Il tragico incidente accaduto a Lorenzo Parrelli, lo studente diciottenne rimasto ucciso a causa di un incidente nell’azienda in cui stava svolgendo il tirocinio previsto dal suo percorso di formazione professionale, ha riaperto il dibattito sul rapporto tra scuola e lavoro.
Leonardo Croatto
Per contestualizzare il tragico evento accaduto allo studente di Udine credo siano necessarie tre premesse generali.
La prima: la scuola dell’obbligo in italia termina (purtroppo!) a 16 anni; la presenza di ragazzi molto giovani in fabbrica, quindi, non è una specifica del percorso scolastico; il ruolo della formazione professionale (Parrelli non era in PCTO, non stava facendo l’impropriamente chamata “alternanza scuola lavoro”) nel nostro ordinamento è proprio quello di accompagnare i giovani che non vogliono proseguire gli studi verso il lavoro. Parrelli probabilmente sarebbe stato comunque in quella fabbrica anche senza l’intervento di una istituzione formativa.
La seconda: se ogni giorno muoiono per incidente nei luoghi di lavoro oltre tre persone, è del tutto evidente che far accedere gli studenti nelle stesse aziende in cui quelle morti si producono li espone ad un rischio concreto, noto ed evidente a tutti.
La terza: chi sostiene che i percorsi di sperimentazione del lavoro abbiano un importante valore formativo dice una straordinaria ovvietà. Qualsiasi esperienza fatta in giovane età, specialmente se accompagnata da professionisti esperti, ha valore formativo. Ce l’ha una sperimentazione lavorativa quanto un periodo di volontariato, una residenza all’estero, lo studio di una lingua, lo sport e qalsiasi altra nuova sperimentazione. Si potrebbe molto discutere – e dovrebbero farlo solo gli esperti – su quali di queste dovrebbero essere prevalenti e obbligatorie.
Da queste tre premesse discendono a mio avviso tre considerazioni.
Dalla prima: se si ritiene – anche per considerazioni di natura pedagogica legate alle necessità culturali di base richieste dal contesto in cui viviamo – che sia impensabile che un ragazzo così giovane sia a lavoro anziché ancora inserito in un percorso di studio, allora è necessario alzare l’età dell’obbligo scolastico, e magari favorire l’iscrizione all’università per raggiungere una quota di laureati in media con il resto d’europa.
Dalla seconda: le morti sul lavoro sono una vergogna di questo paese, e raccontano di quanto il capitalismo per produrre profitto non abbia alcuna remora a cibarsi anche della vita delle persone. Queste morti sono prevedibili, quindi hanno dei responsabili consapevoli. Non molti anni fa, durante un’altra crisi economica, un ministro della repubblica dichiarò che la sicurezza era un costo che le imprese non si potevano permettere. Questi sono i risultati.
Dalla terza: chi decide che l’esperienza lavorativa deve essere una parte inevitabile del percorso formativo di un ragazzo, chi vende l’importanza del rapporto prematuro col lavoro, specialmente col lavoro manuale, non di rado non ha mai fatto un lavoro pesante in vita sua. I figli di quelli che spingono verso un maggior rapporto tra scuola e lavoro raramente si iscrivono ad un istituto professionale. L’accesso precoce al lavoro è un arma della lotta di classe, con cui i ricchi escludono i poveri dall’istruzione.
Piergiorgio Desantis
Francesca Giambi
L’alternanza scuola-lavoro è obbligatoria per tutti gli studenti degli ultimi 3 anni delle scuole superiori ed è stata istituita nella legge del 2015, la Buona Scuola.Purtroppo un conto è la teoria, un conto è la pratica, nel senso che si voleva costruire una via italiana al sistema duale, attuato in molti stati europei, coniugandolo con la nostra specificità del tessuto produttivo.Guardando i tempi di attuazione dati dal MIUR vediamo che nel 2015/16 l’obbligatorietà riguardava il terzo anno, nel 2016/17 studenti del terzo e quarto anno mentre dal 2017/18 l’obbligatorietà è per tutti gli studenti dell’ultimo triennio, circa un milione e mezzo.Accanto a questo il MIUR ha predisposto una serie di misure per supportare e monitorare i percorsi di alternanza organizzati dalle scuole. Queste misure sono la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza e la Piattaforma dell’alternanza, predisposta dall’INAIL con il MIUR stesso,Guardando in modo asettico la piattaforma si ha un’impressione di vero interesse e di professionalità. Si dice che servirà per gli studenti in quanto collegherà i sistemi informativi del Ministero con il Registro Nazionale dell’Alternanza scuola-lavoro, semplificando quindi l’incontro tra domanda e offerta. Prevede anche un bottone rosso per denunce da parte degli studenti qualora non venga rispettato il patto formativo.Ma la realtà è diversa… e la morte di Lorenzo Parrelli, morto nell’ultimo giorno di alternanza in un’azienda metalmeccanica del territorio di Udine ha definitivamente squarciato il velo dell’illusione dell’efficenza… Gli studenti e i sindacati vogliono a questo punto portare aventi un ripensare la scuola e il lavoro dalle fondamenta. Perché l’alternanza scuola-lavoro non è scuola e non è lavoro, rimane qualcosa di fintamente abbozzato… e soprattutto non si può morire a 18 anni per questo!Le manifestazioni degli studenti sono state pesantemente attaccate dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa in varie città di Italia, senza che nemmeno venisse data mediaticamente visibilità a questi fatti. Il governo deve rispondere a tutto questo soprattutto deve rivedere le sue posizioni sulla scuola e deve rendersi conto delle vere realtà di molte fabbriche, dove non c’è sicurezza.Contemporaneamente deve creare davvero stage che possano far capire ai ragazzi cosa vogliono fare “da grandi”, puntando sull’aumento delle competenze anche collegate al proprio indirizzo di studi. Ma questo purtroppo c’è solo in molti paesi europei, mentre da noi, spesso, studenti del liceo classico si trovano a fare scuola-lavoro non in musei, biblioteche o archivi, ma da McDonald’s… Niente contro i panini, ma dobbiamo educare i ragazzi, non trovare forza lavoro gratuita…
Jacopo Vannucchi
Quando nel 2018 il vicepresidente del Consiglio Di Maio annunciò il ridimensionamento dell’alternanza scuola-lavoro usò un’immagine specifica per denigrare il sistema allora vigente: “mandare gli studenti a friggere le patatine da McDonald’s”. La conseguenza della destrutturazione di quell’impianto, ridenominato PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento) fu il dimezzamento del monte-ore dedicato ai percorsi lavorativi.In questo modo il governo M5S-Lega intendeva soddisfare una delle richieste degli studenti contrari all’alternanza: diminuire il monte-ore, giudicato eccessivo. Dietro questa ricerca del consenso, però, vi era un deserto di progettualità che dimenticava le vere necessità per migliorare il sistema: un regolamento etico per le imprese, una carta dei diritti per gli studenti (e, ovviamente, gli organismi di controllo per garantire l’efficacia di questi due documenti).Inoltre per un’alternanza efficace è necessario a) un tessuto produttivo che possa reggerla; b) un coinvolgimento reale dello studente. Quest’ultima cosa è difficile da raggiungere con un monte-ore ristretto. Ma, soprattutto, è sulla qualità del tessuto produttivo che il contratto M5S-Lega dava il peggio di sé: un’Italia basata su turismo e agricoltura – senza contare le aperture al lavoro nero causate dall’introduzione del reddito c.d. “di cittadinanza”.Ad oggi i PCTO sono in piedi senza alcuna garanzia, neppure formale, per la tutela degli studenti, e con un monte-ore che di fatto riduce gli istituti professionali e tecnici a fornitori di manodopera (per i licei poi si parla di cifre talmente scarse – 90 ore nell’ultimo triennio – da essere di fatto inutili). Sopra a tutto, infine, il mancato collegamento con lo sviluppo produttivo.L’emergenza Covid-19 ha assorbito gran parte delle risorse per la scuola della legge di bilancio 2022. Un anno fa, quando Draghi ricevette l’incarico ministeriale, ci fu un po’ di polemica sulla “distruzione creatrice” da lui auspicata in un rapporto per il G30. È auspicabile che come capo di governo riparta proprio da lì, una volta superata la fase emergenziale, per potare i rami secchi, allontanarsi sempre di più dall’Italia immaginata dai trumpisti nel 2018, e collegare virtuosamente la formazione scolastica all’inserimento in posizioni lavorative di qualità.
Alessandro Zabban
La morte di un ragazzo di 18 anni in un cantiere è inaccettabile a prescindere dal suo inquadramento lavorativo. Ma la morte di Lorenzo Parrelli ha la gravissima aggravante di essere avvenuta nel contesto del tirocinio previsto dall’alternanza scuola-lavoro. Sebbene la notizia sia stata riportata da molti canali di informazione, appare sconcertante l’assordante silenzio della politica in merito a un avvenimento che, al di là delle dinamiche dell’incidente che devono ovviamente essere ancora chiarite, non può in nessuno modo essere letta come politicamente neutrale. Di fronte alle morti bianche generalmente la nostra classe dirigente se ne esce con le solite frasi di circostanza, senza poi fare niente concretamente. Questa volta l’ipocrisia riguarda anche l’alternanza scuola-lavoro, riforma che nacque fra le polemiche politiche e che al contrario ora neppure di fronte a questa tragedia pare venir rimesso in discussione. Chi dal basso ha provato a manifestare il suo dissenso, come gli studenti a Torino, è stato manganellato, anche qui senza che si levassero particolari proteste, almeno da parte di quella politica che ha una buona visibilità mediatica. Occorre, se non abolire, quantomeno riformare l’alternanza scuola-lavoro per garantire una sicurezza massima in tutti i luoghi in cui lo studente lavora e servono pene severissime per chi non garantisce tutte le misure di sicurezza. Si dirà giustamente che quanto appena affermato dovrebbe in realtà essere la prassi per qualsiasi lavoratore, ma almeno i ragazzi che fanno un tirocinio scolastico siamo in grado di tutelarli? E se non lo siamo, possibile che non ci siano responsabilità politiche?
Immagine da pixabay.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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