La liberazione di Silvia Romano, cooperante rapita in Kenya il 20 novembre 2018 e poi ceduta alla milizia qaedista al-Shabaab, ha riaperto più di una faglia di scontro. Tra Italia e Stati Uniti riguardo la politica degli ostaggi; tra Conte e Di Maio sulla gestione del caso; oltre naturalmente ai consueti umori di destra su giovani donne e Ong. In questo caso vi è anche la conversione religiosa della ragazza che, nonostante le sue assicurazioni di non aver ricevuto costrizioni, era destinata a far discutere. Infine, il ruolo fondamentale assunto dall’intelligence turca nel negoziato con al-Shabaab pone in modo preoccupante il problema della politica estera europea, o comunque italiana, spesso scavalcate non solo dalle grandi potenze ma anche dagli attori regionali. Sul rilascio di Silvia Romano le riflessioni di questo Dieci mani.
Leonardo Croatto
In un paese normale il rientro a casa di Silvia Romano avrebbe dovuto rappresentare un evento gioioso. Il nostro paese ci ha invece abituato a un tale livello di miseria intellettuale e etica che non risulta più neanche sorprendente che stampa, politica e social network abbiano trasformato la liberazione di una giovane tenuta sequestrata da miliziani armati in una pubblica e svergognata manifestazione di odio, misoginia e luoghi comuni da università della vita.
Esaminando i casi analoghi visti fino ad oggi è abbastanza facile notare le differenze di trattamento tra vittime di sesso maschile o femminile, tra adulti e giovani e per professione (per cui se fai il mercenario o il prete sei un eroe, se fai il cooperante o il ricercatore te la sei cercata).
Lasciando quindi da parte ogni valutazione sul merito delle considerazioni espresse dai vari maestri di pensiero a cottimo – le contraddizioni con simili eventi passati mettono in luce in maniera evidente la strumentalità di ognuna di esse -, quello di cui ha dato dimostrazione il dibattito che si è sviluppato intorno alla liberazione della cooperante, ancora una volta, è come il disastro culturale e morale di questo paese sia misurabile nell’inesistente scarto tra classe dirigente e resto del paese.
Se davvero qualcosa di questa vicenda ci deve scandalizzare, indignare e spaventare è come certe dichiarazioni stupide e volgari espresse senza alcuna vergogna rendano evidente come il meccanismo di formazione e selezione della classe dirigente si sia definitivamente inceppato, e, di conseguenza, come i ruoli di responsabilità e di direzione del nostro paese vengano (con nostra responsabilità) affidati a soggetti tanto culturalmente scarsi quanto moralmente miserabili.
Piergiorgio Desantis
È sempre una gioia quando un ostaggio italiano (ma non solo) nelle mani di rapitori viene liberato, anche attraverso pagamento di un riscatto. Varie esperienze hanno dimostrato che operazioni militari per liberare prigionieri, hanno avuto un esito tristemente negativo. Bene ha fatto il Governo italiano a seguire la strada della trattativa, unitamente ai servizi segreti turchi e kenioti. La gioia, nel caso di Silvia Romano, è ulteriormente grande perché questa giovanissima ragazza è una cooperante che è partita da Milano per andare a aiutare e lavorare in un piccolo e sperduto paese africano. È uno di quei casi in cui è il caso di ribaltare il celebre motivetto di Giorgio Gaber: “Io non mi sento italiano” con un bene più appropriato: “Io sono italiano, mi sento orgoglioso di quest’Italia”. Nonostante le polemiche circa la sua conversione religiosa, questione davvero intima, e le conseguenti urla sguaiate della destra è stato davvero un giorno di festa in Italia.
Dmitrij Palagi
La politica ridotta a discutere di questione individuali e specifiche è sempre il sintomo di un problema.
La scelta di una persona di spostarsi distante dal proprio territorio è sempre oggetto di riflessione. Come tanti altri comportamenti. Siamo spinti a interrogarci sulle nostre scelte e decisioni. Nei casi di chi non lo fa per lavoro (come giornaliste e giornalisti), ma per un impegno volontario, spesso le discussioni degenerano. Ci si spinge a discutere su come si dovrebbe o non si dovrebbe aiutare le persone, su quale sia il chilometro giusto che definisce lo spazio in cui si sarebbe più utili.
Alcune esistenze diventano simboli, come attesta il caso – molto diverso – di Lorenzo Orsetti, per esemplificare. Anche in queste occasioni rimane però il dovere di non permettersi di giudicare la persona.
In alcuni paesi si sceglie di far passare sotto silenzio il rientri degli ostaggi. Questo anche per risparmiarsi lo spettacolo indicente di chi si chiede quanto è costato salvare una vita, magari anticipando di essere lieto o lieta che non si sia registrato un decesso.
Silvia Romano è viva e soprattutto libera, libera anche di vivere come meglio vorrà.
A lei un grande augurio di buona fortuna, a chi fa politica l’invito a discutere di quello su cui dovrebbero esprimersi. Chi si sente giudice in un tempio dovrebbe farsi qualche domanda sulle proprie priorità…Nascondi o segnala
Jacopo Vannucchi
La disonestà intellettuale in politica può essere riprovevole, ma se troppo scoperta è anche poco furba. Ci si riferisce in particolare a quegli esponenti di destra che contestano pelosamente il pagamento di un riscatto ai carcerieri di Silvia Romano, fingendo di dimenticare che questa politica è stata seguita anche da governi di destra per altri ostaggi negli anni della partecipazione italiana all’occupazione dell’Iraq.
Poi c’è la contraddizione di chi da anni spiega che dobbiamo “aiutarli a casa loro” (un proposito che trovo del tutto condivisibile e su cui credo che la sinistra debba investire) ma ricopre di contumelie chi lo fa con vero coraggio, come evidenziato anche dall’arcinota zecca rossa Francesco Storace. Non che ci fosse bisogno di questo per capire che a destra aiutarli a casa loro è eufemismo per non aiutarli mai.
Proseguendo, c’è l’odio per una donna adulta che ha abbracciato la fede islamica – percorso di cui non deve rendere conto al grande pubblico –, odio che ovviamente si ritiene legittimato dall’adesione ad un’altra religione la quale impone sacramenti a neonati e pre-adolescenti (lì non c’è il plagio?).
Infine, come non pensare che tutta questa reazione biliosa sarebbe stata assai più contenuta se protagonista di questa vicenda fosse stato un uomo? La violenza misogina si è esplicata non solo nelle dimensioni abnormi di questi attacchi, ma anche in un morboso frugare nell’intimità personale, dalle speculazioni su relazioni e gravidanza alla pubblicazione a fini di propaganda di una foto in abbigliamento occidentale pescata dal passato della ragazza. Che, oltre a essere ripugnante per l’invasione nella privacy specie in un momento delicato, ha la stessa volgare insensatezza di chi volesse contestare la conversione di San Francesco facendo presente che prima di essere un povero di spirito era un ricco figlio di papà che uccideva il prossimo in battaglia.
Per fortuna quest’odio ci lambisce solo minimamente. Dei disadattati ubriachi che auguravano lo stupro a Carola Rackete si perde traccia, mentre l’aver salvato vite umane è un’azione che resta. Personalmente trovo che la scelta di volontariato fatta da Silvia Romano sia non solo un esempio più che positivo, ma anche indice di una sensibilità umana non comune che, sono convinto, nel bilancio di una vita sia assai più un premio che una croce. Mi sono ancora tornate in mente le parole con cui Nancy Pelosi liquidò un reporter di destra che le chiedeva se odiasse Trump: «Io non odio nessuno. Io prego tutti i giorni per il Presidente».
Alessandro Zabban
Dall’«aiutiamoli a casa loro» al «se l’è cercata perché là è pericoloso», l’incongruenza è assoluta ma per alcuni il passo è stato breve. Mentre le potenze mondiali, compresi alcuni dei nostri alleati, foraggiano e fanno accordi di ogni tipo coi più variegati gruppi di matrice jihadista senza che nessuno batta ciglio, infuriano le solite polemiche sul pagamento dei riscatti, polemiche che se riguardassero un militare e non una cooperante assumerebbero toni completamente diversi. Un paese che dà anche solo un minimo di valore alla logica della solidarietà internazionale è chiamato a fare ogni cosa in suo potere per proteggere chi è attivamente impegnato nei progetti di cooperazione.
Il sospetto che queste polemiche sul riscatto fossero puramente strumentali ha trovato agghiaccianti conferme allorché gli attacchi hanno riguardato Silvia Romano nella sua persona e nella sua sfera privata. Ciò che non piace a certa destra e ai suoi organi di stampa non è tanto il pagamento del riscatto quanto piuttosto questa ragazza in quanto tale, giovane donna libera che ha scelto per se stessa una vita diversa dall’atroce “normalità” che ci pervade. Ed è questo che molti non riescono a digerire, qualcuno che non rientri nelle loro limitate categorie di cosa possa e debba essere un essere umano.
Immagine da www.wikiart.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.