra che Salvini abbia sbagliato le tempistiche. Certamente molte delle promesse elettorali erano difficili da realizzare (come la flat tax che avrebbe avuto una ricaduta devastante sui ceti più deboli), ma parte del suo elettorato e del suo partito avrebbe almeno voluto portare a casa una legge sull’autonomia, anche se di compromesso, prima che si arrivasse a una crisi di governo. Salvini vede così il suo piano A (elezioni subito per avere ” pieni poteri”) a rischio per la voglia di molti (5 Stelle e renziani su tutti) di cercare una nuova maggioranza.
Ma in questa situazione delicata e imprevedibile, Salvini ha anche un piano B: in caso di un governo PD – 5 Stelle, può ricorrere a quella che prima era la tattica dei suoi avversari, quella dei “pop corn”. Stare a guardare cosa riescono a fare gli altri, in un contesto economico, sociale e politico molto complesso potrebbe portare ulteriore consensi a un Salvini che cavalca il malcontento dai banchi dell’opposizione. In questa situazione di rottura, come tutti, anche Salvini rischia. Ma sembra avere comunque più armi rispetto ai suoi avversari. Quel che è certo è che è tutto schiacciato su tatticismo politici. Invece che pensare alla strategia di lungo termine del sistema paese, la politica a rotazione si divide i ruoli: chi sta al governo incolpa gli alleati di coalizione come se fosse all’opposizione, chi è all’opposizione se ne sta coi “pop corn” ad aspettare che quel governo fallisca per racimolare voti e reinnestare da capo il medesimo meccanismo ma scambiandosi di ruolo. Chiamatela democrazia, se volete.
Immagine da www.publicdomainpuctures.net
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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