Il 15 di aprile ricorre l’anniversario della morte di Giovanni Gentile. Ancora oggi non è raro che qualche esponente di partiti post-fascisti si faccia avanti in quella data per chiedere che la sua memoria sia pubblicamente celebrata. Merita quindi ricordare che si attribuiscono a questo personaggio l’estensione del manifesto degli intellettuali fascisti e una riforma della scuola improntata al più rigido classismo e impregnata di disprezzo per le scienze dure, il cui impianto, sostanzialmente immutato, caratterizza la scuola italiana anche adesso.
Leonardo Croatto
Giovanni Gentile è ancora oggi uno dei riferimenti simbolici di quella destra post-fascista recuperata nell’alveo della costituzione e infestante consigli comunali, regionali e parlamento.
La scarsa disponibilità di figure che abbiano frequentato la cultura rende pregiatissimi, per quei soggetti, i pochi intellettuali afferenti alla loro area politica disponibili alla celebrazione. Gentile, tra l’altro, è (purtroppo) ancora legato a dispositivi normativi attuali e mai abbastanza criticati, questo rende meno ridicola la proposta di un suo ricordo ogni volta che ne ricorra l’anniversario della nascita o della morte.
Oltre ad essere una delle poche figure dell’epoca effettivamente definibile come “intellettuale”, Gentile ha tre caratteristiche che lo rendono particolarmente attraente per il fascistume contemporaneo: la piaggeria verso i potenti, il disprezzo verso i deboli, l’odio per la scienza.
Nel 1922 Gentile è Ministro dell’Istruzione del governo Mussolini, nel ’23 aderisce al fascismo scrivendo a Mussolini una lettera degna d’un Fantozzi che si rivolge al megadirettore galattico: “[…] da che ho l’onore di collaborazione all’alta Sua opera di Governo e di assistere così da vicino allo sviluppo dei principi che informano la Sua politica, mi son dovuto persuadere che il liberalismo, com’io l’intendo e come lo intendevano gli uomini della gloriosa Destra che guidò l’Italia del Risorgimento, il liberalismo della libertà nella legge e perciò nello Stato forte e nello Stato concepito come una realtà etica, non è oggi rappresentato in Italia dai liberali, che sono più o meno apertamente contro di Lei, ma per l’appunto, da Lei. E perciò mi son pure persuaso che fra i liberali d’oggi e i fascisti che conoscono il pensiero del Suo fascismo, un liberale autentico che sdegni gli equivoci e ami stare al suo posto, deve schierarsi al fianco di lei.”
Sempre nel ’23 entra in vigore la sua riforma scolastica, improntata ad un rigido classismo, in cui un ramo umanistico è indirizzato alla futura classe dirigente e un ramo tecnico è indirizzato alle fasce sociali più povere, con l’idea di escludere da ogni possibilità di istruzione superiore tutti quelli che non vengono da situazioni di vantaggio, anche attraverso il vincolo del costo dell’istruzione superiore. Praticamente la stessa idea di meritocrazia che i liberali hanno anche oggi.
La scuola di Gentile non ha spazio per la matematica e le scienze naturali, secondo la teoria, purtroppo sostenuta anche oggi, che le scienze dure siano materia pratica, grezza, destinata alla sola realizzazione meccanica, mentre la letteratura sia l’unica attività adatta alla buona borghesia. L’organizzazione amministrativa della scuola Gentiliana è verticale e gerarchica. Echi di questo modello si rivedranno successivamente nel progetto della “Buona Scuola” Renziana.
Le migliori menti matematiche dell’epoca – Volterra, Enriques, Castelnuovo e altri – si oppongono, insieme ad intellettuali di altre discipline, al progetto di Gentile, che viene duramente criticata anche dall’Accademia dei Lincei (Volterra ne è presidente, all’epoca). Ovviamente è tutto inutile, la legge passa non certo per meriti, ma per volontà del regime. Mussolini la definisce “la più fascista delle riforme”.
Per chiudere l’edificante ritratto di Gentile è necessario ricordare che è lui l’estensore del “Manifesto degli intellettuali fascisti”. Serve altro?
Gentile viene ucciso nel ’44. Dopo la guerra in molti hanno tentato un suo recupero, nascondendone opportunamente le gesta politiche ed esaltando la sua presunta straordinarietà intellettuale, come è successo per altri figuri che hanno attraversato da complici il periodo fascista.
Non muore invece la sua impostazione di scuola, che continua a far danni ancora oggi.
Francesca Giambi
Della riforma Gentile si sente spesso parlare come fondamento su cui si sono poggiate tutte le riforme scolastiche del XXI secolo. Soprattutto da parte delle destre spesso se ne rivendica una qualche bontà avvalendosi non solo della figura di Gentile stesso come filosofo, ma anche ponendo l’accento su come fosse stata pensata come opera di alfabetizzazione popolare con un forte aumento degli investimenti soprattutto per la scuola elementare.
La riforma, definita dallo stesso Mussolini, come “la più fascista delle riforme” in realtà nel cercare di ridare dignità agli studi dava alla scuola una sorta di funzione di controllo e di “forgia” delle future classi dirigenti.La creazione di due distinti filoni scolastici ne accentuano il carattere antidemocratico e classista: da una parte il percorso “completo” (elementari, medie, istituto superiore ed eventualmente università), dall’altra un paio di canali scolastici senza nessuno sbocco successivo: la scuola complementare, destinata ai cittadini delle classi sociali più basse, e il liceo femminile, destinato alle ragazze senza particolari ambizioni accademiche. Il fallimento della riforma è stato principalmente sui numeri: nelle scuole secondarie e nelle università il calo di iscrizioni fu molto sensibile già dopo i primi 4 anni di attuazione. Inoltre si ebbe, a fronte di un incremento di studenti provenienti da classi medie, un calo netto delle iscrizioni da parte dei figli degli operai, probabilmente dovuto anche all’abolizione della scuola tecnica, che fino a quel momento aveva aperto ai ceti inferiori la duplice possibilità da una parte di professioni impiegatizie e dall’altra degli indirizzi universitari, che alimentò ancora di più la visione classista della società.
L’altro grande problema della riforma Gentile è stato quello di aver gettato le basi per la formazione di un ceto medio in cui dominasse la componente umanistica, impostazione da cui ancora oggi e nelle diverse riforma scolastiche facciamo fatica a staccarci: un fallimento dal punto di vista culturale, che porta ad un diffuso analfabetismo scientifico.
Se oggi consideriamo inaccettabile non sapere le regole base grammaticali ma nessuno si scandalizza se non si riescono a fare delle semplici somme (“perché la matematica non è che riesca granché…”) forse lo dobbiamo proprio a questa impostazione che ci portiamo dietro, in cui la teoria e le discipline umanistiche la fanno da padrone, e nessuno in nessuna riforma successiva alla gentiliana si è posto il problema di dare una pari dignità accademica alle scienze pure, che forse più che della teoria avrebbero bisogno di un impianto laboratoriale-pratico che stenta ad essere diffuso.
A cosa serve avere programmi che arrivino a parlare delle scoperte di “ieri l’altro”, se poi non si considerano paritarie le validità delle discipline scientifiche con le umanistiche?
Dmitrij Palagi
Il fatto che nel 2021 ci sia chi ancora sostiene la necessità di guardare a decenni passati qualifica come anacronistica qualsiasi proposta di tale genere. Certo, nel parlare di conoscenza, anche i testi di filosofia antica possono essere di una qualche utilità. Il sapere di non sapere è una preziosa lezione attribuita a Socrate, ma con una sua attualità. Da inserire in un contesto completamente mutato, si intende.La figura di Gentile viene spesso contrapposta a Gramsci. Si sbaglierebbe a negare l’esistenza di un comune dibattito intellettuale precedente all’ascesa del fascismo al potere. L’inizio del Novecento è una fase della storia europea particolare, sicuramente distante dalle polarizzazioni e dagli schemi definiti nel corso della seconda guerra mondiale.
Il passato non può essere però selezionato. Giovanni Gentile ha scelto di stare dalla “parte sbagliata della storia”. Il suo recupero da chi si sente vittima della Resistenza è una costante, anche perché la qualità dell’ideologia fascista non ha molti nomi nella sua faretra. Non si capisce perché questo però dovrebbe mettere in difficoltà le forze democratiche del Paese.
La vicenda di Bruno Fanciullacci o della Banda Carità non possono essere rimosse.Purtroppo la Repubblica italiana non è riuscita a costruire una netta discontinuità con i decenni mussoliniani. A fronte di una apparente demonizzazione (nessuno si definisce fascista, tolte alcune formazioni minoritarie) non c’è stata una reale capacità del Paese di affrontare le incrostazioni della sua storia.
Ogni tanto assistiamo anche a dibattiti tra cultura scientifica e umanistica per i quali qualche testo di filosofia antica appare più avanzato e contemporaneo.Insomma, lasciamo Gentile alla storia. Da fascista che merita di non essere onorato dalla Repubblica italiana.
Jacopo Vannucchi
Di Gentile possiamo ricordare il filosofo, il ministro o l’uomo politico. Come studioso è indubbio il suo spessore come hegeliano di destra, in una filosofia però logicamente consonante con l’intento totalitario del fascismo. Come per Schmitt, non è possibile per una analisi completa separare l’elaborazione filosofica dal suo significato politico.
Riguardo la riforma scolastica, la diversificazione dei percorsi concepita dalla riforma Gentile del 1923 ha indubbiamente il merito di valorizzare l’immenso vantaggio dell’Italia sulle altre nazioni in termini di patrimonio culturale. Le implicazioni classiste, certamente presenti, sono state però in parte esacerbate in seguito e in parte superate (in negativo) dal mancato aggiornamento scolastico.
Esacerbate con l’abolizione dell’insegnamento del latino alla scuola media inferiore (1977) e quindi l’approfondimento del divario tra la popolazione a cui questo patrimonio culturale viene consegnato e quella che non lo riceve. Questa scelta piegava la nascita della scuola media unica (1962) da una funzione di acculturazione delle masse ed elevazione delle stesse dall’arretratezza ad una di massificazione culturale ispirata al consumismo contemporaneo.
Il mancato aggiornamento riguarda invece l’insufficiente spazio dedicato alle materie scientifiche. Un problema sempre più evidente in una popolazione come quella italiana, già ampiamente sotto-scolarizzata rispetto ai partner OCSE. L’orientamento per ovviare al problema ha consistito tendenzialmente nel ridurre o addirittura proporre di abolire l’insegnamento di quelle materie umanistiche (filosofia, latino, greco antico) che non soltanto costituiscono un tratto positivo che distingue l’Italia in campo culturale, ma che anche consentono proprio in un’ottica di sviluppo economico-produttivo, l’affermazione della mentalità innovativa.Il problema qui riguarda non tanto la riforma Gentile quanto se intendiamo conservarne i tratti di trasmissione culturale estendendone, invece di farne sparire, l’applicazione sociale.Per quanto riguarda il Gentile politico, il sostegno al regime fascista e alla Repubblica di Salò poi costituiscono un sufficiente commento autobiografico. Si può in ultimo ricordare l’ipocrisia del suo appello (23 dicembre 1943) alla concordia e alla tregua nazionale, a disarmare cioè il movimento partigiano in un’Italia quotidianamente terrorizzata dalla violenza dell’occupazione tedesco e del collaborazionismo. Vista l’intelligenza e la parzialità politica dello studioso, non si può neppure dire che fosse l’appello “in buona fede” di persona che non avesse sotto gli occhi la situazione concreta del Paese.
Alessandro Zabban
La scuola italiana ha tradizionalmente avuto una chiara impostazione volta a favorire le discipline classiche e letterarie a scapito delle materie scientifiche. Le necessarie correzioni a questo orientamento, per andare incontro alle esigenze del mondo contemporaneo, hanno però avuto dei risultati deludenti. Servivano e servono tutt’ora enormi risorse per favorire un costante aggiornamento professionale dei docenti e per modernizzare gli strumenti didattici. Non si può insegnare una lingua straniera come si insegna il greco e il latino, così come non si può insegnare biologia come si insegna la storia. Invece abbiamo scuole che cadono a pezzi, in cui mancano laboratori adeguati e in cui gli insegnanti motivati si trovano spesso abbandonati e mal retribuiti. In questo modo è difficile pensare che le nuovi generazioni possano eccellere nelle discipline scientifiche o nelle lingue straniere. Al contempo, il rinnovamento mancato ha impoverito le discipline classiche come ad esempio la storia e l’italiano (disciplina fondamentale non tanto per saper scrivere e parlare correttamente, ma soprattutto per saper comprendere e analizzare un testo, saper formulare ragionamenti e sintetizzare informazioni), vittime anche di campagne qualunquistiche volte a minimizzarne l’importanza (“con la cultura non si mangia”). Il problema di una scuola italiana troppo concettuale e poco applicativa, invece di essere stato affrontato nell’idea di offrire un maggior numero di strumenti analitici, critici, logici ecc. è stato invece impostato sull’idea che la scuola prima che formare ed istruire deve preparare al lavoro. Così, in una situazione già problematica, a una didattica di qualità per la quale servono grandi investimenti, è stata preferita la via più comoda ma alla lunga più deleteria del tirocinio e dell’alternanza scuola-lavoro.
Immagine da www.pixabay.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.