La sfuriata di Grillo sui social in difesa di suo figlio, accusato, insieme ad altri tre amici, di stupro di gruppo ai danni di una ragazza diciannovenne, non merita molti commenti ma obbliga a riflettere su alcuni aspetti culturali e politici particolarmente significativi nel nostro Paese: giustizialismo e garantismo, la colpevolizzazione di chi denuncia uno stupro, l’intreccio spesso malsano fra politica, messaggi mediatici e giustizia.
Leonardo Croatto
“Narrativa” e “narrazione” assumono un significato diverso quando si esce dal campo della letteratura. Le storie possono essere fonte di svago, ma possono anche essere usate come armi.
La storie possono essere strumento di marginalizzazione, di oppressione, ma anche di liberazione. Possono spingere un gruppo oppresso a ribellarsi, o possono convincerlo ad accettare passivamente la condizione di oppressione. Le storie possono costruire unità o divisioni, possono mettere in moto meccanismi di solidarietà o alimentare l’odio. Le storie possono essere utilizzate per alterare la lettura di eventi, possono essere utilizzate per esaltare un personaggio o per trascinarlo nella polvere.
L’uso delle storie per ottenere questi fini è antico quanto l’uomo, ma, come in molti altri campi, la tecnologia ha reso più efficaci, più raffinate e più accessibili queste tecniche. Le storie sono strumenti flessibili, adattabili e, se ben costruite, anche molto potenti. Il loro uso come arma è oramai competenza diffusa nel mondo del marketing come in quello della comunicazione politica.
In questo ambito Beppe Grillo può essere considerato un professionista. La sua storia professionale come comico, per quanto non lunghissima e di qualità anche discutibile, e la sua seconda vita come agitatore politico lo dimostrano. Grillo è stato abile a individuare quelle fratture del tessuto sociale sulle quali si condensano le conflittualità e a prendere il controllo della fazione, in quel conflitto, più forte, usando le sua capacità di narratore. Il movimento cinque stelle così è nato.
Per questo motivo, è ingenuo pensare che quanto messo in scena da Grillo sia semplicemente uno sfogo. Il gesto di Grillo è proditorio, è un atto d’aggressione violenta nei confronti della ragazza, una punizione per aver denunciato il figlio. Una rappresaglia. Il fatto che Grillo sia esponente di spicco di un partito di peso nel governo è un’aggravante, e il fatto che quel partito non abbia condannato con la massima forza il gesto del suo “garante” (qualsiasi cosa significhi in politica un ruolo del genere) e non abbia immediatamente tagliato con lui i ponti rende la vicenda rilevante non solo e non tanto dal punto di vista giudiziale – difficilmente i giudici si lasceranno influenzare dalla recita – quanto dal punto di vista politico.
Piergiorgio Desantis
Il video di difesa/attacco di Grillo conferma la fuoriuscita del dibattito politico italiano dai binari del rispetto della separazione dei poteri (oltreché quello del rispetto delle donne). Un capo politico, neanche presente in Parlamento, si lancia, con facili semplificazioni, nella ricostruzione di una vicenda che ha bisogno di tecnici e tecnicismi per trovare una soluzione. La conferma di una comunicazione che vive al di fuori delle complessità e si pone svincolata dalla mediazione e su un piano di illuminazione del capo non può che farci riflettere e preoccuparci. È davvero possibile continuare a mantenere unita la nostra società e salvaguardare la nostra democrazia? È possibile salvarle entrambe ma non è, purtroppo, sicuro.
Dmitrij Palagi
L’oscenità del video registrato dal fondatore del Movimento 5 Stelle è seconda solo al dibattito pubblico che si è scatenato nelle ore e nei giorni successivi. Si è sfruttata la visibilità di un personaggio pubblico per poter riempire di commenti e opinioni spazi che si dovrebbero dedicare all’informazione, con un meccanismo purtroppo premiato dai comportamenti sulle piattaforme digitali e dalle scelte dei contenuti su cui scegliamo di cliccare, a cui viene dedicata attenzione e tempo, traducendo il tutto in visualizzazioni che poi generano profitti.
La vicenda testimonia l’immaturità del dibattito pubblico e politico sul tema della violenza sulle donne. La questione più generale riguarda il rapporto tra individualità e comunità. Lo si verifica anche quando alcuni episodi avvengono all’interno di circuiti di militanza che sono impegnati a contrastare la cultura in cui maturano le azioni di stupro. In un romanzo dedicato alla lotta irlandese nel XX secolo di Sorj Chalandon (Chiederò perdono ai sogni), un passaggio ricostruisce un intervento dell’IRA per punire un uomo colpevole di un tentativo di abuso, interrogando la voce narrante sulla liceità di una funzione di polizia da parte di un esercito rivoluzionario.
Come si esercita il giudizio su episodi di crimini individuali, nel momento in cui viviamo in società dove non raramente emerge quanto i pregiudizi (patriarcali e maschilisti) influenzano a ogni livello i processi di giudizio? Dove si definisce il confine tra la tutela della persona accusata e la liberazione della vittima da ogni stigmatizzazione? Non esistono misure oggettive da far valere in ogni contesto. Andrebbero costruiti meccanismi trasparenti e tesi prioritariamente ai meccanismi di tutela e cura, piuttosto che alla logica punitiva a posteriori, mettendo in discussione comportamenti acquisiti e meccanismi dati per scontati che invece sono frutto di costruzioni sociali e tradizioni culturali.
Evitando di commentare la realtà come se non ne facessimo parte e rendendosi conto che nessun padre dovrebbe permettersi le dichiarazioni rilasciate dal fondatore di una forza politica che è protagonista di questo governo (e che lo è stata nei due precedenti).
Jacopo Vannucchi
Giuseppe Grillo ha inteso presentare il proprio intervento come una difesa nei confronti del figlio, accusato di violenza sessuale benché, a detta del padre, innocente.
L’intervento sarebbe stato comprensibile se a) fosse stata in atto una campagna stampa ostile volta a presentare Ciro Grillo come delinquente acclarato invece che come imputato; b) Grillo padre si fosse limitato a denunciare tale campagna chiedendo che la sede del processo fosse il tribunale.
Non è stato così; l’intento di Giuseppe Grillo è stato semmai quello di definire il figlio non processabile, perché lui ne garantisce personalmente.
Questa concezione feudale della giustizia è solo apparentemente in stridente contraddizione con la fisionomia “giustizialista”, “manettara”, del grillismo. È proprio perché il grillismo non riconosce lo stato di diritto che la giustizia viene amministrata secondo l’arbitrio, schermando gli appartenenti al clan e martellando gli esterni, in primis gli avversari politici – come nell’annuncio che in caso di vittoria alle europee 2014 sarebbe stato istruito un «processo popolare» a giornalisti, imprenditori e politici tra cui l’allora Presidente della Repubblica. Il processo sarebbe avvenuto online tramite il raffinato strumento dello «sputo digitale».
L’esistenza nel Paese di una simile forza politica costituisce un grave pericolo, ma Grillo e il M5S non sono di per sé la malattia, ne sono soltanto il sintomo. Proprio come la giustizia sommaria e il linciaggio cercano di ammantarsi di credenziali di “vera giustizia”, così il qualunquismo e l’odio antidemocratico si sono dati il nome di «democrazia diretta» e il rafforzamento della dipendenza clientelare delle classi subalterne quello di «abolizione della povertà». Siamo cioè di fronte a una profonda immaturità politica di parte consistente della popolazione; un sottosviluppo culturale e di coscienza, un’incapacità di elevarsi al di sopra delle reazioni evolutive elementari.
Alessandro Zabban
Nell’epoca attuale dominata dalla proliferazione dell’iperreale, ci ricorda Jean Baudrillard, all’evento reale si sostituisce la sua trasmissione e il suo racconto nei mezzi di comunicazione di massa. Per quanto riguarda i casi giudiziari, l’iperrealtà sembra configurarsi come anticipazione da parte dei mass media dei processi, che in quanto tali perdono la loro parvenza di evento reale, superati da un altro ordine di realtà, quello degli show mediatici, nei quali il pubblico viene indotto a farsi un’idea (e quindi a farsi giudice) di chi è colpevole e chi innocente. Grillo sfrutta la sua popolarità e posizione politica per entrare a gamba tesa su un caso giudiziario ma la logica del suo intervento non è molto diversa da come noti programmi televisivi affrontano casi giudiziari in corso, come ad esempio quello che vede implicato l’imprenditore Alberto Genovese, sempre in relazione a dei presunti stupri. I comunemente accettati processi mediatici mostrano la disgregazione delle società liberali occidentali, in cui la separazione dei vari poteri dello Stato appare un principio sempre più inapplicato. Il video di Grillo ha comprensibilmente scandalizzato ma purtroppo assistiamo già da molto tempo all’ignominia di affari giudiziari piegati alle esigenze di chi fa politica o intrattenimento (un intrattenimento che ha comunque sempre finalità politiche).
Immagine da www.pixahive.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.